l'Espresso
05 02 2015
Il testo di Tiziano Terzani che pubblichiamo arriva in libreria in questi giorni, nel volume di inediti “Le parole ritrovate” (editrice La Scuola) che raccoglie, a cura di Mario Bertini, quattro interventi fatti a Firenze e dintorni tra il febbraio e il marzo del 2002, accompagnati da una rassegna di fotografie. A stanare il giornalista dal suo rifugio sull’Himalaya e a convincerlo a reimmergersi tra la folla era stato non tanto l’attentato alle Torri Gemelle quanto la rabbiosa risposta di Oriana Fallaci nel volume “La rabbia e L’orgoglio”. Terzani, sin dai sui esordi come corrispondente per diversi giornali, tra cui “L’Espresso”, coltivò un’instancabile curiosità per il continente asiatico, di cui divenne profondo conoscitore. Per questo dei tragici eventi dell’11 settembre 2001 afferrò subito il pericolo universale: lui, che gli uomini di Bin Laden li aveva incontrati, si fece così «pellegrino di pace», testimoniando davanti a tante platee del Belpaese la sua esperienza: «Ci sono milioni e milioni di persone che oggi, nel mondo, non vogliono vivere come noi […] che non vogliono la nostra libertà.
Queste persone sono anche tra di noi. Sarà bene ascoltarle, forse». (Enrica Murru)
Mi permettete di parlarvi un attimo dell’amore? Quando si nasce, secondo me, si nasce a metà, perché nell’origine si era una cosa insieme, poi ci ha separato il tempo, lo spazio, ma la vita diventa pienezza quando si trova l’altra metà, e io in questo sono stato fortunatissimo, per questo e per tante altre cose.
E così, in mia moglie, ho trovato l’altro pezzo di me molto presto: avevo appena fatto la maturità, e con quest’altro pezzo abbiamo fatto la strada insieme. E questo è bello perché si cresce insieme. Tanto è vero che io non mi vergogno a dire che quel che vedete qui, davanti a voi, è in gran parte il frutto del rapporto con questa mia straordinaria moglie.
Se poi mi chiedete: ma com’è che sei riuscito a stare quarantadue anni con la stessa persona, in questi tempi in cui si consuma tutto: si consumano le scarpe, gli orologi, i telefonini e anche i partner, i mariti, le mogli e perfino i fidanzati?
Debbo dire che ognuno deve trovare la sua formula nell’amore: la mia è stata questa, ma non è ripetibile, vi prego, e non pensate che tutto quello che io vi voglio dire stasera, sia la formula per la vita, o la soluzione per la pace.
Io non ho formule, non ho nemmeno risposte ai problemi del mondo, che sono immensi, ho soltanto delle domande, non ho nemmeno certezze, ho dei dubbi da porre a chi crede di avere certezze e poi non le ha. La formula del mio matrimonio è questa: grandi presenze e grandi assenze. Vi faccio anche l’esempio: io avevo già due figli piccoli, e facevo il corrispondente di guerra in Vietnam, dove non potevo tenere la famiglia perché era pericoloso. Chi di voi lo ha studiato, si ricorderà che, nel 1968, in Vietnam c’erano i vietcong che attaccavano le città, e non si poteva tenere i bambini in una zona di guerra, e così i miei stavano con la madre a Singapore, mentre io facevo il corrispondente di guerra in Vietnam, in Cambogia, nel Laos, e poi nelle guerriglie in Indonesia, in Malesia... ero sempre fuori.
Stavo via due o tre settimane e poi tornavo a casa. Ed era bellissimo tornare, perché ero pieno di piccoli regali per i bambini, e tante esperienze da raccontare a mia moglie, che a sua volta mi raccontava le sue. E questo era bello perché tutt’e due avevamo qualcosa da scambiarci. Tant’è vero che dopo un po’ di giorni mia moglie mi diceva: «Ma non hai qualche altra guerra da andare a raccontare?».
