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Corriere della Sera
02 02 2015

L’eguaglianza non è una parola astratta. Come non lo sono la libertà e la fratellanza. I cardini della nostra Rivoluzione. Da cittadina francese sento il dovere di metterle in pratica

di Giuseppina Manin

Sulla strada dell’utopia Ariane Mnouchkine è in marcia da oltre mezzo secolo. E se tanti nel frattempo si sono perduti, tornati indietro, preso vie laterali più comode, peggio per loro. A cambiare il mondo lei non rinuncia. Nemmeno ora che i riccioli sono candidi e il bel viso severo porta le rughe di molte battaglie per l’integrazione e l’accoglienza. Per i sans papier, gli esuli afghani e tibetani, i rifugiati politici di ogni parte del mondo.

Combattute da questa icona del teatro, la più grande regista della scena europea, insieme con la troupe multietnica del suo Théâtre du Soleil, spazio dell’immaginazione al potere, sorto in un’ex fabbrica di munizioni, la Cartoucherie, nel bosco di Vincennes, fuori Parigi. Dove, dal ’64, Ariane dipana con coraggio e passione il su filo di impegno e fantasia, tenerezza e fiducia.

«La Cartoucherie è la mia casa. Lì vivo con la mia “famiglia allargata”, una settantina di persone tra attori e tecnici, tutte unite dai medesimi ideali, tutte coinvolte nella creazione teatrale collettiva».

Una «comune» nel vero senso della parola. Dove tutti partecipano alle decisioni, tutti, lei compresa, ricevete lo stesso salario, 1.800 euro al mese.
«L’eguaglianza non è una parola astratta. Come non lo sono la libertà e la fratellanza. I cardini della nostra Rivoluzione. Da cittadina francese sento il dovere di metterle in pratica».

Bandiere di Illuminismo e tolleranza che a Percoto, in Friuli, le hanno fatto conquistare il prestigioso Premio Nonino. A consegnarglielo Peter Brook, altra leggenda del teatro, che come lei ha sempre condiviso quei valori.
«Anche Peter è un figlio del secolo dei Lumi. Ci conosciamo da tanti anni, il nostro è stato un percorso parallelo».

Non a caso lei ha firmato «1789», famoso spettacolo che paradossalmente ha debuttato non in Francia ma a Milano.
«È stato Paolo Grassi a invitarmi. Conosceva il nostro teatro e ne condivideva la filosofia e il linguaggio. Grassi è stato molto importante per noi. Ci ha sostenuto agli inizi, ci ha invitati successivamente anche con L’Age d’or. E quindi, da presidente della Rai, ha anche coprodotto il nostro film su Molière».

E di Strehler cosa ricorda?
«Alcuni suoi spettacoli. Soprattutto l’Arlecchino e I giganti della montagna. Un grande regista, ma l’amicizia è stata più con Grassi. Il legame con il Piccolo, proseguito fino a oggi, lo dobbiamo a lui».

Il suo teatro porta in scena i classici, da Eschilo a Shakespeare (ultimo titolo, «Macbeth»), intrecciandoli però con culture «altre», specie orientali. E così pure accade per i tanti testi originali, mirati all’attualità, scritti su misura da Hélène Cixous.
«Di volta in volta abbiamo affrontato il tema delle guerre, dall’Iraq alla Siria, dell’esilio dell’umanità e della cultura violate. I tibetani oppressi dai cinesi, gli afghani e i palestinesi in perenne conflitto civile…».

Il suo è davvero un teatro speciale. Anche nella forma?
«Il Soleil è aperto a tutti. Giovani e meno giovani, francesi e stranieri si ritrovano qui uniti da emozioni comuni. Dal legame misterioso e quasi erotico che il pubblico stabilisce con chi è in scena».

Ogni sera è lei ad accogliere come una padrona di casa il pubblico, invitandolo a spiare gli attori prima dello spettacolo, mentre si truccano e si vestono. E poi a mangiare tutti insieme il cibo cucinato dalla compagnia.
«Il teatro è questo. Non spettacolo ma rito, cerimonia collettiva da cui tutti, attori e spettatori, devono uscire più forti e più umani. Il teatro non è solo quel che dici, è quel che fai. Concreto come l’utopia. Che non è qualcosa impossibile da fare, ma qualcosa che ancora non è stata fatta. L’importante è provarci, camminare su quella strada».

Cosa direbbe a un giovane d’oggi?
«Di fuggire come la peste la cupezza appiccicosa che ci gettano addosso tutti i giorni, fatta di odio e di diffidenza verso gli altri. Di tornare a sognare, nonostante il cinismo e la volgarità imperanti. Di credere all’immaginazione, il nostro muscolo più importante. Ma anche alla puntualità e alla gentilezza. Così necessarie nel quotidiano. E soprattutto di credere nell’amicizia, la vera pozione magica della vita».

