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Migranti-CittadinanzaSergio Bontempelli, Il Corriere Delle Migrazioni
10 agosto 2015

Garantire la cittadinanza ai bambini nati in Italia da genitori immigrati. Impedire che giovani venuti al mondo nel nostro Paese, cresciuti accanto a noi e con noi, siano considerati stranieri, magari da espellere se non hanno il permesso di soggiorno.

Dinamo Press
23 09 2015

Appello per la costruzione di una carovana transnazionale per l'apertura delle frontiere europee. Previste partenze da Italia, Austria, Germania, Svizzera, Slovenia e Croazia. Anche a Roma ci si organizza per partecipare. L'appuntamento è in Slovenia, a Lubiana, questo fine settimana.

L'appello alla mobilitazione:

Nelle ultime due settimane una duplice dinamica sta attirando l’attenzione generale e segnerà la storia d'Europa. Sui confini dell’UE polizie ed eserciti tentano di respingere con violenza i rifugiati, compresi i bambini, che fuggono da povertà e guerre - le stesse che l'Occidente ha causato o incoraggiato -, o di assoggettarli a procedure autoritarie di registrazione, con l'intenzione finale di negare loro il diritto alla vita e alla libertà. Allo stesso tempo, però, l'incredibile resistenza e il coraggio di queste persone, spinte dal desiderio di libertà, e la grande auto-organizzata risposta di solidarietà dal basso, che rende concreta la parola “welcome”, danno forma a una nuova realtà sulle frontiere dell'Unione Europea, sospendendo di fatto il regime della “Fortezza Europa” costruita sulle regole degli accordi di Schengen e del regolamento di Dublino.

Le immagini diffuse dai media fanno pensare a persone bisognose di aiuti umanitari, ma la verità è che si tratta di soggetti che stanno soprattutto lottando per la libertà di movimento, resistendo al regime dei confini e di fatto disobbedendo alle leggi che li escludono e li rendono illegali. Nel loro viaggio verso la libertà e la dignità, rifiutano di essere scaricati e dimenticati nelle strutture detentive o nei campi profughi in località remote, di finire permanentemente intrappolati in terre di nessuno, senza documenti né status legale. Nel farlo, costruiscono e difendono quei legami sociali e personali che li mettono in grado di superare collettivamente i confini e inserirsi nelle società di destinazione, mentre gli Stati cercano renderli individui isolati.

Per fermare questo movimento, le classi dirigenti europee e i governi nazionali stanno costruendo barriere e muri ai confini, dispiegando polizie ed eserciti, criminalizzando la solidarietà, sospendendo i diritti dei rifugiati e dei cittadini, introducendo di fatto uno stato di polizia. L'attacco alla libertà di movimento riguarda tutti coloro che vivono in Europa, compresi i cittadini europei. Infatti, mentre il tentativo di fermare o filtrare l'arrivo di chi fugge da guerre e povertà comporta violenze e sofferenze, in molti Paesi europei si discute l’introduzione di nuovi ostacoli alla libertà di movimento anche per i cittadini europei, consolidando le crescenti diseguaglianze e i meccanismi di esclusione prodotti dalla dittatura dell'austerità.

Ora è il momento di agire, supportando il movimento dei rifugiati, combattendo l’Europa dei tecnocrati e dell’austerità, mettendo fine alla crescita di nazionalismi e fascismi in tutti i Paesi europei. È questo il momento di chiedere un’Europa senza frontiere, un’Europa di diritti sociali, uguaglianza e dignità. È necessario che cittadini e cittadine d'Europa si schierino dalla parte di chi fugge da guerre e povertà, persone che non sono né vittime né criminali, ma ribelli e partigiani.

È il momento di mostrare concreto appoggio alla battaglia di tutte e tutti coloro che aspirano alla libertà di movimento, a prescindere dal loro Paese di origine.

Crediamo sia necessario fare di tutto per aprire le frontiere, per costruire corridoi e passaggi sicuri per approdare in Europa. Per questa ragione lanciamo l'appello per una carovana transnazionale per frontiere aperte.

