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#Firenze: Fortezza significa forza. Adesso non più!

  • Lunedì, 20 Luglio 2015 09:42 ,
  • Pubblicato in Flash news

Abbatto i Muri
20 07 2015

Le motivazioni della sentenza di assoluzione ai sei accusati (dapprincipio) dello stupro di gruppo alla Fortezza da Basso di Firenze hanno fatto molto discutere. Per il moralismo evidente e perché il giudizio sulla vita privata e sessuale della ragazza sembrerebbe la motivazione principale che ha indotto i giudici a non crederle. Di fatto i sei, condannati in primo grado, sono stati assolti in secondo grado. Sulla sentenza vi rimando al pezzo su Il Fatto Quotidiano che descrive alcuni dei motivi per cui i giudici hanno assolto i sei. Nel frattempo, mentre il web si divide in innocentisti e colpevolisti, è arrivata la mail della ragazza che ha denunciato lo stupro. La pubblico, così com’è. A lei va un grande abbraccio, ma proprio grande, con tutta la mia solidarietà. Buona lettura!

Vorrei riuscire a scrivere qualcosa che abbia un senso ma non posso perché un senso, questa vicenda, non ce l’ha. Sono io la ragazza dello stupro della fortezza, sono io.
Esisto. Nonostante abbia vissuto anni sotto shock, sia stata imbottita di psicofarmaci, abbia convissuto con attacchi di panico e incubi ricorrenti, abbia tentato il suicidio più e più volte, abbia dovuto ricostruir a stenti briciola dopo briciola, frammento dopo frammento, la mia vita distrutta, maciullata dalla violenza: la violenza che mi é stata arrecata quella notte, la violenza dei mille interrogatori della polizia, la violenza di 19 ore di processo in cui é stata dissezionata la mia vita dal tipo di mutande che porto al perché mi ritengo bisessuale.

Come potete immaginare che io mi senta adesso? Non riesco a descriverlo nemmeno io. La cosa più amara e dolorosa di questa vicenda é vedere come ogni volta che cerco con le mani e i denti di recuperare la mia vita, di reagire, di andare avanti, c’é sempre qualcosa che ritorna a ricordarmi che sì, sono stata stuprata e non sarò mai piú la stessa. Che siano state le varie fasi della lunghissima prima udienza, o le sentenze della prima e poi della seconda, ne ho sempre avuto notizia dai social media piuttosto che dal mio avvocato. Come mai questo accada non lo so. So soltanto che é come un elastico che quando meno me l’aspetto, mentre sono assorta e impegnata a affrontare il mondo, piena di cicatrici, ma cercando la forza per farcela, questo maledetto elastico mi riporta indietro di 7 anni, ogni maledetta volta.

Ogni maledetta volta dopo aver lavorato su me stessa, cercato di elaborare il trauma, espulso da me i sensi di colpa introiettati, il fatto di sentirmi sbagliata, sporca, colpevole. Dopo aver cercato di trasformare il dolore, la paura, il pianto in forza, in arte, ecco un altro articolo che parla di me. E io mi ritrovo catapultata di nuovo in quella strada, nel centro antiviolenza, nell‘aula di tribunale. Tutto questo mi sembra surreale come un supplizio di Tantalo.
La memoria é una brutta bestia. Nel corso degli anni si dimenticano magari frasi, l’ordine del prima e dopo, ma il corpo sa tutto. Le sensazioni, il dolore fisico, il mal di stomaco, la voglia di vomitare, non si dimentica.

Che poi quanti sforzi ho fatto per ritornare ad avere una vita normale, ricominciare a studiare, laurearmi, cercare un lavoro, vivere relazioni, uscire, sentirsi a proprio agio nel proprio corpo, nella propria città. E quante volte sono stata invece redarguita dal mio legale, per avere una “ripresa”. Per sembrare andare avanti, e non sconfitta, finita. “La vittima deve essere credibile”. Forse se quella volta avessi inghiottito più pasticche e fossi morta sarei stata più credibile? Forse non li avrebbero assolti?
Essere vittima di violenza e denunciarla é un’arma a doppio taglio: verrai creduta solo e fin tanto che ti mostrerai distrutta, senza speranza, finché ti chiuderai in casa buttando la chiave dalla finestra, come una moderna Raperonzolo. Ma se mai proverai a cercare di uscirne, a cercare, pian piano di riprendere la tua vita, ti sarà detto “ah ma vedi, non ti é mica successo nulla, se fossi stata veramente vittima non lo faresti”. Così può succedere quindi che in sede di processo qualcuno tiri fuori una fotografia ricavata dai social network in cui, a distanza di tre anni dall’accaduto, sei con degli amici, sorridi e non hai il solito muso lungo, prova lampante che non é stato un delitto così grave. Fondamentale, ovviamente.

