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Amarsi e dirsi addio sulla bacheca di Facebook

  • Domenica, 16 Febbraio 2014 10:26 ,
  • Pubblicato in L'Analisi
Martino Mazzonis, pagina99
16 febbraio 2014

Facebook e la nascita dell'amore. Non è il titolo di un film di Natale sceneggiato da Federico Moccia ma il titolo di un post di DataScience sulle interazioni amorose sul social network.

Mappiamo la nostra intolleranza

  • Venerdì, 14 Febbraio 2014 09:11 ,
  • Pubblicato in L'Opinione
Stefano Jesurum, Sette
13 febbraio 2014

Nasce un progetto che, attraverso Twitter, individuerà le aree dove razzismo, omofobia e odio verso le donne sono maggiormente diffusi.
E' più o meno sempre così: grandi ondate emotive per gli ignobili attacchi al ministro Cécile Kyenge o per gli orribili gesti antisemiti di Roma, ...
L'81% degli italiani pensa che le interazioni sessuali tra adulti e adolescenti siano diffuse e trovino in Internet il principale strumento per iniziare e sviluppare la relazione, che può sfociare in un incontro fisico. ...

Se Berlinguer è un eroe dei social network

  • Venerdì, 31 Gennaio 2014 10:43 ,
  • Pubblicato in Flash news

Globalist
31 01 2014

Si moltiplicano le pagine dedicate al segretario del Pci. A giugno 30 anni dalla morte. Il suo rispetto per la democrazia e quello di oggi.

Se 370mila persone sostengono una pagina facebook dedicata a Enrico Berlinguer forse siamo oltre la distratta adesione nella prateria di un social network. Siamo certi che saranno moltissimi quelli che hanno dato il loro mi piace senza nemmemo averlo conosciuto, il segretario del Pci. Non è solo nostalgia, romanticismo, stima eterna, ricordo per una grandezza riconosciuta in vita e dopo. Berlinguer ha costruito la democrazia insieme al suo Pci, quando il Pci era considerato antisistema e in Italia c'erano i servizi segreti deviati, il doppio Stato, la Cia. Il leader comunista ha tessuto con pazienza e rigore la tela di una politica diversa, alternativa, ricca di idee e simboli, con obiettivi reali per i lavoratori, magari sbagliando ad un certo punto alcune scelte, strategia, ma con onestà, con convinzione, con profondità di analisi, con rispetto dell'avversario.

Mettiamo tutto questo davanti al tempo presente e allora capiamo lo sguardo all'indietro verso Berlinguer. Tra pochi mesi sarano trent'anni dalla morte di Enrico Berlinguer. Francesco Piccolo, scrittore, sceneggiatore ha come anticipato l'evento nel suo libro, "Il desiderio di essere come tutti". La diversità tanto coltivata da Berlinguer è stata vera, autentica, finché lui è restato in vita. Era sua, non dei suoi epigoni, anche se in moltissimi hanno continuato a farlo in nome di, alcuni a buon diritto, altri facendo risuonare nel loro vuoto le sue parole. Il Tutti, anche grafico, riportato nel libro di Piccolo, è il titolo dell'Unità nel giorno dei funerali di Enrico. Tutti, perché il segretario del Pci, quel giorno era nelle case di tutti, tutti ricorderanno per sempre dove erano, cosa facevano, cosa pensarono, quel giorno.

Eventi, la Storia. Oggi pretendono di parlare in nome del popolo che soffre deputati e senatori sorteggiati da pochi votanti via web, dei quali non si conosce alcun percorso o merito politico, se non quello di aver giocato la carta giusta al momento giusto, nel paese del grattaevinci. La democrazia della pratica, dei gesti, del rispetto non c'è. Non c'è in loro né nei pallidi eredi solo per epifenomeno di quella stagione politica.

Sarebbe interessante sapere cosa ha intenzione di fare Matteo Renzi per l'anniversario di Berlinguer. Senza il Pci non ci poteva essere oggi il Pd. Ai tempi il segretario democratico non aveva nemmeno 10 anni, ma qualche pensiero di allora gli dovrà tornare, necessariamente. Ci sono simboli che vanno ricordati ogni giorno, nei piccoli come nei grandi gesti quotidiani. Il trentennale di Berlinguer non è un giorno è un modo di essere su cui ragionare a lungo, grazie alla data. Senza retorica, come qualcuno che si sente strumentalmente depositario, dentro il Pd, sarebbe tentato di fare. Veltroni ci sta facendo un film-documentario su Enrico Berlinguer, in questo percorso laterale partendo dalle sue radici. Sono in molti ad avere a cuore la storia di Enrico. Perché è la loro storia, l'unica che riconoscono, davanti al niente presente.

