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Corriere della Sera
22 04 2013

L'uomo, 54 anni, incensurato è stato accusato di violenza aggravata e continuata. Le molestava durante le lezioni.

È stato arrestato sabato mattina D. S., 54 anni, maestro di pianoforte accusato di violenza aggravata e continuata ai danni di tre studentesse. L'uomo, incensurato, è stato arrestato dagli agenti della Squadra Mobile di Milano. Le tre ragazzine all'epoca dei fatti erano dodicenni, secondo gli inquirenti, sarebbero state oggetto delle attenzioni dell'insegnante sia durante le lezioni che questi dava loro a domicilio, sia presso un centro culturale.

L'INCHIESTA - È nata dopo che una ragazzina, nel novembre 2012, ha confidato ai genitori le «molestie» che le avrebbe riservato l'insegnante. A questo punto la famiglia della minore ha sporto denuncia. Nel corso di una perquisizione effettuata a casa dell'uomo, che è sposato, ha un figlio e vive nell'hinterland milanese, gli investigatori hanno trovato una lista delle alunne. Tra queste altre due ragazzine avrebbero ammesso di aver ricevuto «attenzioni» dall'insegnante.

LE LEZIONI - Il maestro, che insegnava presso un circolo culturale e dava anche lezioni private, aveva decine di allievi e gli inquirenti stanno cercando di appurare che non ci siano altre vittime. La ragazzina che ha fatto partire le indagini, ha denunciato un paio di episodi risalenti al novembre del 2012; un'altra molestie ripetute per circa un anno, da inizio 2012 ai primi mesi del 2013; e una terza, palpeggiamenti dal 2007 andati avanti per più di tre anni.



I bambini soldato della Repubblica Centrafricana

  • Martedì, 02 Aprile 2013 07:41 ,
  • Pubblicato in Flash news
Giornalettismo
02 04 2013

Die Welt racconta che cosa sta succedendo dopo la fuga del presidente Bozizé

di Alessandra Cristofari

Die Welt, a una settimana della presa del potere dei ribelli nella Repubblica centrafricana, racconta di un altro aspetto della battaglia che arruola bambini soldato tra le sue fila.

BAMBINI SOLDATO - Secondo un rapporto di Sunday Times, le truppe sudafricane hanno ucciso alcuni bambini soldato schierati con i ribelli. Gran parte delle uccisioni, scrive Die Welt sono avvenute durante la marcia di Bangui del 23 marzo, quando 3 mila ribelli “hanno attaccato le unità del Sud Africa che hanno reagito sparando all’impazzata e uccidendo anche i bambini soldato. Sono morti almeno 13 baby soldati”. I militari sudafricani hanno riferito al Sunday Times di non sapere che fossero dei bambini: “Solo dopo che abbiamo sparato i colpi, ci siamo resi conto di aver preso dei bambini”. Alcuni soldati sotto shock hanno raccontato delle grida dei bambini che invocavano le loro madri. Già all’inizio del 2013, l’Unicef aveva dato l’allarme sul reclutamento dei minori da parte dei gruppi ribelli ma anche dalle milizie pro-governative: “Nelle ultime settimane, nella capitale Bangui e in tutto il Paese, gruppi ribelli e milizie filo-governative sono diventati sempre più attivi. Fonti attendibili ci hanno informato che i bambini sono stati recentemente reclutati tra i loro ranghi. Questi nuovi report ci preoccupano seriamente” ha affermato Souleymane Diabate, Rappresentante UNICEF nella Repubblica Centrafricana. E ancora: “Il nostro team sul terreno sta lavorando con le organizzazioni partner per monitorare, verificare e rispondere alle gravi violazioni dei diritti dei bambini, compreso il reclutamento nei gruppi armati. Quelli più a rischio sono i bambini che hanno perso le loro case, sono separati dalle loro famiglie o sono stati in precedenza associati a gruppi armati” detto ancora Diabate. Era il 4 gennaio del 2013 mentre è delle ultime ore la notizia dell’uccisione dei baby soldato, dopo la fuga del presidente Bozizé e l’autoinsediamento di Michel Djotodia che si è proclamato nuovo presidente.

