La Stampa
30 10 2014
Esperimento in Sardegna: un malato gestisce le pratiche per l’Asl attraverso un modernissimo ufficio per il telelavoro. “Non siamo dei pesi, siamo ancora utili”
Se non fosse così ordinata, questa stanza con le pareti azzurre sembrerebbe davvero un ufficio. Di strano c’è il ronzio continuo di una macchina dell’ossigeno. Salvatore Figus lavora da qui, dalla poltrona a cui è inchiodato oramai da due anni: la Sla che lo ha reso immobile gli ha risparmiato soltanto le pupille. E questa, per lui, è la forza più grande. L’altra è una mente lucidissima: «Tutto questo mi basta e avanza per lavorare, per mantenermi attivo. E io ovviamente non mi voglio arrendere».
La pensione, Salvatore Figus, se la vuole guadagnare giorno per giorno. E così ha chiesto alla Asl di Oristano di essere reintegrato in organico. Nell’ufficio che occupava dal 1991 non ci può più andare e il direttore generale ha fatto studiare per lui un sistema che consente ogni giorno di smaltire un malloppo di pratiche direttamente da casa. Una forma di telelavoro che sfrutta le capacità del computer e che consente di cliccare su una tastiera con il movimento degli occhi. A Busachi, un piccolo paese al centro della Sardegna, che si affaccia sul lago Omodeo, l’azienda sanitaria ora ha una sorta sede staccata. Non aperta al pubblico, ovviamente.
Grazie al sintetizzatore vocale, Salvatore sfoga la parlantina e con lo stesso sistema riesce a scrivere lettere, inviare e-mail e trasmettere file. «Questo è l’ufficio del futuro. Da qui posso anche tenermi aggiornato e comunicare col mondo. Lavorare mi gratifica, ma soprattutto mi aiuta a dimenticare la malattia». Ogni giorno il 44enne di Busachi si occupa di saldare i conti tra la Asl 5 e gli enti sanitari di altre nazioni. Ma quello che fa, preferisce spiegarlo direttamente lui: «Mi occupo delle pratiche riguardanti le cure all’estero, del recupero dei crediti che la Asl vanta nei confronti delle istituzioni degli altri Stati europei. Gestisco a distanza crediti ma anche debiti, utilizzo il programma Nsis Aspe, un ufficio virtuale dematerializzato che collega Regione, Ministero della Salute e altre istituzioni sanitarie dell’Unione Europea».
Su una mensola in legno sono sistemati i faldoni con tutti i documenti, i foglietti promemoria sono appesi al sintetizzatore vocale. Ma qui è tutto telematico. Tecnologicamente avanzatissimo. Per la Asl di Oristano il progetto è motivo di orgoglio. Anche perché la Sclerosi laterale amiotrofica ha raggiunto in questa provincia livelli spaventosi: 40 casi che rappresentano un’incidenza da record. «L’esperienza che stiamo facendo con Salvatore Figus - osserva il direttore generale, Mariano Meloni - è uno dei pochi casi in Italia in cui il telelavoro viene sperimentato con una persona affetta da una malattia così grave e invalidante come la Sla. La nostra Asl può davvero esserne fiera».
Mamma Giuseppina non si allontana un attimo dalla stanza, del figlio capisce subito i problemi e interpreta gli stati d’animo. Anche quando la voce elettronica è silenziosa. «Da quando ha ricominciato a lavorare Salvatore è molto più sereno - racconta - È più motivato, affronta la malattia con forza maggiore». Salvatore intanto approfitta per rilanciare il messaggio che ripete ogni giorno: «Un malato di Sla può essere ancora molto utile alla società, non deve essere considerato un peso».
Nicola Pinna
Il Fatto Quotidiano
01 09 2014
di Fabiana Gianni
Penso e ripenso. Rifletto ponendomi domande alle quali cerco di rispondere pur non riuscendo sempre nell’intento. Eppure ad ogni secchiata che vedo riprodotta, ad ogni servizio che pone l’accento su questa trovata equestre, un brivido mi pervade. Innanzitutto la trovo una deprimente raccolta di elemosine morali e materiali. Io rispetto le persone. Tutte. Ho questo vizio fuori moda che mi porta a detestare gli atti eclatanti che distruggono l’inclusione e l’integrazione delle persone. La disabilità viene molto dopo.
La disabilità è lieve, media, grave, gravissima o ancor di più. Così si dice. Comprendo la lieve disabilità, quella grave e quella gravissima. Le sfumature mi sfuggono. Porto esempi spiccioli e davvero di basso livello (sono quelli alla mia portata): tempo fa si scese in piazza minacciando di staccare i respiratori a fronte di richieste di soldi. Non chiamiamoli risorse o fondi per dare la parvenza di cosa lontana. Chiamiamo le cose con il loro nome comune: soldi.