A sette anni di distanza ancora ho attacchi di panico, ho flashback e incubi e lotto giornalmente contro la depressione e la disistima di me.
Non riesco a vivere più nella mia cittá, ossessionata dai brutti ricordi e dalla paura di ciò che la gente pensa di me. Prima la Fortezza da Basso era un luogo pieno di ricordi positivi, la Mostra dell’Artigianato, il Social Forum Europeo, i numerosi festival e fiere. Adesso é un luogo che cerco di evitare, un buco nero sulla mappa della cittá di Firenze.
Mi é stato detto, é stato scritto, che ho una condotta sregolata, una vita non lineare, una sessualità “confusa”, che sono un soggetto provocatorio, esibizionista, eccessivo, borderline. C’é chi ha detto addirittura che non ero che una escort, una donna a pagamento che non pagata o non pagata abbastanza, ha voluto rivalersi con una denuncia.

Perché sono bisessuale dichiarata, perché ho convissuto col mio ragazzo un anno prima che succedesse tutto ció, perché amo viaggiare e unito al fatto che non sono riuscita a vivere nella mia città dopo l’accaduto, ho viaggiato molto, proprio per quella sensazione di essere chiunque e di dimenticare la tua storia in un posto nuovo. Perché sono femminista e attivista lgbt e fin dai 15 anni lotto contro questo schifo di patriarcato che oggi come sette anni fa, cerca di annientarmi come ha fatto e fa continuamente, ovunque.

Perché mi vesto non seguendo le mode, e quindi se seguo uno stile alternativo, gothic o cose del genere, sono automaticamente tacciata per promiscua. Perché sono (?) un’attrice e un’artista e ho fatto happening e performance usando il corpo come tavolozza di sentimenti e concetti anche e soprattutto legati al mio vissuto della violenza (e sì, la Body art é nata negli anni 60, mica ieri. Che poi, qualcuno si sognerebbe forse di augurare o giustificare chi stuprasse Marina Abramovic perché si é mostrata nuda in alcuni suoi lavori?).

Ebbene sì, se per essere creduta e credibile come vittima di uno stupro non bastano referti medici, psichiatrici, mille testimonianze oltre alla tua, le prove del dna, ma conta solo il numero di persone con cui sei andata a letto prima che succedesse, o che tipo di biancheria porti, se usi i tacchi, se hai mai baciato una ragazza, se giri film o fai teatro, se hai fatto della body art, se non sei un tipo casa e chiesa e non ti periti di scendere in piazza e lottare per i tuoi diritti, se insomma sei una donna non conforme, non puoi essere creduta. Dato che non hai passato gli anni dell’adolescenza e della giovinezza in ginocchio sui ceci con la gonna alle caviglie e lo sguardo basso, cosa vuoi aspettarti, che qualcuno creda a te, vittima di violenza?

Sono stata offesa non solo come donna, per ciò che sappiamo essere accaduto. Ma come amica, dal momento in cui il capetto del gruppo era una persona che consideravo amica, e mi ha ingannato. Sono stata offesa dagli avvocati avversari e dai giudici come bisessuale e soggetto lgbt, che hanno sbeffeggiato le mie scelte affettive e le hanno viste come “spregiudicate”.

Sono stata offesa come femminista e attivista lgbt quando la mia adesione a una manifestazione contro la violenza sulle donne é stata vista come “eccessiva” e non idonea a una persona vittima di violenza, essendomi mostrata troppo “forte”. Sono stata offesa dalla corte e dagli avvocati avversari per essere un’artista e un’attrice (o per provarci, ad ogni modo), un manipolo di individui gretti che non vedono oltre il loro naso e che equiparavano qualsiasi genere di nudità o di rappresentazione che vada contro la “norma” (per es. scrivere uno spettacolo sulla prostituzione) alla pornografia.