ALLARME BAMBINI - La situazione vissuta dai bambini nella Repubblica Centrafricana è monitorata dalle agenzie delle Nazioni Unite non solo per l’impiego nelle forze armate ma anche per violenze sessuali, sottrazione di minori, mutilazioni ma anche per gli attacchi contro le scuole e gli ospedali. Prima dell’esplosione del conflitto, l’UNICEF avvertiva che 2.500 bambini risultavano già essere impiegati in diverse formazioni armate: il numero probabilmente è aumentato dopo l’insurrezione che ha spodestato il presidente. Il rapporto UNICEF ha portato alla luce il coinvolgimento di:
    “ragazzi e ragazze di età inferiore a 18 anni costretti a combattere, trasportare rifornimenti, svolgere ruoli di supporto ed essere abusati come schiavi del sesso da parte di soldati adulti”.

Nonostante la lotta sia continua, l’UNICEF e le ONG in collaborazione con il Governo sono riusciti a far rilasciare mille tra bambini e bambine da parte dei gruppi armati. I minori sono stati reinseriti in famiglie e comunità. Secondo le stime delle organizzazioni, più di 300 mila bambini sono stati colpiti dalle violenze nella Repubblica Centrafricana.

ATTUALITA’ DEL PAESE - Michel Djotodia nel 2003 ha contribuito insieme a Bozizé a spodestare Patassé, insieme alla Francia e a Deby, dittatore del Ciad. Bozizé, da generale, è diventato presidente ma nel 2006 Djotodia fonda un suo partito, l’Unione delle Forze Democratiche, e critica il suo operato perché non rispetta gli accordi che avrebbero garantito ai suoi uomini di prendere parte alla guida del paese. Djotodia finisce in carcere e resta in prigione per due anni ma è solo nel 2013 che arriva un’altra offensiva militare affinché Bozizé firmi l’accordo di Libreville. La pace stenta ancora ad arrivare e Djotodia accusa Bozizé di non rispettare l’accordo e parte una nuova offensiva militare per cacciarlo: il presidente scappa dal paese e Djotodia si autoproclama presidente e ministro della Difesa in un governo guidato da Nicolas Tiangaye. Djotodia ha annunciato che non si presenterà alle elezioni del 2016, essendo ora presidente e inoltre ha dichiarato: “Lancio un appello patriottico e fraterno a rientrare ai nostri compatrioti, che hanno seguito il cammino dell’esilio. Non ci sarà alcuna caccia alle streghe perché dobbiamo promuovere la tolleranza, il dialogo e il perdono” ma intanto i soldati, e i bambini, continuano a morire.

Il bimbo frustato con un cavo elettrico dal padre

  • Martedì, 02 Aprile 2013 07:37 ,
  • Pubblicato in Flash news
Giornalettismo
02 04 2013

Accade a Reggio Emilia

di Maria Teresa Mura

Le urla di un bambino e lo schiocco delle frustate hanno fatto scoprire ai carabinieri di Reggio Emilia, grazie alle richieste di intervento giunte dai vicini di casa, una storia di violenza familiare in un paese della provincia: il padre senegalese – come riferisce il ‘Resto del Carlino’ – ha preso a frustate il figlioletto, otto anni, con un cavo elettrico causandogli lesioni e ferite in tutto il corpo. Il bimbo e’ stato ricoverato all’ospedale e giudicato guaribili in trenta giorni. E’ accaduto la sera di Pasqua.

LE SCUSE – Al loro arrivo nell’abitazione i carabinieri sono stati accolti dall’uomo che ha giustificato le urla parlando di un litigio avvenuto poco prima tra la moglie ed il bimbo, poi uscito per andare a giocare a pallone con gli amici. I militari, non convinti, sono entrati in casa e hanno scoperto il piccolo, in lacrime, ferito e rannicchiato nella vasca da bagno. E’ stato chiamato il 118, mentre il padre – 45 anni, operaio – e la madre sono stati portati in caserma per accertamenti. L’uomo – che ha detto di aver agito cosi’ per ‘educare’ il bambino – e’ stato arrestato per abuso di mezzi di correzione e disciplina, maltrattamenti in famiglia e lesioni personali aggravate. Nel cesto della biancheria da lavare i Cc hanno trovato il cavo elettrico, lungo circa un metro e del diametro di 1,5 cm, utilizzato per frustare il piccolo. (ANSA).

