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Dinamo Press
28 09 2015

E' notizia di pochi giorni fa (il 19 Settembre per la precisione) la nomina del nuovo direttore della Specola Vaticana. Per chi non lo sapesse (molti, chi scrive in primis) la Specola Vaticana è l'osservatorio astronomico nonché centro di ricerca scientifica della Chiesa cattolica. Fondato nel 1891 da papa Leone XIII, l'osservatorio è stato sin da subito affidato alle amorevoli cure della Compagnia di Gesù, che della sua propensione a investire (a suo modo) nella ricerca non ha del resto mai fatto mistero.

Ciò che salta agli occhi non è tanto l'esistenza di un tale osservatorio, quanto piuttosto la particolare personalità che papa Francesco ha deciso di porvi alla direzione. Si tratta di padre Guy Consolmagno, gesuita per l'appunto, ma anche astronomo statunitense, diplomato presso il MIT e con un dottorato in planetologia. In parole povere un planetologo gesuita: epiteto quantomeno ambiguo che riesce a riassumere in sè numerose contraddizioni. Contraddizioni che lo stesso Consolmagno non ha paura ad affrontare direttamente: "Io sono la prova vivente che chiunque può essere, al tempo stesso, sia un fanatico che un cervellone - ammette in un'intervista di qualche tempo fa - sono infatti un fanatico nei confronti della scienza e un cervellone riguardo alla mia fede". Giunto al suo incarico attuale sull'onda di una brillante carriera accademica, il nostro Guy si è addirittura visto dedicare, quale altissimo riconoscimento da parte dell'International Astronomic Union, un asteroide, denominato appunto "4597 Consolmagno".

"La religione - afferma altrove - ha bisogno della scienza per tenere a distanza la superstizione e vicino a sé la realtà, per proteggersi dal creazionismo, che in fondo è una forma di paganesimo". Non si scompone neppure a parlare di vita extraterrestre: "Non possiamo pensare che Dio sia così limitato da aver creato esseri intelligenti solo sulla Terra. L'universo potrebbe benissimo contenere altri mondi con esseri creati dal suo stesso amore".

Dal rifiuto del creazionismo all'astrobiologia, non sembra esserci limite agli interessi di Consolmagno, che infatti (com'era del resto prevedibile) è un appassionato di fantascienza. Tra i suoi lavori spicca infatti un articolo dal titolo Guida di un astronomo gesuita per evitare la pessima fantascienza, in cui si diletta a recensire alcuni romanzi, ad esempio Guerra al grande nulla (A case of conscience) di James Blish.

Del resto la Compagnia di Gesù non è nuova a escursioni nel genere fantascientifico, per il quale ha rappresentato a volte una eccellente fonte di ispirazione. E' il caso de La stella (The Star), celebre racconto breve di Sir Arthur C. Clarke, insignito del premio Hugo a New York nel 1956, in cui - tra l'altro - fa la sua prima apparizione il noto monolite di 2001: Odissea nello spazio. Protagonista di tale racconto è appunto un gesuita, cappellano di bordo di una nave spaziale. Di ritorno da un lungo viaggio in un sistema il cui Sole è esploso in una supernova, questi trova le tracce di un'antica e meravigliosa civiltà, estinta in seguito all'esplosione della sua stessa fonte di vita. Le proporzioni della tragedia si fanno però insopportabili, soprattutto per lui, quando scopre che la supernova è stata vista sulla Terra, una notte di 2000 anni fa, per annunciare la nascita di Cristo a Betlemme.

Che i gesuiti, oltre a nutrire fin dalla fondazione dell'ordine un forte interesse per la scienza, accompagnassero le prime missioni di esplorazione scientifica, giungendo nei più remoti angoli del pianeta, è noto. Questo sulla Terra; ma nello spazio? Secondo le ultime previsioni della NASA un equipaggio umano dovrebbe giungere su Marte entro il 2030. Ci sarà anche un gesuita in quell'equipaggio? E se sì, troverà sul pianeta rosso tracce di quell' "amore di Dio in altri mondi" di cui ci parla Consolmagno?

di Marco Petruccioli

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Dinamo Press
28 09 2015

Manifestazione delle lavoratrici e del lavoratori della Cooperativa “Un sorriso” che incontrano l'Assessorato alle Politiche sociali. La mobilitazione costruita assieme alle Camere del Lavoro Autonomo e Precario.