Per cui la mia formula era questa: grandi presenze e grandi distacchi. (...)
L’amore!? Una cosa che ormai è diventata così poco di moda. Chi di voi ha i capelli bianchi come me, si ricorderà che la nostra generazione, diceva «fare all’amore» e non «fare sesso». Io trovo, che se insegnassimo ai nostri figli già queste espressioni, avremmo fatto qualcosa di interessante. Avremmo riportato nella vita quella cosa stupenda e meravigliosa che è l’amore. Qualcosa che è più grande della materia.
Qualcuno dirà: «Ma il sesso è importante!».
Lo dite a me che ho 63 anni e ho girato il mondo?
Ma è la cantina, non è l’ultimo piano!
Molti giovani oggi hanno paura a dire: «Sono innamorato, ti amo!»
Perchè pensano che sia una debolezza, una vulnerabilità, uno sdilinquimento che non è una forza. Io trovo che se riparliamo d’amore è bellissimo, e il mio messaggio ai giovani è: vi prego, riscoprite la voce del cuore, la testa è bella, la testa è importante, ma la ragione non è tutto! Dobbiamo ascoltare il cuore e il cuore parla con la voce uguale. Mussulmani, cristiani, ottentotti, il cuore è uguale dappertutto. Non c’è un cuore orientale e un cuore occidentale, non c’è una psiche orientale e una psiche occidentale: noi siamo dentro la psiche che è uguale dappertutto. La vita è una, una! Questa piccola straordinaria vita è parte di una cosa meravigliosa, dell’universo...
E questo, ritornando nella natura, è una cosa che sento molto. Io, ora, me lo sono permesso: ho 63 anni e vivo in mezzo alla natura. Cosa che suggerisco a tutti di fare.(...)
Certi grandi dicono che la miglior forma di comunicazione è il silenzio. E le parole spesso sono trappole.
Vi faccio un esempio con una parola che tutti, tutti, tutti conosciamo. La parola “amore”.
A volte è una cosa meravigliosa, a volte una grande sofferenza, a volte una grande gioia, a volte una grande forza, a volte un fuoco, a volte un senso di insufficienza... amore.
Amore: tutto lì? Tutte queste cose? Tutte lì? In questa scatolina della parola? L’amore è molto di più di quella parola, eppure non troviamo altro modo di esprimerlo che con quella parola. (...)
Io non sono consumista, ho una sola moglie che non ho mai rottamato e con la quale sto insieme da 42 anni.
Quando feci conoscere questa mia moglie ai miei genitori dicendogli che era tedesca, il mi’ babbo la guardò come se ci avesse in testa un elmetto con scritto “ss”, e la mi’ mamma aggiunse: «La ‘un è nemmeno della nostra religione».
Questo voleva dire essere tedesco a Firenze 45 anni fa. Oggi è tutto superato, si può viaggiare in giro con questo euro senza frontiere e senza nemmeno passaporti. È una bella storia.
Tiziano Terzani
Internazionale
07 11 2014
Una corte d’appello statunitense ha deciso di mantenere il divieto sui matrimoni tra persone dello stesso sesso in quattro stati.
I giudici Jeffrey Sutton e Deborah Cook hanno decretato che i quattro stati, Kentucky, Michigan, Ohio e Tennessee, hanno il diritto di stabilire regole proprie:
Con la creazione di uno status (il matrimonio) e con il suo sovvenzionamento (per esempio con privilegi fiscali e detrazioni sul reddito), gli stati hanno creato un incentivo affinché due persone che procreano stiano insieme con lo scopo di crescere i figli. […] Questa spiegazione, ancora valida oggi, è sufficiente per consentire agli stati di mantenere la loro autonomia su una questione che hanno regolato fin dall’inizio.