Ebbene se io lasciassi Diletta da sola in strada senza l’intervento di un terzo, morirebbe anche lei, di fame, di sete, di caldo. Non sa chiedere aiuto né bere né mangiare né spostarsi da sola, ma non ha la Sla. Diletta è affetta da Pci (sempre tre lettere). Così riflettevo ancora. Se avessimo lasciato lì accanto un ragazzo con disabilità psichica grave anch’esso sarebbe morto. Tecnicamente può fare tutto, ma non è in grado di stabilire i comandi giusti al momento giusto.
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Però queste persone sono allettate, muovono solo gli occhi e la malattia progredisce distruggendoli. Ma questo non accade solo a loro. Conosco una mamma chiusa senza alcuna condanna agli “arresti domiciliari” per accudire e amare il proprio figlio. Stesse condizioni di un malato di Sla ma fuori etichetta. Forse lui è Doc come il vino e i malati di Sla no, o forse è il viceversa.
Tanto è che sono adulti. Tanto è che hanno dimostrato di potersi muovere. Chi invece accudisce alcuni giovani nati con disabilità gravissime o chi non è nella condizione di muoversi (la maggioranza) è rimasto lì dove si trovava. Invisibile. Il risultato apparente è una triste squallida miserabile guerra tra chi è più disabile dell’altro. Allora se io ho il respiratore, ma sono presente a me stessa sono più grave di uno che respira da solo pur dipendendo completamente da altri. O forse no è il contrario.
Aberrante, sconcertante, disgustoso. Gente che si litiga dei soldi che sono pochi perché prima si finanziano le istituzionalizzazioni che contano sulla solitudine o su quella stessa impossibilità di gestirsi che è l’unica a non creare divisioni. Il nostro Stato pur di arricchire Rsa e simili è perfettamente equo in termini di patologie. In Rsa c’è sempre posto. Di cosa scelga la persona non se ne occupa nessuno fino alla minaccia che poi è solo mediatica. Volta ad impressionare quella larga maggioranza di gente che fa un passo indietro quando ci incontra. Gente che dopo queste belle visioni di passi indietro ne farà tre. Però si fa tante docce fredde che gli puliscono la coscienza. Un grande pollaio allagato!
Negli Usa ha avuto effetto, ma lì l’inclusione esiste e una battaglia vale l’altra. Diventa una moda. Diventa una delle tante azioni che si costruiscono su un sistema lontanissimo dal nostro. Sarei curiosa di sapere quanti italioti si sono rovesciati un secchio d’acqua gelata in testa parcheggiati in un posto riservato! Se potessi inserire una foto la farei così. Rappresenterebbe l’assurdità e il controsenso.
Dunque la questione di fondo è: la smettiamo di raccontare dei poveri tapini disabili disgraziati e accattoni che cercano soldi a suon di secchiate o di barattoli sui banconi dei negozi?
La questione è un’altra: gestire i soldi pubblici con onestà e possibilmente con un criterio coerente alle reali necessità. E’ ovvio che i disabili gravissimi (tutti coloro che dipendono da altri per la loro stessa sopravvivenza) devono ricevere un’assistenza ad personam adeguata. Non mi addentro nei tecnicismi perché annoierei molto nel racconto farraginoso della distribuzione dei fondi. Però non credo che questo abbia portato vantaggio né ai malati di Sla né agli altri e neanche alle famiglie interessate.
Sorvolo su gente che ha spettacolarizzato esibendo banconote in donazione. Esiste un decoro, esiste una dignità, esiste il rispetto. Chi aiuta davvero lo fa in silenzio senza secchi né ciambelle. Auspico una profonda revisione di questa spettacolarizzazione e un approfondimento sulle altre realtà dei gravissimi in Italia.
Così come per quanto mi riguarda continuo a ritenere che se fosse rispettata la scelta del singolo e fossero gestiti onestamente i fondi, con i secchi d’acqua si potrebbe tornare a far giocare i bambini.
La Stampa
08 05 2014
Non hanno tempo i malati di Sla. Mesi ed anni sono i loro peggiori nemici, persino più pericolosi dei tanti governi con cui hanno dovuto trattare nei quasi quattro anni trascorsi dalla nascita del Comitato 16 novembre che li rappresenta. Mercoledì mattina sono scesi in piazza ancora una volta per chiedere al governo Renzi di mantenere le promesse che il governo Letta non aveva mantenuto sulla possibilità di ottenere fondi per l’assistenza a casa invece che in strutture pubbliche costosissime per le casse dello Stato. Gli hanno chiesto soprattutto di fare in fretta. Uno dei consiglieri, Raffaele Pennacchio, è morto lo scorso autunno proprio dopo un giorno di attesa di un incontro davanti al Ministero dell’Economia. La presidente, Laura Flamini, è arrivata in ambulanza e, distesa su una barella, è entrata nelle stanze del ministero per l’incontro fissato con i sottosegretari Franca Biondelli, Enrico Zanetti e Vito De Filippo.