Mi hanno perfino offeso in quanto aderente alla moda giapponese delle gothic lolita (e hanno offeso il buon senso), quando hanno insinuato che fosse uno stile che ha a che fare con pornografia, erotismo e chissà cos’altro. Hanno offeso, con questa assoluzione, la mia condizione economica, di gran lunga peggiore della loro che, se hanno vinto la causa possono dir grazie ai tanti avvocati che hanno cambiato senza badare a spese, mentre io mi sono dovuta accontentare di farmi difendere da uno solo. E condannandomi a dovere essere debitrice a vita per i soldi della provvisionale che ho speso per mantenermi negli ultimi due anni, oltre al fatto che nessuno ripagherà mai il dolore, gli anni passati in depressione senza riuscire né a studiare né a lavorare, a carico dei miei, e tutti i problemi che mi porto dietro fino ad adesso. Rischio a mia volta un’accusa per diffamazione, anche scrivendo questa stessa lettera.

Ciò che più fa tristezza di questa storia che mi ha cambiato radicalmente, é che nessuno ha vinto. Non hanno vinto loro, gli stupratori (accusati e assolti in II° ndb), la loro arroganza, il loro fumo negli occhi, le loro vite vincenti, per esempio l’enorme pubblicità fatta ai b-movie splatter del “capetto” del gruppo, sono andate avanti nonostante un’accusa di stupro.
Abbiamo perso tutti. Ha perso la civiltà, la solidarietà umana quando una donna deve avere paura e non fidarsi degli amici, quando una donna é costretta a stare male nella propria città e non sentirsi sicura, quando una giovane donna deve sospettare quando degli amici le offrono da bere, quando si giudica la credibilità di una donna in base al tacco che indossa, quando dei giovani uomini si sentiranno in diritto di ingannare e stuprare una giovane donna perché e’ bisessuale e tanto “ci sta”.

Quello che vince invece, giorno per giorno attraverso quello che faccio, é la voglia di non farmi intimidire, di non perdere la fiducia in me stessa e di riacquistarla nel genere umano, facendo volontariato, assistendo gli ultimi, i disabili, le persone con disturbi psichici (perché sì, anche quando si é sofferto di depressione e forse soprattutto per questo, si é capaci di essere empatia e d’aiuto).

Se potessi tornare indietro sapendone le conseguenze non so se sarei comunque andata al centro antiviolenza, da cui é poi partita la segnalazione alla polizia che mi ha chiamato per deporre una testimonianza tre giorni dopo. Ma forse si, comunque, per ripetere al mondo che la violenza non é mai giustificabile, indipendentemente da quale sia il tuo lavoro, che indumenti porti, quale sia il tuo orientamento sessuale. Che se anche la giustizia con me non funziona prima o poi funzionerà, cambierà, dio santo, certo che cambierà.
La ragazza della Fortezza da Basso

Basta non chiamarlo marò. Lo stupratore sui media

  • Lunedì, 06 Luglio 2015 09:18 ,
  • Pubblicato in Flash news

Contropiano
06 07 2015

Uno stupro è uno stupro è uno stupro. Qualsiasi giornalista alle prese con una notizia del genere non ha molto da pensare o da mettersi a giocare con le parole. Tranne nel caso che si tratti di un militare o comunque di un appartenente alle "forze dell'ordine".

Nel caso di Roma si sono potuti vedere all'opera tutti gli artifici lessicali possibili pur di non tirare fuori alcune parole-chiave che avrebbero potuto generare un piccolo cortocircuito mentale nei lettori o nei telespettatori. Non ci occupiamo qui, naturalmente, delle scorie umane che nei commenti da social network hanno "virilmente" provato a processare la ragazza, "rea" di aver voluto vedere i fuochi artificiali - molto istituzionali, peraltro - di Castel Sant'Angelo; e quindi di essere per strada a tarda ora, intorno a piazzale Clodio, in un'afosa e affollata serata romana.

Prendiamo il quotidiano del benpensante romano medio, Il Messaggero:

È un 31enne appartenente al Ministero della Difesa - in forza presso l'Arsenale della Marina, l'uomo fermato per violenza sessuale aggravata, in relazione allo stupro di una minorenne nei pressi di piazzale Clodio. Il militare, presunto responsabile dello stupro della 16enne, violentata a Roma lunedì sera, era di passaggio a Roma. L'uomo si sarebbe dovuto imbarcare oggi per una missione militare.

Quasi identica la scheda del Corriere della Sera:

Fermato il (presunto) responsabile dello stupro a Prati. Giuseppe Franco, 31enne originario di Cassano Jonio, in provincia di Cosenza, dipendente del ministero della Difesa in forza all’Arsenale della Marina, è «gravemente indiziato» del reato di violenza sessuale aggravata sulla 15enne. Davanti agli inquirenti all’inizio il militare avrebbe respinto l’accusa sostenendo che il rapporto con la ragazza è stato consensuale. Franco era di passaggio a Roma perché mercoledì si sarebbe dovuto imbarcare per una missione.