Negli ultimi mesi altre quattro corti di appello degli Stati Uniti hanno tolto i divieti sui matrimoni tra persone dello stesso sesso, stabilendo che violavano il diritto delle persone a ricevere la stessa protezione dalla legge, garantito dalla costituzione.
MicroMega
24 10 2014
Al di là della visione standardizzata del disabile asessuato, infantile ed estraneo alla sfera del piacere erotico, esiste un mondo in cui queerness ed handicap si fondono in un abbraccio dolce e sovversivo, dove le presunte regole normative del sesso sono messe in discussione, rovesciate a pancia all'aria e ripensate in modo critico.
Nato all'inizio del Novecento come dispregiativo omofobico, il termine queer viene riutilizzato sovversivamente dal linguaggio della queer theory come concetto inclusivo, trasversale, che non ubbidisce al binarismo eterosessuale/omosessuale, che si appella senza distinzioni ad ogni tipo di sessualità marginale. La paura dell' “altro” nel contesto teorico sviluppato all'interno dei disability studies e della queer theory coinvolge da un lato i corpi imperfetti di individui affetti da menomazioni fisiche e mentali, dall'altro l'orientamento sessuale queer.
L'intento di questo articolo è quello di creare un ponte tra questi due tipi di emarginazione sociale in relazione alla sessualità. Attraverso il legame tra disabilità e queerness è possibile ripensare le rappresentazioni culturali delle pratiche normative-eterosessuali e dare spazio ad un nuovo tipo di approccio alla sessualità e all'identità di genere. Al di là della visione standardizzata del disabile asessuato, infantile ed estraneo alla sfera del piacere erotico, esiste infatti un mondo in cui queerness e disabilità si fondono in un abbraccio dolce e sovversivo, dove le presunte regole normative del sesso e della sessualità sono messe in discussione, rovesciate a pancia all'aria e ripensate in modo critico.
Da sempre il linguaggio medico opera a sostegno di un paradigma culturale che accomuna il sesso e la sessualità all'abilità fisica, escludendo così dal panorama erotico gli individui impaired, portatori di handicap. Fino a tempi recenti al concetto di disabilità è stato infatti attribuito uno studio prettamente medico, considerando la condizione dell'essere disabile come effetto diretto di menomazioni di tipo fisico e mentale. Soltanto nel 1980, con la nascita dell'anglosassone Social Model of Disability, al termine “disabilità” è stato dato un significato di tipo etico e culturale, discernendo il concetto di “menomazione” da quello di “disabilità”, quest'ultima definita da processi di esclusione sociale. Secondo il Social Model of Disability il germe dell'emarginazione sociale di individui portatori di handicap non si alimenta dei loro “difetti” fisici o mentali, ma nasce e si perpetua all'interno della nostra società; l'inadeguatezza delle infrastrutture, pensate esclusivamente per il cittadino non portatore di handicap, disabilita ed opprime gli individui diversamente abili alimentandone l'esclusione sociale.
Diversi esponenti dei Disability Studies puntano a stravolgere lo stereotipo del disabile asessuato e mostrarne il lato queer, “perverso”, che stride con l'ideale della sessualità “abile” ed eterosessuale accettata come “norma”. All'interno e attraverso questi studi, individui diversamente abili si raccontano nella loro intimità, tramutando i propri handicap in correnti di piacere erotico. Grazie a loro, la paura dell'anormalità fisica e sessuale si spegne alla soglia di un linguaggio queer, che si articola tra le forme imprecise del corpo disabile sprigionando una forma nuova di erotismo; un erotismo in cui queerness e disabilità, legati da un passato ed un presente di oppressione sociale, si uniscono in un imperativo sessuale che lotta contro gli stereotipi di genere e sessualità.