Fabio Luppino

Internet non è (ancora) un paese per donne

  • Giovedì, 09 Gennaio 2014 09:21 ,
  • Pubblicato in LA STAMPA
La Stampa
09 01 2014

Il troll "di genere" è tuttora il residuo arcaico più evidente nella rete. Gli ossessionati del cyberstalking sarebbero anche un costante ostacolo all' espressione del pensiero femminile; la giornalista di Los Angeles Amanda Hess ha lanciato in proposito, giorni fa sul "Pacific Standard", un proclama piuttosto deciso; sostiene che per una donna come lei, attivissima in tutti i possibili social network, è all’ordine del giorno essere cyber aggredita da maschi vigliacchi e intolleranti del fatto che lei, nei suoi post e articoli, si esprima in maniera anche spesso spregiudicata.

Il machismo rozzo e violento sarebbe quindi, secondo la signora Hess, una caratteristica propria della rete, che monopolizza il sentire generale delle donne, prendendo di mira soprattutto quelle particolarmente vivaci nell'esprimersi. Il troll di genere oltre essere fastidioso, eserciterebbe sulle vittime una minacciosa pressione, quasi un ricatto che spesso le invoglierebbe a rinunciare a esporsi on line, solo per essere lasciate in pace. Da tenere conto che Amanda è una bella donna, professionalmente libera e disinibita, trattando spesso tematiche che riguardano la relazione o la sessualità.

La giornalista così descrive l’ effetto della sua costante esperienza con cyberstalker: "Le minacce di stupro, di morte, e lo stalking può sopraffare nostra larghezza di banda emozionale, oltre a farci perdere tempo e soldi in attività investigative on line.” Nell’ ultimo caso era estate e Amanda si trovava in vacanza a Palm Springs, quando un amico dalla parte opposta della costa l’ avverte, alle cinque di mattina, che da un account Twitter qualcuno la stava minacciando di morte. L’escalation dei tweet è quella tipica del molestatore compulsivo; parte con apprezzamenti fisici per degenerare in pesanti insulti sessuali. In quel caso l’uomo si vantava di essere stato già recluso per l’ omicidio di una donna, aggiungendo che era sua intenzione violentarla e decapitarla: “Stai per morire e io sono quello che sta per ucciderti.” Il colmo per lei è stato quando il poliziotto, che aveva chiamato perché seriamente spaventata, le domanda cosa mai fosse Twitter, non capendo come fosse avvenuta la minaccia.

Conor Friedersdorf il giorno seguente riprende il tema su "The Atlantic", con una riflessione più ampia sull’ aggressività di genere, concludendo amaramente che anche molte delle sue colleghe avessero sperimentato una simile aggressività ai loro danni, tanto da essere costrette ad abbandonare l’ attività sui loro blog personali, ripiegando nella decisione di continuare la loro attività su media tradizionali.

La domanda che pone l’articolista è interessante, come pure assai triste: quanto pensiero di donne di talento ci dobbiamo perdere on line per colpa di questa onda misogina? Il tema può essere affrontato solo con una grande sincerità d’intento, soprattutto al netto di ogni sovrastruttura ideologica. Non è un tema “femminista”, ma la prevalenza della violenza di genere in rete impoverisce tutti noi. Perdiamo le grandi possibilità di un incontro dialettico che nel mondo concreto non sempre è stato, ed è tuttora, possibile.

E’ un dato di fatto che il pensiero in rete sia a prevalenza un pensiero maschile, che la prevalenza dei maschi in rete la immagini come possibile terra franca in cui esercitare la propria supremazia, al riparo dall' idea di doverne rendere conto. Un esempio più vicino alla nostra realtà nazionale, sicuramente ben rappresentata da un consistente numero di maschi cyber molestatori, è quello della pagina Facebook “Io odio i maniaci di m….” dedicata alla capillare denuncia di tutti quelli che scambiano i social network per una prateria di caccia libera, sulle tracce di donne in presunta ricerca di avventure facili. Qui, come già scrivemmo, è raccolta una capillare classificazione dell’involuzione antropologica del maschio rapace quando, al posto della clava, si trova in mano un mouse. Basta scorrere gli screenshot che le vittime di molestia ripubblicano per rendersi conto che non basta avere una connessione iperveloce e un tablet di ultima generazione per essersi affrancati dalla primordiale condizione di predatore genetico.

Ancora la cultura digitale deve metabolizzarsi nel profondo dei nostri comportamenti, non bastano le dichiarazioni di principio per farci affrancare veramente dalle gabbie mentali che ereditiamo da un’ infinità di generazioni che ci hanno preceduto. Nessun maschio si chiami fuori…Sono gabbie belle spesse, che anche la fase più straordinariamente veloce della nostra evoluzione non è riuscita ad abbattere.

Gianluca Nicoletti

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