È un appello rivolto a tutte e tutti gli attivisti, collettivi, gruppi di affinità, iniziative di solidarietà con i migranti e chiunque altr@, in tutta Europa, ad unirsi alla Open Borders Caravan che partirà da Lubiana il 26 Settembre alle 10 del mattino e si dirigerà sulla frontiera dove i migranti staranno combattendo per la libertà di movimento (ovvero dove verranno fermati dalla polizia o dai militari), per creare solidarietà con le persone in fuga dalla guerra e dalla povertà, e agire insieme per aprire le frontiere.

Invitiamo anche chiunque possa a venire a Lubiana un giorno prima, il 25 Settembre alle ore 17 a piazza Prešeren, per partecipare al festival e alla manifestazione per l’apertura delle frontiere per tutti e tutte.

Costruiamo l’European Open Borders Caravan per mostrare che l’Europa può essere una terra di diritti e dignità per tutti, nonostante l’ipocrisia delle istituzioni e la propaganda xenofoba. Contro le politiche dell’UE e dei governi, contro recinti, Frontex, deportazioni e quote di riallocazione, la nostra azione comune vuole aprire passaggi autorizzati perché tutti possano arrivare in sicurezza alla destinazione che hanno scelto, per la piena cittadinanza per tutti e tutte, e per la fine del Regolamento di Dublino.

Uniamoci a questa causa!

Niente può fermare la volontà di vivere e il desiderio di libertà!

Supportiamo assieme le persone migranti, i rifugiati e le rifugiate! Perché la loro lotta è la nostra lotta e il loro futuro è il nostro futuro!

Vai alla pagina facebook: Open Borders Caravan

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AlzheimerLucia Bellaspiga, Avvenire
20 settembre 2015

L'Alzheimer è "una macchina del tempo: ti schiaccia nell'abitacolo di un eterno presente, ma nel giro di un secondo può scaraventarti indietro a quando eri bambino. ...

Connessioni Precarie
21 09 2015

Lo scorso 17 settembre nel pomeriggio una trentina di donne nigeriane è stata rimpatriata con un volo speciale della Meridiana da Roma-Fiumicino verso Lagos. Circa venti di loro facevano parte di un gruppo di 66 donne, sbarcate in Sicilia a fine luglio e trasferite al CIE di Roma – Ponte Galeria sulla base di un criterio per cui, quando i centri CARA per richiedenti asilo sono troppo pieni, i migranti intercettati in mare o durante gli sbarchi vengono portati nei CIE. La potenza della legge si misura soprattutto nella sua capacità di fare cose con le parole: basta ritardare il momento in cui viene data la possibilità di inoltrare la domanda d’asilo, e i profughi diventano per legge «clandestini» che hanno eluso i controlli di frontiera e passibili, come in questo caso, di essere trattenuti in un centro di identificazione e di espulsione. La scelta tra chi trasferire nei CARA e chi nei CIE segue regole tacite (tanto più indicibili quanto più osservate), che rispecchiano i paesi di provenienza. Se si proviene dalla Nigeria è molto probabile che il CARA sia pieno e il posto si trovi solo al CIE.

Durante l’estate, il caso delle 66 donne ha avuto qualche eco sulla stampa, sia per l’interessamento di alcune campagne di attiviste e attivisti, sia perché i giornali potevano parlare delle donne, tutte giovanissime, come di potenziali «vittime di tratta». Anche in questo caso, le qualificazioni del diritto dovrebbero far riflettere. Vittime sì, ma non di qualsivoglia carnefice. Solo poche tra loro hanno ottenuto in prima battuta uno status di protezione. Ancora una volta, la scelta ha seguito regole non dette, chi portava sul corpo le cicatrici delle violenze è stato preferito. Corpi del sacrificio, riconosciuti solo come tali. E quindi corpi sacrificabili, come i corpi delle donne che sono state rimpatriate.

