Il Manifesto
20 01 2015
momento sembrano avere non più che la consistenza di parole, gli scambi epistolari tra Mosca e Kiev sulla nuova convocazione, per questa settimana, del Gruppo di contatto sulla crisi ucraina. Già da una settimana le artiglierie hanno ripreso a martellare i quartieri di Donetsk e Lugansk.
Dopo i 13 morti di Volnovakha, martedì scorso, causati da una mina ucraina fatta brillare nelle vicinanze di un autobus (secondo la testimonianza — tra le altre — dell’autista), gli obici hanno intensificato i tiri tra sabato, domenica e ieri. Due morti a una fermata di autobus a Gorlovka; nove morti, tra cui un bambino, domenica a Donetsk; un morto ieri e almeno cinque feriti, per un colpo di artiglieria caduto sull’ospedale n. 3 di Donetsk.
E mentre a Kiev Poroshenko e Jatsenjuk inscenano la veglia «Je suis Volnovakha» – addossando la responsabilità alle milizie, secondo queste ultime, la distanza delle loro artiglierie dal luogo del massacro non consente di colpire l’area – si susseguono dichiarazioni e smentite su chi controlli ciò che resta dell’aeroporto di Donetsk. Kiev continua a parlare di riconquista da parte delle forze ucraine; ma ancora domenica sera, il canale russo Planeta mandava in onda la diretta dall’interno del terminal, con i miliziani che mostravano le armi leggere americane rinvenute nel sottosuolo e rispondevano al fuoco dei militari appostati all’esterno. Il controllo dello scalo è vitale: è da lì che l’esercito di Kiev può riversare i propri colpi su Donetsk.
Nonostante gli incontri di Berlino di inizio anno, l’ufficiale Deutsche Welle aveva scritto che Poroshenko, mentre parlava di trattative, preparava un’offensiva in grande stile; previsione rafforzata dal Ministro degli Esteri russo Sergej Lavrov, che il 12 gennaio citava fonti sicure sulla mobilitazione di 200mila soldati ucraini. La scorsa settimana ha visto l’intensificarsi dell’offensiva ucraina: difficile sfuggire alla sensazione che Poroshenko, mentre sfilava a Parigi, l’11 gennaio, con i capi di Stato e di governo, avesse ricevuto il via libera per la guerra.
La conferma indiretta pareva giungere anche dalla decisione della Rada di portare da due a cinque anni di reclusione la sanzione per i renitenti. Quindi, il 13 gennaio la strage di Volnovakha; il 15, il parlamento europeo — che, come hanno detto alla Duma russa, «agisce da megafono di Washington» — chiede l’inasprimento delle sanzioni contro la Russia; il 16 salta il previsto incontro di Minsk e lo stesso giorno il rappresentante russo presso l’Osce dichiara che ci si attende una soluzione di forza da parte di Kiev.
E anche se nella notte tra domenica e lunedì, Kiev, in risposta alla proposta di Putin sul ritiro delle artiglieri pesanti dalla linea del fronte, proponeva un «grafico di implementazione» degli accordi di Minsk e il cessate il fuoco a partire dal 19 gennaio, proprio ieri si verificavano i nuovi bombardamenti ucraini su Donetsk. Intanto, sembra che ieri l’ex «Governatore del popolo» del Donbass Pavel Gubarev sia stato rapito da uomini armati che parlavano con accento ceceno.
Poco probabile che i rapitori appartenessero a quella parte di popolazione che appoggia il presidente filorusso Kadyrov, che ieri, rispondendo al suo appello, ha dato vita a Grozny a una marcia di protesta contro le caricature di Maometto.
Pagina 99
20 11 2014
Potrebbe essere la terza volta in poco più di 20 anni che in Ucraina, o almeno in una sua parte, si cambia il modo di raccontare la storia. La rivoluzione continua nelle scuole: bruciati i vecchi libri di testo, in arrivo di nuovi. E non si tratta di un cambio di casa editrice e di edizione, ma di una riscrittura narrativa della storia del paese che passa attraverso i libri su cui i ragazzi studiano nelle scuole dell’est del paese. La vita è cambiata, la routine quotidiana trova sfogo solo nella guerra. La storia e la geografia del Donbass si poggiano ora su nuovi presupposti, sicuramente più russi che ucraini.
Ihor Kostenok, ministro dell’educazione della Dnr, la Repubblica popolare di Donetsk, a metà settembre aveva detto che il “sistema scolastico russo è riconosciuto come uno dei migliori al mondo”. A partire da questo l’Ucraina orientale sta attuando una specie di marcia indietro. Storica. Ci sono voci sempre più insistenti che camion carichi di nuovi libri scolastici stiano arrivando in Ucraina dalla Russia per sostituire quelli utilizzati fino ad ora.