Orgasms in Our Ears
Julio ha perso la gamba sinistra in seguito ad un grave incidente d'auto. Julio decide di raccontare e condividere la propria esperienza all'interno della piattaforma online BENT: A Journal of Crip Gay Voices. BENT è un mondo virtuale all'interno del quale omosessuali portatori di handicap riflettono sulla condizione di disabilità in rapporto alla sfera sessuale. Partendo dalle proprie esperienze più intime, i protagonisti di BENT mettono in discussione la propria “anormalità” su due fronti, quello della sessualità queer e quello della menomazione fisica, impedendo ogni genere di categorizzazione identitaria. Julio, come altri utenti BENT, decide di lottare contro lo stereotipo del disabile asessuato e vulnerabile raccontando con tono provocatorio l'universo sessuale generatosi in seguito alla perdita della gamba: “Voglio parlare di tutto ciò che implica l'essere un disabile arrapato, esplorarne ogni eccitante dettaglio. Voglio demolire l'opinione comune che insiste sull'asessualità delle persone disabili, che giudica ripugnanti i nostri corpi deformi e bizzarri. Rifiuto l'idea del nostro essere impotenti, sgradevoli, bisognosi e dipendenti. La rifiuto e voglio che tutti voi la respingiate.”).
Julio racconta la propria disabilità come il veicolo attraverso il quale soddisfare i propri piaceri erotici: dopo l'amputazione il moncherino si è tramutato in zona erogena, il contatto diretto con la pelle provoca una sensazione di estremo piacere sessuale, il gioco erotico con l'amante ruota attorno ad un'assenza che nutre di passione. La disabilità di Julio, lontana dall'essere una “mancanza” all'interno del mondo della sessualità, si trasforma così in oggetto di desiderio sessuale che apre le porte a forme sempre nuove di erotismo: “Ho un nervo cauterizzato nel mio moncherino . . . che provoca una sensazione di immenso piacere quando lo tocco o accarezzo. Quando qualcun altro lo fa, quando un amante lo tocca, mi fa impazzire.” (Julio, “Orgasms in Our Ears”).
La storia di Julio sovverte i parametri normativi del sesso e della sessualità, stravolgendo da un lato l'ideale eterosessuale di riproduzione genitale e dall'altra i parametri convenzionali che predicano una forma fissa e “naturale” di piacere erotico. Tra le intime pagine di Julio il corpo deforme e “altro” dell'amputazione diventa un corpo sessualmente desiderabile. Rendendo erotica la sua disabilità, Julio smentisce il paradigma egemonico, supportato dal discorso medico, che accomuna il sesso all'abilità fisica, il sessualmente desiderabile alla “normalità” priva di menomazione, racchiudendo queerness e disabilità all'interno di uno stesso denominatore: la sessualità.
The time in the pleasure garden before the fall
Angela, intersessuale, racconta il suo approccio alla sessualità prima dell'intervento chirurgico di esportazione delle ovaie e amputazione del clitoride. Angela racconta di essere cresciuta senza alcun tipo di “ambiguità” fisica fino all'età di dodici anni, quando il clitoride ha iniziato a crescere in modo prominente: “I noticed the size of my clitoris growing more promently but I loved it. I had this wonderful relationship with it. I think of that time that I had, maybe six months before surgery, from the time that I noticed it and started to love it to the time that it was taken from me, it's like this time in the pleasure garden before the fall”. La madre decide di sottoporre la figlia ad una visita endocrinologa; dopo solo un mese, Angela viene ammessa all'ospedale di Chicago per un'operazione chirurgica.
Dopo l'intervento, soffre un drastico cambiamento nella sfera sessuale. La “normalizzazione” delle forme ambigue dei genitali ha ridotto drasticamente il grado di piacere sessuale provato precedentemente all'operazione: “Io so che la meravigliosa sensibilità che avevo prima dell'operazione chirurgica, sto parlando di sensibilità genitale, degli orgasmi che ho provato . . . è diversa dalle esperienze che mi sono state raccontate da altre donne in rapporto al loro corpo . . . è davvero doloroso per me . . . pensare che ciò che mi è stato portato via è un erotismo unico, specifico . . . un erotismo ermafrodita che deve spaventare davvero le persone e provocare un elevato stato d'ansia . . . questa parte di me così speciale . . . la nostra (ermafroditi) sessualità . . . c'è stata strappata via . . . questo significa, cosa ancora più importante, che la nostra forma di sessualità così speciale . . . che era unicamente ermafrodita . . . è stata portata via” (Hermaphrodites Speak).
