Giornalecittadino Press
07 09 2015
È da circa un mese che ricevo messaggi, da vari contatti whatsapp e amici facebook, che intimano i genitori degli studenti, che si apprestano a iniziare le lezioni per il nuovo anno scolastico, a non firmare il diabolico Patto Educativo di Corresponsabilità perchè condannerebbe i figli a subire l’efferato attacco dei gender. A capire se questo messaggio è una delle tante “catene” che imperversano sui social o di cosa stia parlando non credo siano in molti e la parola d’ordine è: condividere. Ma l’inventore dell’allarmante messaggio, non si ferma e continua : Attenzione, vi diranno che non è vero, che non c’entra niente con il gender.
Vi parleranno di cose buone come il rispetto , la lotta al bullismo, lotta alla violenza contro le donne e simili. PARITÀ DI GENERE, EDUCAZIONE ALL’ AFFETTIVITA’ PAROLE CHIAVE dietro le quali vogliono nascondere l’indottrinamento all’ ideologia gender dicedovi anche che questa non esiste. NON CASCATECI !!!! CON INGANNO VI FARANNO FIRMARE LA VOSTRA CONDANNA e non potrete più far niente perché avrete dato il vostro consenso. NON FIRMATE !!!!! Se così fosse il Miur (Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca) sul proprio sito avrebbe pubblicato il testo del Patto Educativo di Corresponsabilità, che invito a visioneare, diverso da quello che, secondo il “creatore” del messaggio, verrebbe presentato alla sottoscrizione dei genitori. Credo che sia il caso di fare un po’ di chiarezza: il Patto Educatico di Corresponsabilità, contenuto nel decreto della “Buona Scuola”, coinvolge sia docenti che genitori ed è diviso in due parti.
Nella prima, prevede le norme per il comportamento dei docenti, mentre nella seconda parte, prevede le norme per il comportamento degli studenti. Infine, conclude con una tabella che serve alla valutazione del comportamento dello studente. Scorrendo il documento si trova normata tutta la “vita” scolastica dei docenti e dei discenti ma non si trova alcun riferimento “gender”. È citata la “parità di voto” e non la tanto preoccupante “parità di genere”. Tantomeno si trova la misteriosa “educazione all’affettività” che secondo alcuni sarebbe una nuova materia che indurrebbe gli alunni ad imparare l’autoerotismo.
È pur vero che documenti analoghi possono essere redatti dai dirigenti scolastici ma cercando in rete, se ne trovano che differiscono poco da quello dettato dal Miur Forse pochi sanno che l’allarmismo lanciato via social deriva da una errata o volontaria interpretazione del DDL 1680 (non ancora esaminato) presentato a gennaio del 2015 dalla vicepresidente del Senato, parlamentare del Pd, Valeria Fedeli per introdurre nelle scuole l’educazione di genere. Secondo la senatrice Fedeli queste sono le motivazione che l’hanno spinta a presentare il DDL: “Alle elementari i libri parlano di bambine che cucinano o cullano le bambole e maschietti che giocano con le costruzioni, eppure in orbita ora mi pare ci sia una donna – riferendosi alla Cristoforetti ndr -. Si dice che le bambine devono essere brave, ubbidienti e che i bambini non devono piangere ma vincere.
La battaglia contro la violenza alle donne comincia sui banchi di scuola, con un insegnamento che la smetta di tramandare luoghi comuni che inchiodano maschi e femmine a stereotipi, che ignora quanto l’altra metà del cielo ha fatto in tutti campi, dalla storia alle letteratura passando per l’astronomia. L’idea di fondo è che dalle elementari al liceo ci siano corsi che, dimenticando i luoghi comuni,rimandino ad un’idea del mondo in cui si racconti anche il contributo delle donne. In questo modo si passa dall’infanzia in poi un messaggio di reale parità, nella diversità, di uguale contributo. In modo che nasca tra i ragazzi il profondo rispetto che porta al riconoscimento della libertà altrui di realizzarsi come forma di amore, invece del possesso come dimostrazione di affetto che porta alle violenze” Quindi per parità di genere si deve intendere il rispetto della persona che sempre e comunque deve prescindere dal genere, sesso maschile o femminile, e non come qualcuno strumentalmente intende tradurre la parola italiana genere con quella inglese gender facendo un riferimento a teorie inesistenti.