Il Donbass è ora Repubblica autoproclamata di Donetsk e Lugansk, realtà non riconosciute dalla maggior parte dei paesi del mondo ma, in qualche modo, rispettate dalla Russia. Nell’est governano i separatisti filorussi: il 2 novembre hanno indetto “elezioni democratiche”, hanno un proprio organo esecutivo, hanno promesso di riaprire i rubinetti dei fondi per le pensioni, bloccate da mesi, fare funzionare gli uffici. Dal primo ottobre le scuole sono state riaperte, anche se molti genitori non si fidano a fare uscire di casa i propri figli con il rischio di essere colpiti dal fuoco ucraino, così organizzano classi private negli appartamenti ancora rimasti in piedi o nei bunker.
I ragazzi dovranno resettare tutto quello imparato fino ad ora e apprendere un nuovo passato. “Niente di più verosimile”, spiega Giovanna Brogi, presidente Aisu, associazione italiana di studi ucraini e docente di Slavistica presso l’università degli Studi di Milano. “Sarebbe la terza volta in meno di 30 anni che il paese cambia i libri nelle scuole: dopo che nel 1991 l’Ucraina è diventa indipendente e fuori dal controllo dell’Unione Sovietica, ormai sgretolata, il governo ha iniziato un lungo e faticoso processo per riappropriarsi della propria storia. I libri sono stati riscritti, magari con piglio nazionalistico, ma sicuramente più realistico rispetto al modo di raccontare della Russia”.
Nel 2010, però, il presidente Viktor Janukovyč, una volta salito al potere, forte del suo legame con il Cremlino, ha cercato di invertire la rotta, facendo ritirare dalle scuole i libri per sostituirli con altri di impostazione più russofona. Una sorta di censura che non è arrivata fino in fondo e solo in alcune scuole il cambio di testi è riuscito. Quello che sta accadendo ora potrebbe essere un dejavù per molti ucraini.
“Ormai non è più una questione di lingua, ma di tradizione. L’Unione Sovietica aveva insegnato all’Ucraina un passato con molte omissioni. E’ dal 1648 che questo paese è sotto l’ombra della Russia e in periodi alterni ha sempre cercato di liberarsi dal controllo di Mosca, la storia è ciclica. Tutti questi tira e molla non sono mai stati segnalati nei manuali di storia in Russia, così come la forte appartenenza al mondo occidentale che Kiev ha sperimentato fin dal 1400 quando faceva parte dell’unione Polacco Lituana. Semplicemente centinaia di anni di storia sui libri di testo non sono mai esistiti”, spiega ancora Brogi.
A Donetsk molti ricercatori e professori universitari si sono spostati in altre regioni. Nel Donbass rimangono però le scuole dell’obbligo (di 9 anni) e per gli studenti, nel tempo, si dovrà riscrivere la storia, la geografia e la letteratura. Agli insegnanti di Donetsk però è concessa totale libertà di azione: lì il governo ucraino non può intervenire, la città è sotto il controllo dei separatisti.
“Non ci sarà nessuna caccia alle streghe”, ha detto il ministro dell’educazione ucraino Sergey Kvit in una intervista al sito di informazione Gordon, gli insegnanti del Donbass continueranno a lavorare, il governo darà loro la possibilità di cambiare opinione”.
Una dichiarazione che si scontra in parte con la realtà dei fatti. Nei paesi dell’est tornati da poco sotto il controllo ucraino molti docenti hanno riferito di essere stati torturati e picchiati, di altri si sono perse le tracce. “Sappiamo che i vecchi libri scolastici sono stati bruciati e sono in arrivo i testi dalla Russia, la situazione non può essere controllata da noi nell’area della Dnr. Inoltre, ha detto ancora il ministro, i diplomi ottenuti nelle scuole del Donbass non hanno valore al di fuori della regione, chi lo vorrà dovrà farsi autenticare il certificato altrove. Di fatto quegli studenti non vivono più in Ucraina”.
Ilaria Morani
Globalist
24 10 2014
"Ho rimosso decine di volte le schegge dai corpi dei feriti : le truppe ucraine utilizzano bombe a frammentazione", dichiara un chirurgo di Donetsk, roccaforte dei ribelli filo-russi, confermando le accuse lanciate l'altro ieri da " Human Rights Watch" contro le forze di Kiev.
L'organizzazione non governativa ha denunciato l'uso da parte dell'esercito ucraino delle "cluster bombs" contro i separatisti filo-russi dell' est, anche se il ministero della Difesa ucraino respinge l'accusa. "Queste armi non sono fatte per distruggere gli edifici ma solo per uccidere la gente. Ho rimosso decine di volte dai corpi di militari e civili i piccoli dardi partiti dalle munizioni usate da ucraini e che sono vietate in tutto il mondo ", racconta indignato il chirurgo dell'ospedale Kalinin a Donetsk, che non vuole fornire il suo nome.