Ognuna di queste donne è sicuramente vittima, non di uno ma di molteplici carnefici. Il patriarcato, le guerre, l’industria del sesso, gli scafisti, e non da ultimo l’apparato repressivo del regime dei confini europei. Ma la maggior parte di loro ha scelto di rappresentare la propria istanza come un’istanza politica, chiedendo asilo. È vero, la tradizione del diritto d’asilo si è sempre mossa su di un terreno ambiguo. L’identità politica che esso rivendica è, in primo luogo, quella della comunità ospitante. La prerogativa di accogliere chi si riconosce come esule politico è sopra ogni altra cosa una rivendicazione di sovranità nei confronti degli altri Stati. Basti pensare che, nel processo di secolarizzazione dell’asilo, alla costruzione giuridica del diritto d’asilo si è sovrapposta quella del divieto di estradizione. Eppure, proprio in virtù di questa rivendicazione di identità politica, le radici profonde dell’asilo non sono da ricercarsi nel rifugio concesso alle vittime, bensì nell’immunità riconosciuta al reo in quanto colpevole.

Anche i corpi delle donne rimpatriate, così come quelli delle altre ancora trattenute, portano i segni di una colpa. Quella di aver scelto di salvarsi da sole, fuggendo dai molteplici carnefici incontrati sulla propria strada. Non può essere detto, ma si tratta di una colpa inaccettabile. Potremmo attribuirle nomi diversi hubrys, tracotanza, sfacciataggine o più semplicemente indolenza, indifferenza verso un ordine. Probabilmente, nessuna offesa è più insopportabile di questa.

Se il diritto la riconosca come una colpa degna di protezione, non è dato saperlo. Mentre le donne venivano rimpatriate il Tribunale disponeva per alcune di loro l’ordine di sospensione dell’esecutività del rimpatrio, in attesa della decisione definitiva sulla protezione internazionale. Ma, in alcuni casi, la decisione è arrivata troppo tardi; tecnicamente, una volta che l’aereo è in fase di decollo, l’ordine di sospensione è improcedibile. Non si tratta dello stato di eccezione (una volta tanto sarebbe forse il caso di chiarirlo), ma del funzionamento normale della giustizia. Non di quella corrotta e inefficiente, ma di quella ordinaria, legittima e legittimata attraverso un meccanismo decisionale. A ogni violazione corrisponde un rimedio, un’altra possibilità di decisione.

Anche in questo caso, anche per le donne rimpatriate, esiste una possibilità di rimedio (per esempio di fronte alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo) che si rivelerà tanto più efficace quanto più rapida sarà la proposizione dell’istanza per una nuova decisione (innanzitutto sulla procedibilità del ricorso). Può sembrare uno scioglilingua per giuristi ma, tradotta nel linguaggio profano della vita, la questione di merito non significa altro che, ogni giorno che passa, il «pericolo imminente» corso dalle donne a causa del rimpatrio perderà di credibilità come motivo fondante del ricorso. In altre parole, la loro capacità di resistenza, di nascondersi e sfuggire all’incarcerazione, alla violenza alla morte, non è per il diritto che la prova di una colpa indegna.

E allora, di fronte all’inutilità del rimedio, non resta che augurare a ognuna di loro di resistere il più a lungo possibile. Di fuggire ancora, e di tornare.

La vicenda delle donne rimpatriate in questi giorni da Ponte Galeria è passata quasi del tutto sotto silenzio. Chi l’ha raccontata, ne ha riferito, certo con dovizia di particolari, aspetti diversi. La decisione di raccontarla svestendo i panni dei giuristi o degli studiosi è una scelta di militanza, che è ormai una necessità che non può essere più rinviata. A Ponte Galeria così come a ogni confine d’Europa.

 

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Grecia-ElezioniBernard Guetta, Internazionale
21 settembre 2015

Dicevano che fosse testa a testa con la destra. Molti lo consideravano già perdente e vicino al tramonto politico. E invece, per la seconda volta in un anno, Alexis Tsipras ha vinto nettamente le elezioni, una vittoria che a ben guardare non ha nulla di sorprendente.

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