Quello messo in atto attraverso i social è vero e proprio terrorismo per spaventare i genitori cercando di convincerli sta per accadere ai propri figli qualcosa di brutto. Ma la fantasia non ha limite e si sono inventati un volantino, in circolazione da parecchi mesi, secondo il quale l’OMS avrebbe emanato delle linee guida per l’educazione sessuale che prevedono ogni sorta di perversione possibile e immaginabile. Che la scuola insegni ai bambini, come già avviene da tempo nei corsi di educazione sessuale, che esiste l’omossessualità è un dato di fatto ma quello che stranizza è che non siano proprio quei genitori, che “condividono” questo tipo di messaggi, a spiegare ai propri figli che l’omossesualità non è una malattia contagiosa e, soprattutto, il rispetto della persona. Ogni persona deve essere rispettata a prescindere dal genere, dal colore e dalle proprie ideologie. Suggerirei ai tanto allarmati genitori di diffondere questo messaggio. Infondere odio ai propri figli verso i “diversi” è da stupidi. Appare lampante che chi fa girare questo genere di messaggi è un “mentalmente diverso”.
Wired
07 09 2015
Dal 2001 il regime di Assad ha acquistato da noi quasi 17 milioni di euro di armamenti, tra cui i visori per i carri armati. L'inchiesta di Wired Italia
L'Italia è il primo paese in Europa a vendere armi alla Siria
Dal 2001 il regime di Assad ha acquistato da noi quasi 17 milioni di euro di armamenti, tra cui i visori per i carri armati. L'inchiesta di Wired Italia
04 settembre 2013 di Davide Mancino
"L'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà dei popoli e come mezzo di risoluzione delle controverse internazionali." Facile a dirsi, lo prevede la Costituzione – articolo 11. Ma la realtà è molto diversa: basta guardare in Siria. Secondo i documenti ufficiali dell'Unione Europea e i dati resi disponibili dal Campaign Against Arms Trade (Caat), l' Italia è il primo partner europeo per le spese militari del regime di Assad. Dal 2001 la Siria ha acquistato in licenza armi nel vecchio continente per 27 milioni e 700mila euro. Di questi, quasi 17 arrivano dal nostro Paese.
Il Regno Unito, al secondo posto, supera appena i due milioni e mezzo; segue l' Austria che ha fornito veicoli terrestri per altri due milioni, poi Francia e Germania, e infine Grecia e Repubblica Ceca, con poco più di un milione di euro. Dai dati ufficiali si scopre che Parigi e Atene hanno ceduto soprattutto aerei e droni, mentre mancano all'appello armi per altri cinque milioni di euro, non dichiarate.
E l' Italia, invece, cosa ha venduto esattamente? Non sappiamo con precisione quali armi abbiamo esportato, ma qualche indizio ci viene dalla Rete, guardando uno dei tanti video in cui si vedono carri armati siriani fare fuoco – anche sui civili. In quei fotogrammi si distingue il sistema Turms: un visore termico e laser che consente ai carri di sparare con altissima precisione anche in movimento, commercializzato da Selex Es. Ovvero un'impresa del gruppo Finmeccanica – a partecipazione pubblica – firmataria nel 1998 di una mega-commessa da 229 milioni di dollari durante i governi Prodi-D'Alema.
Equipaggiamenti che non sono stati certo fermi: nel 2003 – con Silvio Berlusconi in carica – le consegne raggiungono il loro picco, per poi proseguire fino al 2009. Nel mezzo, però, c'è l' invasione dell'Iraq da parte degli Stati Uniti. Proprio nel 2003, dopo un'inchiesta del Los Angelese Times, il segretario alla difesa Donald Rumsfeld accusava il regime di Assad di aver fornito armi a Saddam Hussein aggirando l'embargo militare imposto all'Iraq. Gli equipaggiamenti forniti da Damasco sarebbero visori per il puntamento notturno dei carri armati: proprio come quelli venduti dal nostro Paese.