Senza alcun limite?
«I soli sono la coscienza, il rispetto dell’altro, la giustizia, la solidarietà».

Parole difficili da metter in pratica dopo la tragedia di Charlie Hebdo e le polemiche conseguenti.
«Quelle vignette possono anche non piacermi, ma sono prima di tutto una cittadina francese. E la Francia è uno stato laico, dove dal XVIII secolo sono in vigore la libertà di parola e di satira. Questa è la nostra legge. Per questo alla grande manifestazione dell’11 gennaio i miei attori e io abbiamo partecipato issando un’enorme Marianne di legno e pezza. Per ricordare a tutti i nostri valori cardine».

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Cronache del Garantista
02 02 2015

Vietato fare i mendicanti, pena la carcerazione. La Norvegia ha perso la sua innocenza riguardante i diritti umani. Dopo la strage di Utoya il paese nord europeo scopre la sua anima nera e ha cambiato radicalmente volto da quando alle elezioni del 2013 ha stravinto un partito conservatore.

La piccola ma ricchissima monarchia costituzionale ha consegnato il Paese a un governo che vede l’attiva partecipazione di quello che in passato fu proprio il partito dell’estremista stragista di destra Anders Breivik, il Partito del Progresso, populista e anti immigrazione.

Tra le iniziative che fanno discutere, una è la legge che sarà varata tra pochi mesi: la mendicità sarà punita con la galera. La riforma legale, proposta dai conservatori e dalla destra xenofoba, sta per essere, quindi, ultimata. La proibizione – abolita nel 2005 dai progressisti che hanno governato per ben otto anni – ha ricevuto consensi anche dai partiti del centro. Multe e carcere sono le misure restrittive con cui il governo intende punire gli indigenti.

È un paese ricco grazie soprattutto al suo petrolio, ma c’è comunque la povertà e il governo conservatore già a partire dal 2013 aveva già fatto una riforma locale conferendo ai municipi l’autonomia rispetto alle soluzioni da adottare per fronteggiare la povertà per le strade.

La riforma locale, che prevede la possibilità di multare i mendicanti e di incarcerarli, ha trovato consenso soprattutto nel sud del paese, ma non nella capitale. Nei municipi aderenti, la polizia utilizza registri appositi in cui segnalare le generalità degli indigenti.

La crisi economica ha dato maggiore impulso ai flussi migratori. La Norvegia, infatti, è fra le destinazioni più gettonate dall’Europa più povera. Con una sovrabbondanza di materie prime, come il petrolio, il gas e l’energia idroelettrica, e una scarsità di manodopera, il paese si caratterizza per una densità di popolazione fra le più basse del continente e per un tasso di disoccupazione non di certo preoccupante.

Secondo una statistica della polizia locale, dei duecento indigenti che, ogni giorno, chiedono l’elemosina ad Oslo, solo sette sono norvegesi. Il resto proviene dall’est. I promotori della riforma legale sostengono che, negli ultimi anni, gli indigenti siano più aggressivi. Questo, a giudizio dei richiedenti, comporta un aumento dellacriminalità. Oslo, con una popolazione sette volte minore rispetto a quella di Berlino, sarebbe vittima dello stesso numero di scippi.

Inoltre, i sostenitori adducono come ragione fondante la correlazione fra l’elemosinare e il traffico di esseri umani. «È importante tenere conto del contesto. Non è che non sopportiamo di vedere le persone bisognose, questa soluzione si adotta a causa del vincolo fra gli indigenti e la criminalità organizzata », ha dichiarato, qualche mese fa in occasione della riforma locale, la prima ministra Erna Solberg. Il paradosso vuole che la stessa Norvegia che vuole ”risolvere” la povertà con la repressione, nello stesso tempo stanzia più fondi da destinare al sociale e ai rom, ma direttamente in Romania.

Nel frattempo questa proposta di riforma legale ha generato ampie critiche dalle organizzazioni internazionali che si occupano dei diritti umanitari. Fra queste, quella di Sunniva Ørstavik, rappresentante della Equality and Anti- Discrimination Ombud che teme la discriminazione del popolo rom. Anche la Commissione nazionale per i diritti umani denuncia i possibili effetti discriminatori e la violazione della libertà di espressione. «La proposta è molto delicata. Ho detto apertamente alle autorità, che spero non continuino con questa iniziativa. Sembra allettante usare metodi penali per trattare un problema sociale. La mendicità è una questione di povertà», fa sapere alla stampa norvegese il commissario per i diritti umani del Consiglio d’Europa, Nils Muiznieks.