Ancora più sintetica la descrizione di RaiNews:

E' un militare 31enne in forza presso l'Arsenale della Marina l'uomo arrestato per violenza sessuale aggravata, in relazione allo stupro di una minorenne nei pressi di piazzale Clodio.

Si potrebbe andare avanti a lungo, ma il discorso non cambierebbe. L'ordine di scuderia - probabilmente innescato da un lancio d'agenzia su segnalazione della questura di Roma, come sempre avviene per i casi di cronaca nera - è chiaro: lo stupratore è un dipendente del ministero della Difesa in forza all’Arsenale della Marina. Non proprio un impegato pubblico, ma quasi. Impressione rafforzata dall'indignato comunicato dello stesso ministero della Difesa, che rende noto che l'uomo "è stato immediatamente sospeso dall'impiego", sottolineando che il ministero "dove ne ricorrano i presupposti, non mancherà di promuovere la costituzione in giudizio della pubblica amministrazione".

Diciamo che a questo punto ci si poteva addirittura attendere un'indignata articolessa contra la "casta" dei dipendenti pubblici, nullafacenti e all'occasione anche stupratori. Non mancano certo penne audaci abituate a far questo.

Certo, quel dettaglio messo in fondo ("mercoledì si sarebbe dovuto imbarcare per una missione") stona un po' con l'immagine del travet nullafacente. Anzi, richiama tutt'altro immaginario, come anche le prime foto che ritraggono un palestrato parecchio in forma. Gli impiegati non vanno in "missione di pace" (a proposito: non ci hanno neanche detto quale).

Gli arsenali della Marina sono molti, quasi tutti allo stato museale. Ma non è lì che svolge le sue mansioni l'arrestato. Anzi, il sito ufficiale del ministero della Difesa non fa neanche menzione di "arsenali" di questo tipo nella sua area di competenza.

Dunque? Il signore ripreso dalle telecamere mentre fugge è certamente un "militare" che doveva "partire in missione". Insomma è un uomo dei gruppi operativi (non ci viene detto quale), uno che va a combattere e a sparare, non un passacarte alle prese con i timbri.

Gente così, ma forse siamo solo sospettosi, in genere viene definita marò, anche se il termine tecnicamente viene riferito specificamente agli incursori. Ma come faceva un giornalista medio, un faticatore della cronaca cittadina, a rischiare il posto usando una parola che deve essere usata soltanto per "i santi" affittati per proteggere una petroliera privata e sciaguratamente autori di un duplice omicidio ai danni di due pescatori? Gente, insomma, che "rivogliamo indietro" e per cui ci viene spesso chiesto di spendere una lacrimuccia...
Ma è in questo modo che viene imbesuita l'"opinione pubblica"....

 

Huffington Post
03 07 2015

Ci sono sentenze che sono lapidi sulla tomba della giustizia. Sentenze che si appoggiano sulla testa della vittima e restano lì, pesantissime, col loro carico di legalità (ché quella mica la stiamo a discutere) come un marchio d'infamia a imperitura memoria. Da qualche giorno una di queste ha stabilito che se non urli, non sbraiti, non tiri calci pugni e graffi come una gatta arruffata, mentre un paio (almeno) di maschi col testosterone imbizzarrito ti stuprano, non si può dimostrare che questo paio (almeno) di maschi abbiano abusato di te. E va a finire che loro, che pure ti hanno risarcita economicamente per il danno subito, vengano prosciolti da ogni accusa.

Succede che un paio di anni fa, nell'afa estiva dell'Emilia, un gruppo di ragazzi, di quella che viene riconosciuta come la Modena bene, decida di organizzare una festa nella villa con piscina di uno di loro. Succede anche che in una festa in piscina se non ci sono i bikini di qualche femmina da occhieggiare ci si rompa parecchio a fare delle vasche. E succede pure che se ci sono delle ragazze, e se non ci sono in giro dei genitori, la Coca Cola venga allungata con il rum e la Lemon con la vodka... E per gli astemi ci sia anche un po' di fumo. Tutto normale ci si appropria della libertà degli adulti e dei loro più o meno presunti privilegi approfittando della loro assenza.