Il dubbio, che successive indagini non hanno mai confermato né smentito, è che a beneficiare dei sistemi prodotti da Selex sia stato proprio l' esercito iracheno. Non proprio un colpo di genio per la politica estera italiana, chiamata poco più avanti a partecipare alla stabilizzazione del Paese con un proprio contingente.
La storia continua fino ai giorni nostri, quando la guerra civile sconvolge la Siria e spinge Assad a schierare il proprio esercito. I carri armati che sparano sui ribelli – ma anche su semplici civili – hanno la mira più accurata, una precisione garantita dalla migliore tecnologia italiana.
Ma la Siria non è quasi più una nazione che possa definirsi tale: il livello del conflitto è tale che persino l'esercito non ha più il controllo delle proprie armi. Anche i ribelli sono entrati in possesso di carri armati catturati o consegnati da ufficiali disertori, in un crescendo che rende la possibilità (o la necessità) di un intervento militare straniero sempre più incerta e confusa.
Abbiamo ricostruito la storia delle vendite di armi italiane in Siria in una visualizzazione interattiva che vi proponiamo qui di seguito. Per andare avanti nella lettura basta cliccare sulla freccia a destra sulla vostra tastiera oppure a schermo. Per un risultato migliore vi consigliamo di ingrandire la finestra a schermo intero.
Global Project
07 09 2015
Lo sciame umano partito ieri da Budapest ha camminato in autostrada fino a tarda notte. Il governo ungherese, di fronte alla determinazione e alla compattezza dei migranti, ha dovuto alleggerire la propria morsa, arrivando a mettere a disposizione degli autobus che hanno trasportati le persone fino al confine con l’Austria.
Altri migranti sono stati accompagnati da auto private di cittadini ungheresi, a conferma che non tutti in Ungheria sono allineati al razzismo di Stato di Orban.Al confine i migranti sono stati fatti scendere, identificati e lasciati nel primo paese in territorio austriaco. Queste operazioni hanno rallentato il normale flusso dei mezzi, creando code, anche perché sono rimasti aperti solo pochi valichi, ma la frontiera austriaca non è mai stata chiusa completamente. Seguiamo le operazioni emozionati per quello che sta avvenendo. E’ da ieri che accompagniamo la marcia per libertà. Non possiamo non scorgere, non rimanere colpiti da una energia vitale immensa, una forza inarrestabile che guida i migranti in ogni loro gesto.
E’ vero, c’è anche una parte di disperazione che li accompagna, ma come non accorgersi che prima di tutto c’è una profonda consapevolezza di voler ambire a vivere in un luogo con più opportunità e maggiori diritti. Cosa altro può essere se non un’insopprimibile voglia di libertà, di pace, di migliori condizioni di vita a spingere centinaia di migliaia di persone a lasciare il proprio paese, a sopportare un calvario durissimo, a sapere che dietro il primo scoglio ci potrebbe essere la morte?
In Ungheria nel frattempo sono scoppiati i primi subbugli nei centri d’accoglienza al confine serbo perché coloro che sono ancora bloccati chiedono di essere lasciati liberi e di raggiungere la Germania. Keleti, la stazione di Budapest, si è riempita nuovamente. Altre migliaia di persone sono pronte a transitare, a marciare per la libertà e la vita. Le voci tra i migranti passano velocemente: ci sono riusciti ieri, possiamo farcela anche noi.
A nulla servono le dichiarazioni del capo della polizia ungherese, "mai più accadranno aiuti straordinari come i pullman di questa notte", il richiamo all’ordine suona vuoto. Ormai l’esempio è stato dato, gli argini si sono rotti, la frontiera è stata aperta, i muri eretti dalle politiche repressive possono essere abbattuti. Inevitabile è l’arrivo di queste persone che stanno scappando dalla guerra e dalla miseria.