L'Ucraina, come gli Stati Uniti e la Russia, non ha firmato il Trattato di messa al bando delle munizioni a grappolo del 2008, ma le autorità di Kiev negano egualmente di avere utilizzato tali munizioni contro i ribelli. "Questi piccoli dardi causano lesioni in profondità, alle volte troviamo fino a 20 o 30 freccette all'interno di una sola ferita", continua il chirurgo.
A pochi chilometri dall'ospedale Kalinin, nella piccola città di Makiivka vicina a Donetsk, un leader dei ribelli ha mostrato ai giornalisti bombe inesplose piene di centinaia di piccole freccette di 2 cm di lunghezza e provviste di alette. "Questo ordigno ha colpito Makiivka, un altro simile è caduto in quartieri vicini all'aeroporto di Donetsk, dove il fuoco dell' artiglieria è quotidiana," ha detto Alexei, combattente ribelle di 40 anni. Secondo lui, le forze ucraine "usano queste munizioni dall'inizio della guerra" contro Donetsk , e questi dardi di solito vengono sparati da sistemi di tubi lanciarazzi montati su camion, sul tipo dei vecchi "organi di Stalin".
Nell' ospedale 17 di Donetsk, il chirurgo Nikolai Vladimirovich conferma a sua volta di avere verificato gli effetti di questo tipo di arma: "Dieci giorni fa ho dovuto compiere un intervento su una persona raggiunta da questo tipo di ordigno", racconta, mentre In altri tre ospedali della città altri chirurghi dicono di non aver mai avuto a che fare con questo tipo di munizioni. "Ho visto questa roba in TV, ma mai nel nostro reparto di chirurgia", dichiara uno dei leader dei servizi di emergenza presso l'ospedale regionale di Donetsk, il chirurgo Igor Vasilyevich.
Da parte sua, il vice primo ministro dell'autoproclamata "Repubblica di Donetsk", Andrei Pourgin, continua a parlare di "crimini di guerra" commessi dall'esercito ucraino. "Ci sono stati decine di casi in cui hanno usato tali armi, e questo é un crimine di guerra. Speriamo che qualcuno analizzi questi crimini in modo da garantire che un tribunale internazionale giudichi i colpevoli , vale a dire, lo stato ucraino".
27ora
21 10 2014
Anastasia è la figlia di tutti in redazione. Con Massimiliano gioca a pallone (anche tra le scrivanie…), con Letizia parla di scarpe e vestiti (è pur sempre una ragazzina!), in Amerigo (caporedattore e bravo papà) vede il padre che non ha mai avuto, morto troppo presto, sorpreso ubriaco dalla neve. La prima volta che ha varcato i tornelli di Tv2000 aveva nove anni e, dopo un paio di giorni, sarebbe stato Natale.
Era arrivata a Fiumicino con un improbabile paio di stivaletti neri di vernice, indossati con nonchalance sotto una tuta acetata blu con tanto di riga rossa, un golfino arancione, cappottino, cappello e sciarpa rosa. In Ucraina, il termometro segnava -10, ma nel suo zainetto non aveva molto di più. Come tutti gli altri bambini del gruppo, si guardava attorno spaesata, quasi fosse sulla Luna, improvvisamente catapultata in un posto incomprensibile, in mezzo a peluche di benvenuto, baci e abbracci. Non parlava una parola di italiano, qualcuno le aveva detto di chiamare tutti «mama» e «papa». Captatio benevolentiae nel paese del «i figli so’ piezz ‘e core».
È entrata così a far parte della mia vita di giornalista senza orari e senza marito. Lo Stato, che giustamente garantisce un periodo di congedo parentale alle coppie che hanno un bambino o che adottano, non riconosce nulla (e sottolineo nulla) a chi decide per un affido, per di più temporaneo. Personalmente, senza la disponibilità di direttori e colleghi (e non me ne vogliano mia mamma e le mie sorelle, tutte ugualmente preziose), non avrei saputo dove sbattere le testa.
Forse complice il periodo natalizio, ho ottenuto di portarla con me. In fondo, era solo fino al 15 gennaio… E invece no, è tornata ancora. Tre mesi d’estate e poi il capodanno successivo. E poi l’anno dopo, e ancora, e ancora. Abbiamo diviso la scrivania, il computer, il pranzo in mensa. Ha imparato a scalettare, scrivere, montare servizi, mi ha accompagnato in studio se dovevo condurre il tg («mi raccomando, Ana, invisibile!»). Un giorno, nel nostro open space, un po’ seccata, mi ha apostrofato in perfetto italiano: «Pensavi ti stessi mentendo?». E, continuando, a me che la guardavo esterrefatta per l’uso convinto e corretto del congiuntivo: «No, nel senso… pensavi ti stessi dicendo una bugia?». La mia più grande soddisfazione.
Ho usato il presente. Ma, per il paese di Anastasia, il presente non promette nulla di buono. Non è il momento e il luogo giusto per avere 16 anni («e mezzo!»). È un anno che non la vedo. Quando la chiamo, mi dice che «Non ci sono soldati in giro. E io respiro.