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Di chi sono, a chi appartengono i due gemelli, un maschio e una femmina, che verranno al mondo alla fine dell'estate, cresciuti nell'utero di una madre, che porta però dentro di sé il materiale genetico di un'altra coppia che dunque li reclama? E poi, ancora, nel mondo sempre più complesso dell'ingegneria procreativa, cosa conta di più, il legame affettivo o quello biologico? La legge del cordone ombelicale insomma, contro la legge del Dna. ...
Dal 4 dicembre scorso porta in grembo una coppia di gemelli non suoi. Una donna romana, che si è sottoposta quel giorno a un trattamento di "Procreazione medicalmente assistita" (Pma) nell'ospedale Pertini, nella periferia Est della Capitale, è ora al centro del clamoroso scambio di embrioni denunciato ieri sul quotidiano La Stampa ...

Madri, sebbene migranti

  • Martedì, 08 Aprile 2014 08:19 ,
  • Pubblicato in Flash news

In genere
08 04 2014

Sono talmente segregate nel lavoro di cura dei nostri figli e dei nostri anziani che ci dimentichiamo che anche loro hanno una famiglia. Come risolvono i loro problemi di conciliazione? Con molti funambolismi e con il calore delle reti informali. Una ricerca e tante voci

Paola Bonizzoni


Nel nostro paese sono in costante aumento i matrimoni misti e tra stranieri, i ricongiungimenti familiari, le nascite sul territorio e il numero di minori di origine straniera nelle scuole. L’invecchiamento progressivo della popolazione e la crescente rilevanza dei bisogni di cura, in un clima di progressivo ridursi delle risorse assegnate al welfare, hanno favorito l’insediamento di flussi di donne lavoratrici straniere, mitigando così la tendenza alla diminuzione della popolazione italiana grazie al loro maggiore tasso di fecondità rispetto a quello delle italiane. Le politiche pubbliche hanno sinora guardato con relativo favore questo fenomeno, come testimoniano le quote riservate nei decreti flusso annuali, e le passate regolarizzazioni ad hoc. Ciononostante, poca attenzione è stata sinora dedicata a come queste “nuove” famiglie affrontino le sfide della conciliazione.

In questo studio (1) abbiamo esplorato la vita di più di 50 madri lavoratrici provenienti da Est Europa ed America Latina con almeno un figlio minore in Italia. L’articolo ne sintetizza le principali riflessioni.

Le conseguenze della segregazione occupazionale

Non solo in Italia le lavoratrici di origine straniera rischiano di essere più frequentemente segregate nei segmenti meno vantaggiosi del mercato del lavoro. Nel nostro paese, le già accentuate dinamiche di concentrazione della manodopera straniera nelle posizioni meno qualificate e remunerative rischian, di inasprirsi nel caso delle donne immigrate. Secondo l’Istat, infatti, bastano solo 5 professioni (lavoratrice domestica, addetta ai servizi di pulizia, cameriera, inserviente in ospedale) per dar conto di più del 90% delle occupazioni da loro svolte: quasi la metà di loro, peraltro, trova impiego nel settore domestico e di cura. Tale segregazione si traduce in salari più bassi (797 euro, rispetto ai 1.129 guadagnati in media dalle donne italiane) e in più deboli diritti di maternità a causa degli elevati tassi di informalità (come nel caso del lavoro domestico, in cui i tassi di irregolarità stimati sfiorano il 40%). Questo avviene anche a causa della particolare debolezza contrattuale di alcune professioni (ad esempio la tutela della maternità garantita dal contratto nazionale dei lavoratori domestici) che spesso, peraltro, prevedono tempi di lavoro poco conciliabili.

- La ricerca ha evidenziato la difficoltà da parte di molte lavoratrici nell’accedere a congedi retribuiti e frequenti casi di licenziamento attribuibili agli accresciuti carichi di cura (per gravidanze o ricongiungimenti).

- Molte donne hanno lamentato le difficoltà nel conciliare impieghi (il lavoro domestico in coabitazione, il lavoro presso alberghi e ristoranti, in imprese di pulizie, ospedali e case di riposo) che prevedono turni “atipici” (serale, notturno, festivo).