L'approccio alla sessualità raccontato da Angela si appella ad un erotismo queer che nasce e si sviluppa dalle forme ambigue del corpo intersessuale; il suo anomalo clitoride, il suo organo “disabile”, modella nuove forme di piacere erotico che minano lo stesso discorso medico, basato sulla matrice eterosessuale che regola pratiche sessuali di tipo normativo. La storia di Angela reinterpreta l'idea egemonica di sessualità attraverso un continuo dialogo tra menomazione, disabilità e queerness, stravolgendo e ripensando il rapporto tra abilità fisica e sessualità, tra sesso ed identità di genere.
Virginia Zoli
Pagina99
23 10 2014
Sabato 18 ottobre Ignazio Marino ha trascritto 16 matrimoni celebrati all’estero. Sappiamo quali sono state le reazioni scatenate dalla decisione. “Marino firma autografi” aveva commentato Angelino Alfano mentre Maurizio Gasparri richiamava alla disobbedienza civile (“Campidoglio nell’illegalità”) e in moltissimi correvano a sottolineare che i problemi sono altri – il lavoro, l’economia, le “altre” famiglie – non si può mica perdere tempo con i diritti civili, con quelli dei gay poi.
Uno dei commenti più recenti è quello di Nicola Giampaolo, consigliere di Rutigliano (provincia di Bari): “Roma vergognati!? Meglio un sindaco mafioso del sud!”. Forse questo tipo di commenti definisce i commentatori meglio di qualsiasi ulteriore didascalia.
Pochi, nella schiera degli accusatori, sembrano essersi soffermati sul valore simbolico che questa trascrizione potrebbe avere avuto per i bambini. Quei figli in nome dei quali molti se ne stanno in piedi in una piazza per ore a leggere un libro, altri invocano i prefetti o l’ordine pubblico, ci mettono in guardia riguardo alla distruzione della Famiglia (quella vera, quella composta da una donna e un uomo), altri ancora rimpiangono i bei tempi che furono quando la famiglia tradizionale prevedeva il matrimonio riparatore o l’istituto della dote. Ah!, quando si stava meglio allora. Quei figli, forse sfugge intenzionalmente, che esistono e che si devono sentir dire che le loro famiglie non sono mica famiglie per davvero. Sono una caricatura, scimmiottano quelle vere, sono un errore morale e un travisamento giuridico.
Ed è bizzarro che in nome della difesa dei più deboli e dei più piccoli si arrivi a tirare giù dalle soffitte tutti i mali possibili e certi che la trascrizione – anche questa, al momento, più simbolica che valida come effettiva garanzia di diritti – scatenerà. O forse è già successo, il male è già tra noi. E quale sarebbe? È difficile capire.
Vedremo come andrà a finire dal punto di vista giuridico, e vedremo se ci sarà mai la possibilità di una reale uguaglianza tra cittadini – raggiungibile unicamente con la possibilità di sposarsi per tutti, senza distinzione di sesso e orientamento sessuale.
Nel frattempo potrebbe essere utile cercare qualche ragione valida a sostegno del divieto e della permanenza di una discriminazione profonda tra cittadini. No, l’apocalisse non vale come ragione valida. Quali sarebbero i danni inferti dall’uguaglianza?
Che cosa danneggia maggiormente i bambini, la trascrizione di qualche giorno fa oppure la pretesa che esista un Solo Modello al di fuori del quale non possono che esserci infelici e figli a metà?
Chiara Lalli