Un’altra marcia con più di 1.000 persone parte da Keleti, veniamo informati che la stessa cosa sta succedendo da un centro d’accoglienza a sud della capitale.Le notizie rimpallano sui social network mentre capiamo di essere di fronte a giornate epocali e difficili da seguire e documentare in profondità. Ci chiediamo se lo "svuotamento" dell’Ungheria porterà a controlli più capillari e repressivi sul confine con la Serbia, se verranno dati ordini all’esercito di intervenire. Sono scenari foschi, ma il governo ungherese ha dimostrato in questi giorni la faccia peggiore della destra xenofoba europea. Sarà compito di tutti monitorare la gestione dei confini ungheresi, sia da una parte che dall’altra di quel muro che spezza la ricerca di vita e la consegna alla probabile morte.
Siamo arrivati a Vienna.
La situazione, rispetto a Budapest, è molto diversa. I migranti sono accolti da un cartello di buon auspicio “Refugees Welcome”, ci sono volontari organizzati che contribuiscono a rendere il tutto più umano. Non mancano né cibo, né assistenza sanitaria, né brandine e vestiti. I volontari ci fanno sapere che una trentina di auto dall’Austria sono partite con medicinali e generi di prima necessità per andare verso Győr (città ungherese a 120 km da Vienna) dove circa 800 persone si erano messe in marcia dal centro d’accoglienza della città. I migranti però si sono dispersi, molti di loro vengono raggiunti e assistiti dai volontari.
Nel frattempo il governo austriaco annuncia l’arrivo di circa 6.500 persone, delle quali 2.000 già in viaggio verso la Germania. I confini, come è giusto che sia, sono solo delle linee tracciate su una cartina geografica che sono stati, almeno per questo lasso di tempo, spazzati via. Passano le ore e apprendiamo che le autorità austriache prevedono che il numero di arrivi in giornata sarà di 10.000 persone che poi transiteranno verso la Germania.
I volontari e attivisti austriaci sono in contatto con i vicini tedeschi di Monaco in Baviera. Anche lì la solidarietà si è immediatamente attivata perché stanno arrivando i treni con i migranti a bordo.
Quel “Refugees Welcome” è un ormai un modo concreto, umano, solidale, fraterno di costruire dal basso un’Europa diversa.
Lo sciame umano è riuscito a forzare consapevolmente i regolamenti assurdi e inefficaci, come il Dublino III, dell’Europa fortezza. Oggi è un grande giorno.
di Redazione Melting Pot Europa
Open Polis
07 09 2015
In media le grandi città italiane nel 2012 spendevano oltre €600 pro capite per esternalizzare servizi a soggetti terzi. Cifre molto più alte per Milano, Roma e Venezia, tutte e tre sopra i €1.000 .
Molto spesso i Comuni italiani non riescono ad assicurare, per carenze economiche o di competenze, alcuni servizi ai propri cittadini. Quando questo avviene l’amministrazione è costretta ad “appaltarli” a soggetti terzi, il cosiddetto outsourcing o esternalizzazione. In Italia la pratica è molto comune, e non è anomalo vedere aziende private incaricate di assicurare il funzionamento di servizi pubblici ai cittadini.
Il tutto ovviamente ricade sulle tasche dell’amministrazione locale. Trattasi in maniera specifica delle spese che il Comune sostiene per eventuali prestazioni di servizi da parte di soggetti terzi rispetto l’ente comunale. Parliamo quindi di servizi che l’ente comunale deve garantire ai cittadini (es. la raccolta di rifiuti) e che decide di acquistare da soggetti terzi.
Nel 2012, per rendere l’idea, le 15 città più popolose d’Italia spendevano in media €625 pro capite per la prestazione di servizi . Classifica guidata da Milano, Roma e Venezia (nell’ordine) che spendevano tutte e tre oltre i €1.000 pro capite.
Fra le 15 città prese in considerazione, nelle ultime tre posizioni troviamo Napoli (€432,78), Catania (€375,47) e infine Messina (€182,75).