- Il lavoro saltuario (a ore) nel settore domestico è una soluzione spesso preferita, ma solo da quelle donne che hanno un partner in grado di contribuire in modo sostanziale al reddito familiare. Le numerose famiglie monogenitoriali sperimentano, in questo senso, una condizione di particolare vulnerabilità.

Cosa potevo fare? Non riuscivo a trovare niente, solo lavoro fisso (in coabitazione)! E così ho avuto così tanti problemi (a gestire le figlie)...Carmela, peruviana, assistente domiciliare in coabitazione
Sto cercando dei lavoretti, in casa, cose così… Perchè quando i bambini si ammalano o le scuole sono chiuse… Se lavoro per una famiglia posso dire oggi non vengo, vengo domani perché ci sono quelle persone che non hanno bisogno tutti i giorni. Ma se lavoro in un hotel o in un ristorante e dico domani non vengo dopo due o tre volte ti lasciano a casa, è normale… Magda, rumena, colf a ore
Nel frattempo ho scoperto di essere incinta. La signora aveva iniziato a fare i documenti per la sanatoria ma quando ha saputo che ero incinta non è più andata avanti. Dolores, ecuadoriana, colf a ore
L’impatto delle politiche migratorie

Le esperienze di conciliazione delle madri di origine straniera è poi legato alle politiche migratorie perché queste interferiscono con la partecipazione al mercato del lavoro: banalmente, gli stranieri in condizione di irregolarità non possono che lavorare in nero. Inoltre, l’acquisizione e la conservazione del permesso di soggiorno è legata a doppio filo alla condizione occupazionale, tanto che la perdita del lavoro, proprio, o del familiare, può, in alcuni casi (in Italia la metà dei regolarmente presenti è tenuta a rinnovare il permesso ogni 1-2 anni, mentre gli altri sono esenti dagli obblighi del rinnovo in quanto titolari di permessi a tempo indeterminato), implicare la perdita del permesso di soggiorno.

Inoltre, le politiche vincolano la mobilità geografica dei familiari. Se alcuni parenti possono entrare e soggiornare legalmente in Italia, ciò è possibile solo ad alcune restrittive condizioni. Nel caso dei cittadini dei paesi terzi si tratta prevalentemente del coniuge e dei figli minori (più ampio è invece il concetto di famiglia applicato ai cittadini italiani e comunitari), mentre il ricongiungimento dei genitori anziani (che nel caso delle famiglie italiane sonospesso risorse strategiche ai fini della conciliazione) non è sempre possibile. Ciò, ovviamente, a condizione del fatto che i richiedenti dimostrino un certo reddito e un alloggio idoneo: criteri che variano proporzionalmente al numero di persone che si intendono ricongiungere.

- Molte delle donne intervistate hanno alle spalle esperienze di maternità transnazionale: ovvero, si sono prese cura dei propri figli a distanza per un certo numero di anni. In alcuni casi, questo accade perché le donne hanno bisogno di tempo per maturare le condizioni necessarie al ricongiungimento dei figli nati all’estero (uscire dal lavoro in coabitazione, trovare casa, un lavoro che garantisca un certo reddito…); in altri, perché figli nati in Italia sono stati mandati al proprio paese (dove non solo i costi della vita sono inferiori ma anche dove sono disponibili reti d’aiuto: generalmente le nonne) a causa delle difficoltà incontrate nel conciliare lavoro e famiglia.

- Per queste madri l’aiuto ricevuto da parte dei propri genitori o suoceri è scarso: raramente, infatti, questi risiedono nelle vicinanze. Nel caso delle cittadine comunitarie (rumene) è però relativamente facile (in assenza di visti) e più conveniente per le nonne soggiornare temporaneamente in Italia o prendersi temporaneamente cura dei propri nipoti in patria (ad esempio durante le ferie estive).