16 anni li abbiamo avuti tutti e le prime sbornie, le peggiori di tutta la vita, si sono prese nella completa incoscienza dei propri limiti. Io mi ricordo le mie, di sbornie, e ricordo ancor meglio le amiche con cui le prendevo. Eravamo un bel gruppo, eravamo unite, ci spalleggiavamo e ci coprivamo ma qualunque cosa fosse successa nessuna di noi sarebbe stata lasciata sola quando non era in grado di reggersi sulle gambe. Ma io son stata ragazzina tra la fine degli anni '80 e l'inizio dei '90 e a ripensarci oggi sembra passata un'era geologica. Mi ricordo delle feste a casa di qualche amico di un'amica, senza piscina, che io di amici bene non ne ho mai avuti (e per fortuna). Mi ricordo che una delle discriminanti che ci faceva decidere se andare o no a quella festa era capire se ci sarebbe stato anche il tipo che ci piaceva (spesso a tutte contemporaneamente). Mi ricordo di risate alcoliche oltre ogni buongusto e buonsenso e mi ricordo di mal di testa da prendere a craniate il muro il giorno dopo.

Non mi ricordo, e non perché la mia memoria vacilli, di nessuna di noi chiusa in una doccia che scivola lungo la parete di quella stessa doccia mentre un paio (almeno) di bei cristi se la passano a turno. "Dài che questa è una che ci sta e poi non capisce niente, guarda come è fuori". Vero: è fuori, cotta di alcol e hashish. Talmente fuori da vivere quello che gli psichiatri chiamano fenomeno di derealizzazione: una specie di presa di distanza del cervello dalla realtà, quando questa è troppo agghiacciante e spaventosa per poter venire accettata. È talmente fuori, questa tipa (che ha appena 16 anni) che non oppone resistenza a mani invadenti e membri ingombranti di eccitazione. Non urla, non piange, non scalpita e non graffia: "Dai, ci sta"... E poi magari domani neanche si ricorda. E invece, vestita del suo costume e della sua vergogna, lei capisce poco dopo cosa le è successo. Lo capisce al punto da non poter prendere sonno, dal chiamare le amiche e confidarsi con loro e, alla fine, decidere di raccontare tutto alla sua mamma. Che resta di pietra, finge calma, ma impazzisce di rabbia e di dolore per quello che un manipolo di bellimbusti ha fatto alla sua bambina.

Non è facile denunciare una violenza, lo è ancor meno quando sei costretta ad ammettere che eri fuori, che avevi bevuto e ti eri intorpidita il cervello con qualche canna. Non è facile perché inevitabilmente ti scontri con chi pensa che, alla fine, te la sei un po' cercata. Che se a una festa diventi la ragazza del gruppo, vuol dire che sei una di "quelle" e la denuncia del giorno dopo è solo un tentativo goffo e disperato che tiri su per riverginarti imene e coscienza.

Nonostante tutto vai e denunci, mentre la tua città che è grande come uno sputo quando si tratta di appenderti addosso cartello di infamia, ti guarda con un insopportabile ironico disprezzo. Perché quelli che hanno abusato di te sono dei bravi ragazzi e se tu non avessi voluto farci sesso avresti potuto molto semplicemente dire di no. E se non sei stata in grado di farlo, peggio per te. La prossima volta bevi di meno. Mica è colpa di un maschio se approfitta di una femmina... Che poi chiamalo maschio uno che approfitta di una femmina.

Tant'è, tu vai avanti, ti fai la tua battaglia in Tribunale, ti sottoponi a perizie e controperizie, parli con psichiatri, psicologi e magistrati. Racconti la tua storia e provi a non ondeggiare nella fiducia: ti crederanno, tu sai che stai dicendo la verità. E in qualche modo lo crede anche il giudice che per le infinite pagine della motivazione della sentenza, che assolverà i tuoi stupratori, riconosce l'onestà delle tue parole. Solo che non ci sono le prove: "Se è vero che il comportamento passivo della vittima - si legge nelle motivazioni della sentenza - e il fatto che scivolasse nella doccia avrebbero dovuto indurli a sospettare che la stessa avesse perso la lucidità necessaria per presentare un valido consenso all'atto sessuale è altrettanto vero che l'assenza di azioni di respingimento e di invocazioni di aiuto avrebbero potuto ingenerare la convinzione che la 16enne fosse consenziente".

Tanto basta per proscioglierli e smacchiargli la fedina penale. Per le coscienze no, non c'è sentenza, non c'è magistrato, non c'è perizia che possa ripulire l'infamia di avere abusato di una donna, del suo sesso e della sua dignità.