Una prima importante mobilitazione, quella che ci ha visto protagonisti questa mattina. Dopo mesi di prestazioni lavorative non retribuite, abbiamo deciso di rompere il silenzio e di pretendere con forza i nostri diritti. Mentre il presidio si è svolto a partire dalle 10 e fino alle 13, una nostra delegazione è stata accolta dal Capo segreteria dell'Assessorato alle Politiche sociali, Mario De Luca, e da Ruggero Ferreri, dello staff dell'Assessora Francesca Danese.

Nell'incontro, durato circa due ore, abbiamo avuto modo di raccontare nel dettaglio le condizioni drammatiche nelle quali versano lavoratori, utenti e infrastrutture della Coopertativa “Un sorriso” e dei suoi diversi progetti: Sprar; “La Casa delle Mamme”; “Astra”; unità mobile. Non solo stipendi non pagati per 6-7 mesi, ma anche edifici fatiscenti, a volte privi di corrente e riscaldamento. Una storia che pochi conoscono, per quanto la Cooperativa “Un sorriso” abbia più volte, in questi mesi, conquistato gli “onori” delle cronache.

Mario De Luca e Ruggero Ferreri ci hanno illustrato lo stato dei pagamenti dell'amministrazione nei confronti della Cooperativa, chiarendo come spesso al saldo delle fatture non abbia fatto seguito il doveroso pagamento di lavoratrici e lavoratori. Hanno inoltre affermato la piena disponibilità dell'Assessorato a risolvere il problema. Per approfondire la situazione debitoria della Cooperativa, le inadempienze relative ai servizi, un nuovo incontro è stato fissato per lunedì 28 settembre alle ore 15. In quell'occasione sarà presente anche il Direttore di Direzione Accoglienza e Inclusione Antonio De Cinti.

La mobilitazione di oggi è stata solo un primo passo. Vogliamo arrivare fino in fondo, per avere ciò che ci spetta, ovvero le retribuzioni per il lavoro svolto, per il diritto degli utenti ad avere un'accoglienza degna all'interno di strutture efficienti.


Lavoratrici e lavoratori della Cooperativa “Un sorriso”

CLAP – Camere del Lavoro Autonomo e Precario

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Dinamo Press
28 09 2015

La carovana ha attraversato (leggi la cronaca multimediale ) alcuni degli snodi principali della rotta balcanica dei migranti, constatando da vicino come l'attuale flusso, proveniente principalmente dalla Siria, ha fatto saltare alcuni dispositivi della governance europea delle migrazioni.

Sebbene la situazione sia in costante evoluzione e può cambiare rapidamente, la rotta verso i paesi del Nord Europa e, soprattutto, verso la Germania, al momento non conosce blocchi, ma soltanto deviazioni e rallentamenti. La Slovenia, che sabato scorso era stata costretta da una mobilitazione dei rifugiati a permettere il transito attraverso il suo territorio, non è attualmente lambita dal flusso (per evitarlo ha interrotto i collegamenti ferroviari con la Croazia e chiuso alcuni punti di frontiera). Dal sud-est della Croazia, i rifugiati vengono fatti salire su treni speciali, diretti verso nord, vicino al confine con l'Ungheria. Qui, sono costretti a percorrere diversi chilometri a piedi in condizioni molto difficili (al buio, senza alcun tipo di assistenza medica, con l'acqua e il cibo che solo a volte i volontari riescono a dare loro) per raggiungere un varco aperto nella recinzione che separa i due Stati. Da lì, le persone continuano a camminare verso la vicina stazione dei treni e, violenze della polizia ungherese permettendo, cercano di raggiungere l'Austria.

Grazie alla pressione esercitata dai rifugiati, il sistema di controllo delle fontiere esterne e di regolazione dei flussi migratori (costruito attraverso gli accordi di Schengen e il regolamento di Dublino) è parzialmente saltato. I diversi paesi che si trovano sulla rotta balcanica sono stati in qualche modo, e con diverse modalità, costretti a far passare le persone, in alcuni casi persino facilitandone il transito. Resta da capire come i vari governi si muoveranno nelle prossime settimane e quali nuovi ostacoli verranno imposti alla libera circolazione dei migranti.

L'attuale flusso migratorio ha come altro effetto quello di inserirsi in uno scenario di instabilità politica, sia interna che esterna. Per un verso, infatti, forze razziste e di estrema destra tentano di guadagnare consenso attraverso retoriche xenofobe e favorevoli al controllo e alla chiusura delle frontiere. Per un altro, si stanno riacuendo vecchie tensioni tra i diversi Stati, che tentano di scaricarsi l'un l'altro i rifugiati attraverso ricatti e forzature reciproche che hanno poco a che vedere con il fenomeno in questione, e riguardano invece rivalità mai del tutto risolte che affondano le proprie radici nella storia più recente.


