Internazionale
26 02 2014
Il 23 febbraio si sono chiuse le Olimpiadi di Soči. Per costruire, ampliare o rinnovare gli impianti, gli alberghi e i trasporti della città sul mar Nero sono stati spesi 51 miliardi di dollari (una cifra enorme, se confrontata con quella spesa per le precedenti edizioni dei giochi olimpici invernali). Così Soči, che un tempo era chiamata la “riviera russa” ma era ormai diventata un vecchio centro balneare, si è trasformata in una moderna destinazione turistica.
Thomas Bach, presidente del Comitato olimpico internazionale (Cio), ha detto che “quello che è successo, questa trasformazione, è davvero incredibile. Ora è importante salvaguardare il lascito dei giochi olimpici”. E ha elencato gli eventi internazionali che la città russa ospiterà nei prossimi mesi: il summit del G8 a giugno, un gran premio della Formula 1 in ottobre e le partite dei Mondiali di calcio del 2018. “Soči ha di certo un futuro”, ha dichiarato il presidente del Cio.
La città balneare russa, che si estende per centinaia di chilometri lungo le coste e ha le montagne del Caucaso alle sue spalle, è stata un centro di villeggiatura pensato per i russi che non potevano permettersi una vacanza all’estero o non volevano lasciare il paese. Josef Stalin aveva una dacia qui, e l’attuale presidente Vladimir Putin possiede una casa nella zona. Ma con il passare degli anni Soči era stata un po’ dimenticata.
È rinata grazie agli investimenti e al rilievo internazionali arrivati con queste Olimpiadi invernali. Per ospitare i giochi la Russia ha costruito 14 impianti in grado di accogliere 145mila persone. Ma i piani su come utilizzarli d’ora in poi cambiano continuamente: per esempio, inizialmente si pensava di convertire l’Iceberg arena in una pista ciclistica, ma il 22 febbraio il viceprimo ministro russo Dmitri Kozak ha fatto sapere che la struttura diventerà un centro internazionale per il pattinaggio artistico.
I dubbi sul futuro. L’agenzia russia per la revisione dei conti stima che per mantenere gli impianti la Russia dovrebbe spendere l’equivalente di due miliardi di dollari all’anno. Per Kozak si tratta di un’esagerazione, e i costi sarebbero dieci volte inferiori.
Vladimir Kantorovich, il vicepresidente dell’Associazione russa dei tour operator, crede che l’anno prossimo ci sarà di certo un aumento di visitatori nelle montagne intorno a Soči, ma aggiunge che il futuro sarà più chiaro quando la stagione invernale sarà finita: “Non è detto che le piste pensate per le gare piacciano anche ai turisti”. “Tutto dipenderà dai prezzi”, giudicati troppo elevati rispetto ad altre destinazioni turistiche dell’Europa centrale e orientale.
A differenza di altri luoghi di villeggiatura europei, infatti, Soči non è facile da raggiungere. Ci sono pochi voli diretti diretti in Europa e le tasse aeroportuali all’aeroporto di Soči-Adler non attirano le compagnie low cost.
La questione ambientale. C’è poi chi critica, oltre agli altissimi costi, anche le modalità di intervento nell’area. “Gli organizzatori hanno ripetuto che per gli impianti olimpionici si sono seguiti criteri di sostenibilità come mai prima in Russia”, si legge su Salon. “Ma allo stesso tempo le autorità hanno fatto marcia indietro a livello legislativo”, consentendo di edificare in aree protette. “La costruzione del villaggio olimpico ha coinvolto 3.500 ettari del Parco nazionale di Soči, che è un sito Unesco”.
Globalist
20 02 2014
Alcuni atleti ucraini hanno deciso di lasciare i Giochi invernali di Sochi per le violenze e i morti negli scontri a Kiev. Lo conferma il Cio. «Alcuni di loro hanno deciso di ritornare a casa - ha detto il portavoce del comitato olimpico Mark Adams -, Sergei Bubka (presidente comitato olimpico ucraino, ndr) rispetta la loro decisione».
Thomas Bach, presidente del Comitato olimpico internazionale, ha voluto esprimere con una nota un messaggio di cordoglio per quanto sta accadendo in Ucraina, elogiando i 43 atleti ucraini che stanno «con grande dignità» il proprio Paese: «Vorrei porgere le mie condoglianze a coloro che hanno perso i propri cari in questi tragici eventi ed esprimere solidarietà alla squadra ucraina in questo momento molto difficile. La loro presenza è il simbolo di come lo sport possa costruire ponti e contribuire ad unire nella pace popoli di diversa provenienza».
Nonostante la doverosa annotazione, il Cio ha però negato la possibilità agli atleti ucraini di gareggiare con il lutto al braccio per omaggiare le vittime degli scontri in piazza di questi giorni. L'ex campione di salto con l'asta Sergey Bubka, presidente del Comitato olimpico ucraino, aveva avanzato la richiesta, poi negata. Così, per protestare contro il diniego del Cio, Marina Lisogor ed Ekaterina Serdyuk non si sono presentate al via del team sprint dello sci di fondo, ufficialmente per "un infortunio".
Il Cio non ha reso noto chi e quanti atleti della delegazione ucraina (43 quelli presenti) hanno deciso di ritirarsi a tre giorni dalla chiusura.
Il Corriere della Sera
18 02 2014
Nadia Tolokhonnikova, Maria Aliokhina e una terza componente della band Pussy Riot, soprannominata Tank, sono state fermate martedì a Sochi da polizia e agenti dell’Fsb, i servizi federali per la sicurezza. Le attiviste si trovano in stato di fermo in una stazione di polizia di Adler, il sobborgo della città russa in cui si trova il parco olimpico. Secondo l’attivista Semyon Simonov, le militanti sarebbero state bloccate dalle forze dell’ordine con l’accusa di furto. Insieme a loro sono state fermate anche altre sette persone, tra cui il cronista Ievgheni Feldman, del quotidiano «Novaya Gazeta», il giornale di Anna Politkovskaia.
