Carceri: Strasburgo condanna l'Italia per inumanita'

  • Martedì, 01 Luglio 2014 11:14 ,
  • Pubblicato in REPUBBLICA

La Repubblica
01 07 2014

Gli agenti colpevoli degli atti di violenza avvenuti nel carcere di San Sebastiano di Sassari nell'aprile del 2000 non hanno ricevuto pene proporzionali al reato commesso. La Corte europea dei diritti umani ha quindi condannato l'Italia per aver sottoposto a trattamento inumano e degradante Valentino Saba, uno dei detenuti.

Saba è uno dei detenuti che denunciarono gli atti di violenza. La Corte ha stabilito che lo Stato gli deve versare 15mila euro per danni morali. Lui ne aveva chiesti 100mila. Nel condannare l'Italia la Corte di Strasburgo mette in causa i tempi lunghi del processo, il fatto che molti colpevoli sono stati prosciolti per prescrizione dei reati commessi, e che chi è stato condannato ha ricevuto pene troppo leggere in rapporto ai fatti per cui era stato incriminato. Ad esempio i giudici indicano come pene troppo leggere la multa di 100 euro inflitta a uno degli agenti che non ha denunciato le violenze commesse dai suoi colleghi, o il fatto di aver sospeso la condanna al carcere per altri agenti.

Nella sentenza i giudici sottolineano inoltre che le autorità italiane non hanno indicato se le persone sotto processo sono state sospese durante il procedimento come stabilisce la giurisprudenza della Corte di Strasburgo. I giudici di Strasburgo, però, hanno anche stabilito che Valentino Saba è stato sottoposto a trattamento inumano e degradante ma non a tortura, come sostenuto da lui.

Il Manifesto
25 06 2014

L'Italia con­dan­nata nuo­va­mente per vio­la­zione dell’articolo 3 che proi­bi­sce la tor­tura e ogni forma di trat­ta­mento inu­mano e degra­dante. La Corte Euro­pea ha con­dan­nato il nostro Paese per le vio­lenze subite dal signor Dimi­tri Alberti nel 2010 a Cerea in pro­vin­cia di Verona. Le vio­lenze sareb­bero state inferte dai Cara­bi­nieri. I giu­dici euro­pei hanno soste­nuto che le frat­ture alle costole e le lesioni ai testi­coli non fos­sero com­pa­ti­bili con il nor­male uso della forza. Inol­tre non vi sarebbe stata un’inchiesta giu­di­zia­ria effet­tiva. Il signor Alberti potrà ora avere un risar­ci­mento di com­ples­sivi 19 mila euro.

“La deci­sione della Corte Euro­pea – dichiara Patri­zio Gon­nella – que­sta volta riguarda diret­ta­mente un caso di dure vio­lenze. Dopo que­sta sen­tenza, dopo le parole del papa ci augu­riamo che subito, senza ten­ten­na­menti che sareb­bero col­pe­voli, si arrivi alla intro­du­zione per legge del delitto di tor­tura nel codice penale. Inol­tre chie­diamo che le mas­sime cari­che isti­tu­zio­nali si espri­mano a riguardo e diano segnali forti e ine­qui­vo­ca­bili con­tro gli abusi, la tor­tura e ogni forma di vio­lenza pubblica.”

Sono arrivati solo pochi giorni fa, sulle scrivanie dei giudici della Corte dei Diritti Umani di Strasburgo, circa 1500 ricorsi di malati di cancro o di altre patologie. ...
Ritiene che la scuola sia un ambiente fondamentale per la promozione dei messaggi di rispetto e "invita gli Stati membri ad agire per dare impulso a una conoscenza obiettiva delle problematiche relative all'orientamento sessuale, all'identità e all'espressione di genere... esprime preoccupazione per il fatto che i giovani Lgbti e coloro che sono considerati tali corrano un rischio maggiore di essere vittime di bullismo". ...

Il Fatto Quotidiano
07 01 2014

genitori devono avere il diritto di dare ai figli il solo cognome materno. Lo ha stabilito la Corte europea dei diritti umani che oggi ha condannato l’Italia per aver violato i diritti di una coppia di coniugi avendogli negato la possibilità di attribuire alla figlia il cognome della madre invece di quello del padre. Nella sentenza, che diverrà definitiva tra 3 mesi, i giudici indicano che l’Italia “deve adottare riforme” legislative o di altra natura per rimediare alla violazione riscontrata.

A fare ricorso alla Corte di Strasburgo sono stati i coniugi milanesi Alessandra Cusan e Luigi Fazzo, a cui lo Stato italiano ha impedito di registrare all’anagrafe la figlia Maddalena, nata il 26 aprile 1999, con il cognome materno anziché quello paterno. La coppia, che sin da allora si è battuta per vedersi riconosciuto questo diritto, ha vinto oggi a Strasburgo. I giudici della Corte hanno infatti condannato l’Italia per avere violato il diritto di non discriminazione tra i coniugi in congiunzione con quello al rispetto della vita familiare e privata.

In particolare, i giudici sostengono che “se la regola che stabilisce che ai figli legittimi sia attribuito il cognome del padre può rivelarsi necessaria nella pratica, e non è necessariamente una violazione della convenzione europea dei diritti umani, l’inesistenza di una deroga a questa regola nel momento dell’iscrizione all’anagrafe di un nuovo nato è eccessivamente rigida e discriminatoria verso le donne”. Nella sentenza i giudici sottolineano anche che la possibilità introdotta nel 2000 di aggiungere al nome paterno quello materno non è sufficiente a garantire l’eguaglianza tra i coniugi e che quindi le autorità italiane dovranno cambiare la legge o le pratiche interne per mettere fine alla violazione riscontrata.

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