Eppure parliamo della stessa Norvegia che non contempla l’ergastolo, che dopo la strage di Utoya, non ha scelto la vendetta, nemmeno quella ”della sicurezza”. Non ha aumentato i controlli, la sorveglianza. Non ha assecondato la paura delle persone. Il ministro degli Interni di allora, un laburista, aveva dichiarato che avrebbero riposto con più umanità. Ma, con la forte virata a destra, anche questo Paese ha perso la sua componente umana e non securitaria.

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Una rivoluzione ci salveràMercoledì 4 febbraio, ore 17.30
Auditorium Santa Croce
c/o Cantiere di rigenerazione urbana Spin Time Labs
Via Statilia, 15 - Roma (metro Manzoni)

Cronache del Garantista
02 02 2015

Nelle ultime 24 ore sono morti 13 militari ucraini e altri 20 sono stati feriti, ha reso noto il portavoce della difesa Volodymir Polyovy. Almeno altri sette civili sono morti negli scontri a Debaltseve, la città fantasma assediata dalle forze separatiste. Continua la guerra nell’est dell’Ucraina dopo il falimento della riunione del gruppo di contatto che si è svolta sabato a Minsk. Alla riunione, durata oltre quattro ore, hanno preso parte rappresentanti di Ucraina, separatisti, Russia e Osce.

La Serbia, presidente di turno dell’Osce, ha reso noto che a bloccare i negoziati sono stati gli inviati delle regioni separatiste di Luhansk e Donetsk. “Non erano neanche pronti a discutere l’attuazione di un cessate il fuoco e del ritiro dei mezzi pesanti”, ha denunciato. L’inviato di Kiev, l’ex presidente Leonid Kuchma, ha aggiunto che i separatisti hanno minacciato una guerra a tutto campo se Petro Poroshenko non dichiarerà un cessate il fuoco unilaterale.

Intanto a Donetsk, circondata dalla guerra, si riuniscono i movimenti indipendentisti di tutto il mondo. Dal Texas alle Fiandre e quelli di Venezia. Il ‘ministro degli Esteri’ della repubblica popolare Aleksandr Kofman ha contattato i diversi movimenti attivi ovunque, invitando i loro leader a una grande conferenza, che si terrà a cavallo fra questo mese e il prossimo, quando le condizioni della sicurezza lo consentiranno, per lanciare una ‘Lega dei Nuovi Stati’ la quale, dice, darebbe voce ” alle popolazione che rappresentano il dieci per cento del territorio mondiale, il 15 per cento della popolazione globale, il sette per cento del suo pil”.

In un’intervista all’emittente televisiva di Donetsk ‘Oplot TV’, l’ex imprenditore di 37 anni elenca “Texas, Fiandre, Venezia, Boemia, Paesi baschi, Catalogna: siamo già in contatto con 18 territori”, precisando che “Sono invitati ad aderire alla nostra unione tutti i territori che in questo momento vogliono l’indipendenza ma che non hanno ancora lo status di Paese sovrano, a partire dal Texas, dove ci sono attivisti che combattono per l’indipendenza”.

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Atlas
02 02 2015

Si fanno più pesanti i combattimenti in corso nel nord-est della Nigeria. Boko Haram, il gruppo di matrice islamista che sta cercando di allargare i territori sotto suo controllo, ieri ha nuovamente attaccato a più riprese Maiduguri, capitale dello Stato di Borno. Gli attacchi sarebbero stati respinti, ma la situazione resta particolarmente volatile.

Secondo alcuni osservatori, gli attacchi di Boko Haram costituirebbero il tentativo di rispondere indirettamente all’offensiva che intanto il gruppo sta subendo nel nord del Camerun e nell’area del lago Ciad dalle truppe inviate dal governo di N’Djamena.

Dopo aver accolto l’invito del Camerun a intervenire, il Ciad ha inviato truppe e aviazione per contrastare l’avanzata degli islamisti e ieri ha lanciato raid aerei contro la città nigeriana di Gamboru.

Gli ultimi sviluppi seguono le dichiarazioni del segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon, a sostegno dell’invio nell’area di una forza militare regionale, così come proposto dall’Unione Africana. Difficile poi non legare quanto sta avvenendo alle elezioni che si terranno a metà mese. La campagna elettorale è infatti coicisa con offensive in grande stile condotte dagli islamisti che di fatto adesso controllano gran parte dello Stato di Borno e aree di due Stati adiacenti.

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