VIOLENZA - «Al momento del fermo stavamo semplicemente passeggiando per Sochi», ha raccontato su Twitter la Tolokhonnikova. Che, dopo l’arresto, ha pubblicato anche diverse foto. Aggiungendo che «è stata usata la forza» da parte dei poliziotti.
AZIONE DI PROTESTA - Sempre su Twitter, le Pussy Riot hanno spiegato di trovarsi a Sochi per un’azione di protesta intitolata «Putin ti insegnerà ad amare la patria». Nadia aveva scritto che negli ultimi due giorni avevano già passato quasi 20 ore tra commissariati e uffici dell’Fsb. Secondo ipotesi circolate sul web, quello di oggi sarebbe un «arresto preventivo» per evitare che le ragazze inscenassero una nuova performance, proprio durante i Giochi invernali in corso a Sochi.
MILITANTI - Tolokhonnikova e Aliokhina erano uscite di galera a fine anno grazie a un’amnistia, dopo aver scontato gran parte dei due anni di reclusione a cui erano state condannate per aver cantato una «preghiera anti Putin» nella cattedrale di Mosca. Un’amnistia che, secondo molti osservatori, sarebbe stata promossa dal leader del Cremlino per ridurre le polemiche sui diritti umani in vista dei Giochi di Sochi.
Il Fatto Quotidiano
14 02 2014
Per quanto il tuo Suv possa andare veloce ci vuole poco meno di un giorno per percorrere i 1800 chilometri che separano Sochi da Mosca. Igor Ayrapetyan da qualche tempo li percorre in auto con a bordo una decina di cani per volta. Il quarantenne ha allestito un rifugio per randagi nel giardino di casa sua, nei pressi della capitale russa, e ha messo su una squadra di volontari coordinati tramite Facebook.
Igor si è improvvisato benefattore e si è messo in testa di salvare quanti più animali possibili dal massacro diventato orribile prassi quando un grande evento internazionale raggiunge quelle latitudini. Due anni fa, durante gli Europei di calcio, si calcola che a Kiev 30mila quattrozampe siano stati uccisi per strada dai “dog hunter”.
Per le amministrazioni locali, così come per quella centrale, i randagi “rovinano l’immagine del paese agli occhi del mondo”. Motivo sufficiente per teorizzare la strage: “Abbiamo un obbligo verso la comunità internazionale” ha detto Sergei Krivonosov, un deputato della regione di Krasnodar, dove si trova Sochi. Da queste parti c’è un evidente problema con gli animali e il metodo più veloce per risolverlo è ammazzarli”. Del compito si è occupata e continua a occuparsi un’apposita società, la Basya Services, che si gioca la carta più banale e efficace: “I cani sono tanti e sono pericolosi per i nostri bambini” la giustificazione espressa dal responsabile Alexei Sorokin. Poi, però, in un’altra intervista Sorokin ha tradito il suo vero pensiero definendo i randagi “spazzatura biologica“.
Da ottobre, sostengono gli animalisti, i cani sono uccisi in modo sistematico a Sochi e dintorni. Almeno 300 al mese e la mattanza, lontano dalle telecamere, ancora va avanti. La sterilizzazione non è nemmeno presa in considerazione. Gli animali sono eliminati a bastonate o, più di frequente, avvelenati. Gli attivisti raccontano di gruppi di cani che vagano storditi per strada e di esemplari trovati morti a bordo strada accanto a bocconi di cibo tossico oppure con freccette infilate nel costato. Molti di loro fino a poco tempo fa vivevano nelle case dove sono stati eretti i cantieri per i Giochi. Le loro famiglie, espropriate dei terreni e trasferite nei centri cittadini, hanno abbandonato per strada gli animali per l’impossibilità di trovargli una nuova sistemazione.
Appelli contro il massacro sono stati lanciati da alcuni mesi da associazioni russe e organismi internazionali. Tra questi la Humane Society che ha pubblicato sul suo sito una dettagliata lista delle istruzioni per chi, da ogni parte del mondo, voglia adottare un cane in pericolo nella zona del Mar Nero. Queste organizzazioni però finora non hanno ricevuto nessun tipo di ascolto. Tanto meno da Vladimir Putin che pur negli ultimi tempi appare particolarmente interessato a evitare casi diplomatici e che ha sempre affidato alle foto con la sua labrador Koni la sacralizzazione del lato buono che ogni padre della patria deve avere. A livello mediatico la campagna per salvare i cani è stata offuscata dalla causa Lgbt che sta facendo la parte del padrone.
Si va avanti allora soprattutto sulla buona volontà e grazie all’entusiasmo dei singoli o di gruppi di amici. Lo provano le decine di piccoli rifugi per randagi sorti nell’ultimo periodo attorno a Sochi. Uno dei più grandi, nelle immediate vicinanze della sede delle gare, è stato realizzato a Baranovka. Lo ha fatto costruire Oleg Deripaska, uno che non ha proprio il curriculum del filantropo. Secondo Forbes Deripaska è il nono uomo più ricco del mondo. Grazie ai proventi dell’alluminio e all’amicizia con il presidente Putin è diventato uno degli oligarchi più potenti del paese. Deripaska è un amante dei cani ed è il principale finanziatore dell’associazione animalista Volnoe Deloe. In quella collezione di controversie politiche e morali che sono le Olimpiadi di Sochi uno come lui e Igor, che guida tutta la notte con dieci randagi nel bagagliaio, combattono la stessa battaglia.
Dario Falcini