Nonostante le loro condizioni erano in sciopero della fame e della sete. Senza paura. “Paura? Non mi passa per l’anticamera del cervello. Lotto ogni giorno con la morte” spiega Salvatore Usala, detto il ‘Capitano’, il segretario del Comitato, anche lui in sedia a rotelle.
Non hanno più altro da perdere se non il tempo hanno fatto capire ai sottosegretari durante l’incontro. Dopo oltre due ore hanno ottenuto l’impegno del governo a convocare entro 45 giorni un tavolo interministeriale, che include anche le regioni e aperto a tutte le associazioni, per la realizzazione di un piano nazionale per la non autosufficienza finalizzato alla domiciliarità indiretta, l’impegno a valutare con attenzione i riflessi dell’inclusione nell’Isee delle provvidenze sociali, assegni di cura, di invalidità, e sono stati chiariti i criteri di ripartizione del Fondo nazionale per la non autosufficienza, nel senso della destinazione ai malati gravissimi del 30% di 275 milioni più 75 già a tal fine vincolati, procedendo, dove necessario, all’apposita riformulazione del decreto interministeriale.
Flavia Amabile
Il Fatto Quotidiano
30 03 2014
La scoperta avvicina la possibilità di nuove terapie mirate, grazie all’individuazione di vie cellulari suscettibili di interventi terapeutici. I risultati sono stati pubblicati sulla rivista internazionale Nature Neuroscience
E’ stato identificato da un gruppo di ricercatori italiani un nuovo gene principale causa della Sla (Sclerosi laterale amiotrofica – morbo di Lou Gehrig). Il gene, denominato Matrin3 e localizzato sul cromosoma 5, è stato scoperto in diverse ampie famiglie con più membri affetti da Sla e da demenza frontotemporale. I risultati di questa ricerca sono stati pubblicati sulla prestigiosa rivista internazionale Nature Neuroscience, che ha dedicato la propria copertina alla scoperta.
Gli autori sono un gruppo di ricercatori italiani del consorzio Italsgen (che riunisce 14 centri universitari e ospedalieri italiani che si sono uniti per la lotta contro la Sla), coordinati dal professor Adriano Chiò (Centro Sla del dipartimento di Neuroscience ‘Rita Levi Montalcini’ dell’ospedale Molinette della Città della Salute e della Scienza e dell’Università di Torino), dalla dottoressa Gabriella Restagno (Laboratorio di Genetica Molecolare dell’Azienda Ospedaliero Universitaria Città della Scienza e della Salute di Torino) e dal dottor Mario Sabatelli (dell’Istituto di Neurologia – Centro Sla dell’Università Cattolica-Policlinico A. Gemelli di Roma), in collaborazione con il dottor Bryan Traynor (neurologo dell’Nih di Bethesda – Washington).
La scoperta di un nuovo gene implicato nell’eziologia della Sla fornisce informazioni utili per l’identificazione dei meccanismi della degenerazione dei motoneuroni ed avvicina la possibilità di nuove terapie mirate, grazie all’individuazione di vie cellulari suscettibili di interventi terapeutici. La scoperta è stata possibile grazie all’utilizzazione di nuove tecniche di sequenziamento dell’intero esoma (exome sequencing), cioè della parte del Dna che codifica per le proteine. La proteina Matrin3 è una proteina che lega il Dna e condivide domini strutturali con altre proteine che legano l’Rna, come FUS e TDP43 che sono anch’esse implicate nella Sla. Lo studio è stato eseguito su 108 casi (32 italiani, raccolti dai centri SLA aderenti al consorzio Italsgen). Per accertare l’assenza di mutazioni in soggetti sani, il gene Matrin3 è stato poi sequenziato in circa 5190 controlli sani, 1242 dei quali italiani.
Tutti i dati di sequenza degli esomi ottenuti con questa ricerca sono stati resi di dominio pubblico per poter essere utilizzati da altri ricercatori in tutto il mondo per ulteriori ricerche. La scoperta di questo nuovo gene rappresenta pertanto una svolta per la comprensione di questa patologia ed offre prospettive per l’identificazione di terapie per il suo trattamento. La ricerca è stata finanziata per la parte italiana da AriSLA, Fondazione Italiana di ricerca per la Sla, nell’ambito del progetto Sardinials, dalla Fondazione Vialli e Mauro per la Ricerca e lo Sport Onlus, dalla FIGC Federazione Italiana Giuoco Calcio, dal Ministero della Salute e dalla Comunità Europea nell’ambito del 7° Programma Quadro.