Un altro effetto delle politiche migratorie è la stratificazione dei diritti alla luce della sua nazionalità/status:

in questo senso, l’essere regolare o irregolare, titolare di permesso di breve o lungo periodo, o cittadino europeo o extraeuropeo, configura uno scenario in cui l’accesso ai diritti sociali è parziale e frammentato. Ancora oggi, per prestazioni quali l’assegno sociale, l’assegno di maternità, l’assegno per il nucleo familiare con tre figli minori, la parità di trattamento dei cittadini extracomunitari è infatti garantita (spesso in virtù di numerosi ricorsi per via giudiziaria) solo per i lungo soggiornanti (tutelati dalla direttiva europea 109/2003). Quella degli irregolari è invece fuori discussione: per quanto siano loro garantiti alcuni diritti fondamentali (ad esempio, le cure sanitarie necessarie ed urgenti, o il diritto/dovere all’istruzione dei figli nella scuola dell’obbligo) la gamma di diritti sociali a loro disposizione è, come negli altri paesi europei, strettamente limitata. La maggior parte delle donne intervistate ha alle spalle una (più o meno prolungata) esperienza di irregolarità, poi sanata nel tempo. Alcune hanno dovuto farsi carico della cura dei figli prima di ricevere un permesso di soggiorno: per loro, le difficoltà di conciliazione sono spesso state accentuate dalle difficoltà d’accesso ai nidi pubblici. I nidi privati sono stati giudicati troppo cari da tutte le intervistate.

Il bambino non ha la tessera sanitaria e se si ammala dobbiamo andare al pronto soccorso, non abbiamo il pediatra, devo pagare per le visite specialistiche…
E quindi immagino che tu non l’abbia portato al nido…
Oh no… non il nido pubblico ovviamente. Ho chiesto ai privati, ma mi chiedevano più di 400 euro, troppo.
Oksana, moldava, colf a ore
Queste, sintetizzando, le prevalenti strategie e risorse a loro disposizione per risolvere i dilemmi di cura:

- La costruzione di reti allargate di supporto informale che coinvolgono altre madri immigrate, ma anche genitori italiani e vicini di casa.

- La mobilitazione del proprio “capitale migratorio” per ricevere aiuto da parte di connazionali a cui si offrono forme di supporto strategiche nelle prime fasi di insediamento (ospitalità, supporto linguistico, aiuti nella ricerca di lavoro…).

- Per le lavoratrici domestiche, è talvolta possibile portare i figli al lavoro.

- La promozione di una precoce autonomia e l’assunzione di responsabilità domestiche e di cura da parte dei figli stessi.

- La partecipazione occasionale (impiego a ore) al mercato del lavoro

- L’adozione di strategie pluri-locali, mobilitando risorse sia in Italia che al paese d’origine.

 

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Note

(1) Bonizzoni, P., (2014), Immigrant Working Mothers Reconciling Work and Childcare: the Experience of Latin American and Eastern European Women in Milan, vol. 20, pp. 1-24

L'investimento sulla consistenza quantitativa e qualitativa delle nuove generazioni è precondizione per mettere le basi del futuro. Restituire centralità alle giovani generazioni nel mercato del lavoro è l'urgenza principale per tornare a crescere. ...

Corriere della Sera
23 03 2014

Si tende a preferire il bambino che ci assomiglia di più, che ha lo stesso carattere o gli stessi capelli, il bambino-specchio che realizza il nostro sogno di immortalità.

di Stefano Montefiori

Il tabù famigliare più grande, perché più diffuso, è quello sul figlio preferito. Nessun genitore ammette, prima di tutto a se stesso, di averne uno, e molti sono pronti a fornire zuccherose rassicurazioni come «l’amore di una mamma non si divide come le fette di una torta, quando nasce un nuovo bambino c’è una nuova torta intera di affetto anche per lui». Non è vero. I genitori spesso non lo sanno neppure, ma mentono. Le preferenze esistono, sono sempre esistite. Solo che in passato erano chiare, evidenti e riconosciute, anche socialmente: il primogenito ereditava tutto. Dal XX secolo in poi si è fatta strada la giusta convinzione che nelle famiglie non debbano esserci figli e figliastri, nel patrimonio e nell’affetto. Tutti o quasi ci provano, ma i rapporti speciali nascono e — ignorati, negati, repressi — resistono.