Il Fatto Quotidiano
26 03 2013

Secondo una recente indagine condotta su 1170 dottori di Milano e hinterland da Terre des hommes e Sbam, nonostante 6 volte su 10 venga intuito il disagio, nel 51,5% dei casi il personale medico sceglie di non denunciare perché pensa di non avere prove, di non essere preparato o teme di provocare conseguenze sulla famiglia

di Adele Lapertosa

Il sospetto ce l’hanno, eppure non denunciano: è quello che accade a molti medici quando si trovano di fronte al caso di maltrattamenti o abusi commessi a danno di bambini. Nonostante 6 su 10, tra pediatri e medici di base, intuiscano che qualcosa non va, oltre la metà (51,5 per cento) sceglie di non segnalare l’episodio all’autorità giudiziaria, perché pensa di non avere elementi sufficienti, non è preparato su come e a chi fare la segnalazione, o ha timore delle conseguenze sul contesto familiare. Il fenomeno emerge chiaramente da una recente indagine condotta da Terre des hommes e lo Sportello bambino adolescente maltrattato (Sbam) della clinica Mangiagalli di Milano, che ha sottoposto dei questionari ad un campione di 1.170 medici di Milano e hinterland.
 
”Tra i pediatri – spiega Lucia Romeo, responsabile Sbam – si sente l’esigenza di uno strumento basico, di un vademecum che spieghi come muoversi. C’è molta confusione. Del resto, per i medici che ora hanno 40-50 anni non c’è stata formazione all’università su questi temi”. Difatti, nonostante la stragrande maggioranza del campione (60 per cento) sia rappresentata da medici di lungo corso, con più di 50 anni d’età e un’esperienza professionale ultraventennale, quando si tratta di maltrattamenti, spesso confondono i segnali o non sono in grado di dare risposte corrette. Ad esempio, il 50% dà una definizione scorretta della sindrome di Munchausen by proxy (cioé quel disturbo mentale che affligge per lo più le madri, spingendole ad arrecare un danno fisico al figlio per attirare l’attenzione su di sé), collocandola tra i casi di discuria e non di ipercura, e solo il 27% sa inquadrare correttamente alcuni segni di discuria, mentre la maggior parte la confonde con altri sintomi.

E quest’incertezza e confusione, rileva Alessandra Kustermann, ginecologa e responsabile del Soccorso di violenza sessuale e domestica della Mangiagalli, “si nota anche tra i dati delle segnalazioni, emersi dalla ricerca. Tra il 2009 e 2011 sono stati infatti segnalati solo 318 casi di abusi, maltrattamenti e patologia delle cure”. I dati della procura di Milano confermano invece una realtà diversa. Tra luglio 2011 e giugno 2012, ”sono state 1.400 le denunce per maltrattamenti, e 800 quelle per stalking – precisa Pietro Forno, procuratore aggiunto del tribunale di Milano – Delle denunce di maltrattamenti, il 10% riguarda figli, spesso minorenni, e genitori. E poi ci sono 199 casi di violenza sessuale a danno di minori. Anche se a Milano c’è una rete efficace da parecchi anni, nella maggior parte delle regioni si denuncia poco e male. Spesso da parte dei professionisti sanitari c’è diffidenza nel mettere i minori in mano ai giudici”.

A livello italiano, gli studi epidemiologici mostrano che i casi di maltrattamento infantile variano da tre a sei casi su mille e le principali vittime di violenza sessuale sono le bambine. “I casi denunciati sono solo la punta dell’iceberg – conclude Federica Giannotta, responsabile diritti dei bambini dell’associazione Terre des hommes – Molte violenze non vengono intercettate neanche dai medici di famiglia e dai pediatri, e diventano evidenti solo quando sono ormai reiterate e hanno causato danni permanenti sui bambini. Nella maggior parte dei casi sotto i 13 anni a compiere le presunte violenze sessuali sono membri della famiglia, mentre sopra i 13 anni sono amici, conoscenti o sconosciuti. Fondamentale è quindi l’opera del pediatra nell’individuare le lesioni, è per questo è necessario che sia formato”.

I bambini decapitati in Birmania

  • Lunedì, 25 Marzo 2013 13:57 ,
  • Pubblicato in Flash news
Giornalettismo
25 03 2013