L'azione della Carovana si è inserita in questo specifico scenario. Venerdì pomeriggio diverse decine di attiviste e attivisti europei hanno partecipato alla piazza antifascista chiamata dal “Fronte anti-razzista sloveno”, per evitare il concentramento di gruppi neonazisti convocatisi sullo slogan “Difendiamo le nostre frontiere”, poi spostato altrove. Sabato, dopo una partecipatissima assemblea al centro sociale Rog di Ljubljana, oltre 200 persone provenienti da Italia, Svizzera, Germania, Austria, Slovenia e Croazia si sono mosse verso Botovo, al confine tra Croazia e Ungheria. Come accennato in precedenza, in questi giorni il passaggio non viene impedito, ma soltanto reso estremamente difficile, soprattutto per anziani e bambini, dall'interruzione della linea ferroviaria internazionale.

Gli attivisti della carovana hanno così potuto incontrare più di un migliaio di rifugiati che scendevano dai treni, senza neanche sapere dove si trovavano e molto preoccupati per quello che li avrebbe attesi al di là del confine ungherese. Sono stati consegnati loro acqua, cibo e beni di prima necessità, raccolti dai diversi network solidali delle città di provenienza: da Roma abbiamo portato gli aiuti raccolti dalla Libera Repubblica di San Lorenzo. Altri pezzi della Carovana, invece, si sono diretti al confine sloveno-croato e, il giorno successivo, a Babzka, tra Croazia e Slovenia, consegnando altri beni di prima necessità e, in alcuni casi, offrendo un passaggio ai rifugiati verso i paesi di destinazione.

La Open Borders Caravan è stato un importante momento di incontro tra chi, in Europa, sta incrociando in punti diversi lo stesso flusso migratorio e sta combattendo una battaglia comune per l'apertura delle frontiere, per percorsi di transito sicuri e per un'accoglienza dignitosa. Crediamo che i tentativi di organizzazione transnazionale di lotte e reti solidali sul tema dell'apertura delle frontiere vadano moltiplicati, migliorando le connessioni reciproche e la capacità organizzativa comune.

Come Resistenze Meticce esprimiamo la nostra solidarietà a tutte le persone che stanno combattendo la stessa battaglia per l'apertura delle frontiere a Ventimiglia, a chi è bloccato lì da settimane, a chi in questi giorni ha ricevuto un foglio di via e a chi, proprio ieri, è stato vigliaccamente caricato dalla polizia italiana.

di Resistenze Meticce


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Dinamo Press
28 09 2015

Muore a all'età di 100 anni Piero Ingrao. Dirigente del PCI, spesso dissidente, aperto ai movimenti. Se ne va uno dei protagonisti della storia politica del Novecento italiano.

Rabbrividisco al pensare cosa stanno scrivendo di lui l’Unità o il circo leopoldo, sono fraternamente vicino alle figlie, nipoti, amici che devono ascoltare ipocrite o distratte condoglianze, resto perplesso anche per molti sinceri elogi che rivendicano continuità con l’opera di Pietro Ingrao. La sua grandezza si colloca in un’interruzione, dove è precipitato tutto un pezzo della nostra militanza e giovinezza (che oggi con lui, disfatti, commemoriamo).

Chiediamoci allora piuttosto cosa può tramandare a generazioni viventi il leader centenario di un partito estinto. Un percorso esemplare di vita, certo, dalla lotta partigiana al crepuscolo poetico, lo schietto impegno politico, giornalistico e istituzionale, ma soprattutto avere combattuto e perso, dentro una grande formazione riformista, la battaglia per cambiare l’Italia, senza essersi piegato alla sconfitta e senza collaborare alla gestione del disastro, con il coraggio (tardivo) di rompere nel 1993 con la lunga agonia dell’ultimo partito di massa – che oggi è inutile rimpiangere o riesumare in forme parodistiche.

Nel pieno del centrosinistra e della matura modernizzazione fordista, dopo la morte di Togliatti nel 1964 si era aperto uno spiraglio all’interno del Pci in cui si misurarono per la prima e l’ultima volta delle grandi alternative strategiche di fase, sull’onda di un imponente ciclo di lotte di massa (il rovesciamento del governo Tambroni nel luglio 1960), ripresa operaia (1961-62), innovazione teorica (i “Quaderni rossi” dal 1962) e pratica autonoma di rivolta (piazza Statuto, 1962).