Per questo in Francia sta avendo successo il libro di due docenti dell’Università di Nantes, Catherine Sellenet (Psicologia e Sociologia) e Claudine Paque (Letteratura), che indagano sul più comune non detto della vita famigliare. Accanto a segreti spaventosi e per fortuna relativamente rari (violenza, incesto), c’è quello banalissimo del «cocco di mamma», che molti hanno sperimentato in almeno una delle versioni, in qualità di figli o di genitori. «La preferenza esiste e la sua negazione non fa che danneggiare la relazione, talvolta pervertirla», scrivono le autrici di “L’enfant préféré, chance ou fardeau?” (edizioni Belin), che aggiungono: «Accettare la realtà della preferenza per uno dei propri figli potrebbe aiutare a ridurre i danni sia sull’eletto sia sugli altri fratelli».


Le autrici hanno interrogato 55 genitori: all’inizio del colloquio neanche uno ha ammesso di avere preferenze per un figlio o una figlia in particolare. Alla fine l’80 per cento lo ha riconosciuto. Spesso è l’uso delle parole, il nomignolo, a tradire, come quel padre che cita «il primo figlio», «la più piccola», e poi racconta estasiato di «giocare a calcio con Paul», il prediletto chiamato per nome. Oppure quella madre che parla lungamente di François, Anne e infine arriva a «Josephine, la mia principessa», che unica ha diritto all’iperbole. Il libro è pieno di empatia per i genitori che cercano di fare del proprio meglio, ma la tesi è che bisogna cominciare a indagare sul perché si formano le preferenze e sugli effetti che hanno sui bambini: «una fortuna o un fardello?», si chiede il titolo.

Intanto, cosa spinge un papà o una mamma ad avere una predilezione? L’unica socialmente accettata è verso il figlio svantaggiato, più debole o colpito da handicap. Le altre, inconfessabili, sono spesso generate da un riflesso narcisistico: si tende a preferire il bambino che ci assomiglia di più, che ha lo stesso carattere o gli stessi capelli, il bambino-specchio che realizza il nostro sogno di immortalità. E poi il bambino facile che va bene a scuola, non solo perché pone meno problemi, ma soprattutto perché ci risparmia la fatica di dubitare di noi stessi e ci conferma nella riuscita di genitori, grande imperativo della nostra era.

Sellenet e Paque sottolineano che nell’attuale mondo di mamme e papà consapevoli e molto presi dalla loro missione, tutte le responsabilità vengono scaricate sui figli. Litigate tra voi, bambini cari? È perché siete di animo poco generoso, siete gelosi. In realtà, quando i figli trovano il coraggio di accusare un padre o una madre di fare preferenze, il più delle volte hanno ragione, hanno captato piccoli segnali molto eloquenti, un tono della voce, un’indulgenza in più, o anche solo una porzione migliore nel grande rito strutturante del pasto tutti insieme a tavola.

Il libro non auspica un ritorno al passato, a Menelao che nell’Odissea preferisce serenamente Megapente o a Abramo al quale Dio chiede di sacrificare Isacco proprio perché è il preferito, senza dubbio alcuno. Ma genitori più onesti con sé stessi potrebbero agire per controllare le conseguenze dei loro sentimenti. Prevale una specie di sindrome da «La scelta di Sophie», il celebre e tremendo film nel quale i nazisti costringono la madre Meryl Streep a scegliere chi salvare tra il maschio e la femmina. In condizioni normali, ammettere con sé stessi una predilezione non dovrebbe essere così straziante.

Oltretutto preferire un figlio, proprio come discriminarlo, non equivale a fargli un favore. Il prediletto sarà probabilmente più sicuro di sé, affidabile, esperto nel sedurre le figure di responsabilità (dopo i genitori in famiglia, gli insegnanti a scuola e i superiori nel lavoro), ma pure oggetto della gelosia dei fratelli, patirà di sensi di colpa e da adulto farà forse più fatica a trovare una strada autonoma, lontana dall’amore in cerca di retribuzione di quei bene intenzionati, attenti, e bugiardi genitori.

 

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