I minori vittime nello scontro tra i buddisti e la minoranza musulmana dei Rohingya. L'appello alle Nazioni Unite

di Alberto Sofia

In Birmania tra le vittime dello scontro tra buddisti - di etnia rakhine - e musulmani ci sono anche bambini e minori, vittime di assalti, anche dentro le scuole. La denuncia arriva da sei  associazioni europee e nordamericane dei Rohingya: Burmese Rohingya Associa3on of North America (BRANA), Burma Task Force USA (BTF-USA), il Myanmar Muslim Civil Right Movement (MMCRM), Free Rohingya Campaign (FRC) e lo European Rohingya Council (ERC): in un comunicato hanno mostrato al mondo in quali condizioni si trova la minoranza musulmana alla quale da anni sono negati diritti e cittadinanza. E che resta oggetto di persecuzioni e pogrom: come denuncia anche Rohingya.org da mercoledì 20 marzo sono ripresi gli scontri, che hanno causato almeno una ventina di morti nella città di Meikhtila, dove è stato proclamato lo stato di emergenza: “Molti musulmani sono stati uccisi, almeno 14 moschee e centinaia di case musulmane sono state distrutte, i negozi danneggiati e saccheggiati. Mentre restano più di 20 mila gli sfollati”, si denuncia. Un dramma che non risparmia nemmeno i bambini: 24 sarebbero stati decapitati dai buddisti.

I BAMBINI LAPIDATI – Sono state le associazioni occidentali dei Rohingya a lanciare un appello alle Nazioni Unite: il clima in Birmania è quello della guerra civile e a farne le spese sono soprattutto i minori della comunità musulmana. Secondo quanto riportato, 24 minori sono stati decapitati mentre si trovavano a scuola. “Condanniamo questa strage troppo spesso silenziosa e senza senso, che continua in questi giorni con i disordini di Meikhtila e altre decine di morti”. Secondo le accuse la furia dei buddisti non ha risparmiato i minori: già lo scorso novembre il Times aveva raccontato la strage di diversi bambini, sgozzati senza pietà nello stato birmano di Rakhine, che si trova al confine con il Bangladesh. Un’area dove gli scontri tra le due fazioni hanno già causato circa 200 morti e lasciato 110mila persone sfollate, negli ultimi mesi. Le vittime sono per lo più islamiche. E il sangue è tornato protagonista tra le strade della Birmania, come denunciato dalle associazioni che all’estero si battono per i diritti della minoranza. “Soltanto un intervento delle Nazioni Unite può salvare i Rohingya dal massacro: centinaia di bambini continuano a perdere la vita, tra l’indifferenza generale”, si accusa. Per questo la richiesta all’Onu è di costringere il governo birmano ad aumentare le misure di sicurezza nei confronti della minoranza, e di salvaguardare soprattutto i minori.

VIOLENZE CONTINUE – Quella nei confronti dei Rohinya è una persecuzione che ormai va avanti da tempo: in Birmania si pratica la “caccia al musulmano”, con il governo incapace di difendere la vita di persone al quale non sono riconosciuti diritti elementari. In particolare, nello Stato del Rakhine vivono più di 800 mila rohingya,  su una popolazione complessiva di circa quattro milioni di persone. Eppure la minoranza musulmana non è considerata spesso come “birmana” dalla gente: diverse organizzazioni umanitarie, compreso l’Acnur, hanno spiegato come la popolazione li discrimini e come i Rohingya siano oggetto di violenze. Un pogrom: è negata la stessa cittadinanza, mentre la minoranza non è nemmeno libera di spostarsi nel territorio birmano, sposarsi o avere accesso alle cure sanitarie e all’istruzione. Eppure la maggior parte dei Rohingya - in totale un milione in tutto il paese, ndr – appartengono a famiglie che risiedono nella regione fin dall’800, quando furono importate dagli inglesi come manodopera agraria. Negli ultimi scontri sono state distrutte numerose case dei Rohingya e un paio di moschee, parzialmente date alle fiamme e decine sono stati i morti.

SILENZIO – Il massacro rischia di pagare il silenzio della comunità internazionale. Per questo l’appello alle Nazioni Unite per un intervento rapido, in modo da sollecitare il governo a prendere misure adeguate alla loro tutela. Ma la questione dei Rohingya, che già vivono da clandestini in patria, non sembra interessare molto le potenze che hanno accolto il Myanmar di nuovo tra la comunità civile dopo le riforme che hanno restituito al paese una parvenza di democrazia. Il regime continua ad essere lodato nonostante i militari abbiano la maggioranza in parlamento e non ci sia stata una vera discontinuità con la vecchia politica del regime. L’unica misura adottato dalle autorità birmane è stata la proclamazione dello stato di emergenza nella città di Meikhtila, nel centro del Paese, dove da mercoledì sera continuano gli scontri e i morti. Gli ultimi sarebbero scattati dopo una lite in una oreficeria, terminata con l’uccisione di un monaco.

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