Contro lo stanco centrismo post-togliattiano di Longo e contro la proposta socialdemocratica di Amendola e del suo reggicoda Napolitano (integrata peraltro da un’ottusa fedeltà all’Urss brežneviana e da un ferreo divieto di ogni frazionismo), Ingrao si batté accanitamente nel 1965-66 per stabilire un confronto democratico all’interno del Partito, per prendere atto della novità del neo-capitalismo italiano (o pieno fordismo) e per contrastarlo con una strategia più incisiva (le “riforme di struttura”) che facesse leva sul risveglio operaio e la mobilitazione di una società civile in rapida trasformazione. Fu sconfitto ed emarginato all’XI congresso e il Pci perse un’occasione, pur confusa e velleitaria per molti aspetti, di rinnovamento e di sintonizzazione con i mutamenti che stavano intervenendo su scala italiana e internazionale (si pensi al movimento anticoloniale, a Cuba, a quanto maturava a Berkeley o Watts).

Da allora il contrasto di classe cominciò a manifestarsi fuori dal Pci e in parte del sindacato, sebbene con ambigue rispondenze e intrecci: è la stagione del 1967-68 e poi dell’autunno caldo del 1969. Ingrao li seguì con simpatia e intelligenza, ma senza porsi alla testa di una rottura che avrebbe rappresentato l’ultima occasione di saldatura fra tradizione comunista (riformista) e nuovi movimenti (anch’essi, per molti aspetti, di radicale riformismo). Subì invece disciplinatamente la diaspora degli ingraiani e la cacciata del gruppo del Manifesto nel 1969. Le conseguenze furono negative e iniziò un lento scollamento che ben presto, con lo smantellamento del fordismo e la crescita di un’ideologia e di una pratica operaista inassimilabile ai vecchi schemi, si fece aperta frattura.

A partire dagli anni ’70 il Pci divenne l’argine principale contro una terminale stagione di lotte operaie fordiste e di incipienti battaglie post-fordiste e Berlinguer, con la sua parola d’ordine dell’austerità e la gestione dell’unità nazionale contro il terrorismo, ne fu il protagonista, salvo a piangere sulle conseguenze, opporre il rigore morale al primo neo-liberismo craxiano e celebrare i funerali dell’occupazione alla Fiat e della scala mobile. In quegli anni Ingrao, relegato alla prestigiosa ma solo simbolica presidenza della Camera dal 1976 al 1979, non fu complice – va detto a suo onore – ma la storia ormai passava da un’altra parte, vittorie e sconfitte si giocavano su un terreno diverso dalla I Repubblica, dall’emancipazione del lavoro e dalla democrazia dei partiti di massa. La stessa resistenza di Ingrao allo scioglimento del Pci con la Bolognina di Occhetto (che del resto era il più brillante e ondivago suo allievo) era una battaglia di retroguardia, che si completerà con una dignitosa fuoriuscita dal Pds negli anni successivi.

La grandezza di Ingrao fu dunque nella sua sconfitta al culmine delle possibilità di scelta del Pci, quando la biforcazione si chiuse e subentrò un buco nero che gradualmente inghiottì il partito di massa e ne trasformò l’identità da riformista (che rivoluzionario non lo era più dal 1944) a reazionario: prima difensore cieco della repressione fordista, poi ilare avanguardia del neo-liberalismo.

Oggi, che la stessa esistenza e storia del Pci e del “comunismo” italiano è oggetto o di diffamazione prezzolata o di sterile nostalgia, vale la pena di riflettere, al di là di celebrazioni e personale rispettabilità, su una figura singolare di resistenza, che non è immediatamente spendibile sul piano delle strategie politiche (e questo vale per tutto il patrimonio morale di una generazione sconfitta e in via di sparizione, la generazione di chi scrive) ma forse merita un ricordo. La traccia di un cataclisma è sempre istruttiva per il futuro.

di Augusto Illuminati

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Abbatto i muri
23 09 2015

La lapidazione della settimana è dedicata ad Alice Sabatini, vincitrice del concorso per Miss Italia e autrice di una delle battute più ingloriosamente spiacevoli per il pubblico. Sono tutti fan dei partigiani? Sono consapevoli del fatto che esistevano anche le partigiane? Sanno che in quegli anni si lottava per la liberazione dal nazifascismo? Direi di no. Non tutti. Quello che ho letto in questi giorni è stato puro fango gettato contro una giovane donna con i pretesti più esilaranti. Riderei moltissimo se non ci fosse da piangere.

non bisogna difenderla in quanto donna perché quel che ha detto è indifendibile.
Rammento a lettori e lettrici che mai e poi mai ho difeso una donna perché donna e men che meno ho evitato di difendere uomini soggetti allo stesso tipo di linciaggio.
non bisogna difenderla perché una Miss, ‘sti cazzi, certe cose le deve sapere.