Deborah Dirani

Poco di buono

rootsA Prati, quartiere del centro di Roma, una ragazzina viene trascinata in un parco e stuprata da un uomo di trent'anni. Immediata sul web si scatena la caccia al nero, all'immigrato, al rom, al sindaco Marino che li lascia andare in giro tutti e tre indisturbati a violentare le nostre donne
Massimo Gramellini, La Stampa ...

Huffington Post
02 07 2015

Nonostante il presidente sudanese Omar Hassan al Bashir avesse chiesto a più riprese che l'Onu avviasse un piano di ritiro delle truppe di pace dispiegate in Sudan, il Consiglio di sicurezza ha prorogato di un anno la Missione congiunta dell'Unione africana e delle Nazioni Unite in Darfur. La risoluzione, approvata all'unanimità al Palazzo di vetro nella notte del 30 giugno, rischia di portare ad un punto di rottura la comunità internazionale e il governo di Khartoum, che nega l'inasprimento del conflitto in atto nella regione.

Bashir e i suoi ministri hanno accusato più volte le Nazioni Unite di diffondere false informazioni sulla situazione umanitaria e sulla sicurezza nel paese, con lo scopo di garantire la prosecuzione di Unamid. Non è un caso che il reggente degli Esteri, Ibrahim Ghandour, pur non contestando la risoluzione del Consiglio, abbia rinnovato nelle ore in cui venva approvata l'invito a elaborare una "exit strategy" riprendendo "immediatamente" le consultazioni con il gruppo di lavoro congiunto - composto da 16 funzionari governativi sudanesi, 13 esponenti delle Nazioni Unite e otto funzionari dell'Unione africana - per studiare una "strategia di uscita per migliorare le future relazioni con la missione",

Più che un invito le parole di Ghandour sono apparse come una velata minaccia.

La risoluzione sottolinea la "mancanza di progressi sul versante umanitario e il significativo deterioramento della situazione della sicurezza", Riafferma, inoltre, le priorità strategiche della missione, ovvero la protezione dei civili, la facilitazione della fornitura di assistenza umanitaria, la sicurezza del personale e il sostegno alla mediazione delle comunità in conflitto. Nel corso della riunione del Consiglio di sicurezza è intervenuta anche la procuratrice della Corte penale internazionale, Fatou Bensouda, ricordando che a sei anni dall'emissione del mandato d'arresto nei confronti del presidente Bashir per crimini di guerra nel Darfur, la determinazione della Cpi ad assicurare "una giustizia indipendente e imparziale" al popolo sudanese resta immutata. Nonostante la poca collaborazione da parte dei paesi adeternti allo Statuto di Roma che ne ha decretato la fondazione, come il Sudafrica.

Lo stato africano, la scorsa settimana, ha permesso a Bashir di partecipare al vertice annuale dell'Ue e di lasciare il Paese contravvenendo alle indicazioni del Tribunale dell'Aja che ne aveva chiesto l'arresto e l'estradizione. "La questione cui dobbiamo rispondere oggi - ha affermato la Bensouda - è se il popolo del Darfur, che continua a patire sofferenze riconosciute anche dall'Unione africana, debba ricevere la giustizia che merita. Se alle loro difficoltà si risponderà con una giustizia imparziale e indipendente o se le loro richieste continueranno a incontrare solo una tacita inazione". Secondo i rapporti delle Nazioni Unite e di diverse organizzazioni internazionali, nei combattimenti tra le forze governative e i gruppi armati ribelli sono state commesse atrocità come stragi di civili e stupri di massa.

Le violenze e i bombardamenti sono diffusi non solo in Darfur, ma anche in altre aree del Sudan. Resta però la regione occidentale la vera spina nel fianco di Khartoum. Dodici anni dopo lo scoppio del conflitto e l'avvio di quella che è stata definita la crisi umanitaria più grande del mondo, in Darfur si continua a morire e circa l'80 per cento della popolazione è direttamente coinvolta nella lotta armata.

Nonostante il disarmo delle milizie (mai realizzato concretamente), l'embargo sulle armi deliberato nel 2004 e l'imponente missione di peacekeeping dispiegata sul territorio, questa "guerra dimenticata" prosegue e si inasprisce sempre di più nell'indifferenza della comunità internazionale, che si limita ad appoggiare risoluzioni inefficaci e che restano su carta.

Antonella Napoli

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