Ma siete tutti diventati giudici che assegnano il Nobel? No, perché da quel che so c’è chi Miss Italia non l’ha seguita mai, chi ha addirittura firmato petizioni per fare chiudere il programma, chi, da sempre, ha considerato le partecipanti solo un branco di oche esibizioniste che fanno tanto male alla lotta per i diritti delle donne. Dunque perché mai all’improvviso vi è venuto questo interesse sui motivi per cui una ragazza deve essere eletta? Come mai vi vedo formulare regole per l’esclusione di un concorso o per la bocciatura di una candidatura?

non bisogna difenderla perché è ignorante e allora possiamo darle della troia, della capra, possiamo dirle di andare a consegnarsi in Siria agli uomini dell’Isis.
La maggior parte della gente che commenta scommetto che sa poco della seconda guerra mondiale. Scommetto anche che tra chi contesta la Miss ci sono un po’ di fascisti che non hanno gran simpatia per i partigiani. Scommetto che sono tante le donne che si sentono in diritto – e non gli pare vero – di poter insultare una bella ragazza che tradisce l’obbligo di clausura morale. Ma a prescindere da quel che sanno, che diritto avete di insultare in questo modo una persona?
non bisogna difenderla perché ha detto che tanto è donna e non doveva fare il militare.

E qui interviene il sentimento misogino e virile di chi vorrebbe dimostrare che le femmine storicamente non sono servite a nulla e che hanno sempre delegato gli uomini per i compiti faticosi e pericolosi. A nessuno viene in mente che questa giovanissima ragazza potrebbe aver detto la prima cosa che le è uscita dalla bocca senza pensare, colta alla sprovvista, essendo la prima a rispondere alla domanda, per me idiota, posta da Amendola, colta dall’emozione e con la sensazione di aver combinato un gran disastro.
La ragazza risponde a chi la sfotte in malo modo e spiega, per l’appunto, che l’ha detta male. Avrebbe voluto rivivere l’epoca in cui è vissuta sua bisnonna, per capire quel che succedeva allora, e a me non sembra poi un cattivo proposito. Ma anche se non fossi d’accordo con quello che lei pensa e che ha detto non mi permetterei mai di sfogare il mio odio sulla tastiera con il pretesto di un’accusa che pare impressa sulla pietra.

Ora so che appresso a questo post ci saranno un po’ di insulti rivolti anche a me, perché se togli l’osso ai cani è ovvio che sbranano te. E’ un meccanismo che conosco più che bene per averlo provato molte volte. Ma il punto è che ho provato a discuterne in modo sereno con un post sulla mia pagina facebook, ma si è precipitata una folla di gente accanita, in qualche caso ostile, in posa da crociata, livorosa, che mi ha lasciata sbigottita. Davvero lapidereste una persona per così poco? Avete una vaga idea dei mille motivi per cui dovreste essere furiosi?

Mai ho visto altrettanta indignazione per gli stranieri che crepano in mare, per i provvedimenti del governo, per i furti di vita e di respiri che i potenti, quelli che monopolizzano l’economia mondiale, compiono senza alcuno scrupolo, senza coscienza.

Le ragazze hanno diritto a partecipare a quel che vogliono. Si chiama libertà di scelta. Hanno anche il piacere di essere criticate ma non mi dite che quel che ho letto in questi giorni si chiama “critica” perché non lo è. Non lo è affatto. Per queste e altre ragioni, dunque, io sto con questa ragazza, dai capelli corti, pura eresia a detta dei commentatori, e dal sorriso vivace e luminoso. Io sto con lei e con tutte le ragazze che crescendo hanno tutto il diritto di sbagliare, perché ho avuto 18 anni anch’io e dovreste ricordare che anche voi, a 18, forse a 30 o perfino a 50 anni avete detto tante di quelle sciocchezze che ci si può riempire un palazzo intero.
Auguri a questa giovane ragazza, per la sua carriera, sperando possa emanciparsi economicamente e vivere al meglio imboccando la strada che le piace di più.

di Eretica

 

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