Social taliban

  • Martedì, 16 Aprile 2013 08:52 ,
  • Pubblicato in Flash news
Lipperatura
16 04 2013

Non so voi, ma la recrudescenza dei toni e delle argomentazioni degli antiabortisti mi sgomenta. Per esempio, da quando il nome di Emma Bonino ha cominciato a circolare fra i candidati alla presidenza della Repubblica, su quel luogo di agnellini che è Facebook è cominciato il passa-passa-guarda-guarda delle fotografie di Bonino ai tempi del Cisa. Cosa fosse il Cisa, è faccenda ignorata dalle anime belle e ferocissime che rigurgitano odio sui social: questo, per chi volesse, è un volantino che veniva diffuso nell’anno di grazia 1974. A questo punto occorrerebbe anche ricordare (per chi c’era, come la sottoscritta), le file di donne (e di uomini) che dal secondo piano di via Torre Argentina arrivavano in strada, il martedì e giovedì pomeriggio, quando nella sede del partito radicale si ospitavano le riunioni del Cisa.

E ogni giorno noi ragazze e ragazzi dell’agenzia di stampa alzavamo il telefono, percepivamo esitazione dall’altra parte e senza neanche aspettare la domanda brontolavamo “il martedì e giovedì alle cinque”. Perché eravamo giovani e stupidi, e non ci rendevamo conto della paura e del dolore  di chi faceva quella telefonata, visto che l’aborto era illegale, e davamo assai più ascolto alla nostra scocciatura perché, letteralmente, era impossibile usare il telefono. Giovinezza e stupidità, in effetti, non giustificano la mancanza di empatia: non ne faremo mai abbastanza ammenda.

Questo era il Cisa. Cari “giuristi per la vita” che oggi vi riunite a presentare il vostro bel librino anti-Bonino e anti-aborto, questo era il Cisa. Cara Costanza Miriano, che attribuisci a Emma Bonino la palma velenosa del male assoluto, questo era il Cisa. Un’organizzazione di volontarie e volontari che rischiava il carcere (e in carcere molti sono finiti) perché le donne, all’epoca, morivano di aborto clandestino. Una mia amica di adolescenza ci è andata molto vicina: aveva sedici anni, aveva radunato non so come una cifra per l’epoca ragguardevole, fece un raschiamento senza anestesia nello studio di un medico tanto perbene e tanto cattolico. Quasi morì di febbre.

Un paese civile deve poter garantire la libera scelta ai suoi cittadini. In questo paese scegliere di interrompere la gravidanza non è possibile, o è sempre meno possibile (qui le notizie su Brindisi, che seguono quelle di qualche settimana fa relative a Bari). In questo paese chi si è battuto per i diritti viene lapidato dalle nuove icone del fondamentalismo da social network.  C’è chi in rete scrive che se Emma Bonino o Stefano Rodotà fossero eletti presidenti della Repubblica emigrerebbe. Perdonate la chiosa, ma credo che fra i molti ottimi motivi per auspicarne la nomina, questo svetta ai primi posti.

Fatto Quotidiano
11 04 2013

L’obiettivo dichiarato è proteggere i più piccoli. Il risultato è che basta una segnalazione anonima per far chiudere qualsiasi sito internet. La Russia sta applicando la legge 89417-6. “Sulla protezione dei bambini dall’informazione pericolosa per la loro salute e il loro sviluppo”, approvata tra mille polemiche lo scorso luglio, e sta chiedendo a Wikipedia, Facebook, Twitter e YouTube di rimuovere i contenuti “pericolosi”. Nel mirino dei legislatori ci sono la pedopornografia, la promozione di stupefacenti e i materiali che “istigano al suicidio“, ma i primi ad essere chiusi sono stati siti del tutto innocui. I social media stanno cancellando messaggi e pagine incriminate per evitare di essere oscurati, scrive il New York Times, e solo il portale video di Google sta opponendo resistenza. Per gli attivisti si tratta dell’ennesima stretta contro il web: la legge, dicono, è fatta per essere applicata ai contenuti sgraditi a Vladimir Putin. E intanto la blacklist cresce a ritmi vertiginosi.

Si chiama Roskomnadzor. E’ l’Agenzia Federale per la Supervisione delle Comunicazioni, dell’Information Tecnology e dei Media. Un moloch burocratico di stampo sovietico cui la legge fornisce un potere pressoché illimitato sul web. Funziona con il meccanismo delle segnalazioni anonime, spiega DigitalTrends: quando un utente considera non appropriato un contenuto e lo segnala al Roskomnadzor, la url finisce sulla lista nera (zapret-info.gov.ru) e l’agenzia invia un richiamo al proprietario del materiale e al provider. Nel caso in cui il primo non rimuova le pagine segnalate entro 3 giorni, il secondo è tenuto a bloccare l”accesso all’intero sito. “Siamo colpevoli fino a prova contraria – ha spiegato Dmitry Homakom, proprietario di Lurkmore.to, sito di satira, tra i primi ad essere censurati per un articolo sulla marijuana, lo scorso novembre – e quando veniamo segnalati dobbiamo essere in grado di provare di non avere fini criminosi”.

I social network hanno deciso di collaborare con le autorità. Il più zelante è Twitter, che ha cancellato alcuni cinguettii che si riteneva potessero “incoraggiare sentimenti suicidi” e altri che parlavano di stupefacenti. Il caso più famoso è quello di Sultan Suleimanov (@sult) che il 31 ottobre 2012 aveva twittato: “Amici, suicidatevi, è divertente. Io ci ho provato, mi è piaciuto molto e domani lo farò di nuovo”. Un tweet ironico che non è riuscito a solleticare il senso dell’umorismo dei burocrati della Roskomnadzor, che hanno invece plaudito alla sollecitudine del social network: “Twitter è attivamente impegnato a cooperare”. Molto collaborativo anche Facebook, che a fine marzo ha chiuso su richiesta di Mosca “Club Suicid”, pagina fan di stampo umoristico. La valutazione della pericolosità dei messaggi è totalmente arbitraria e non prevede alcuna procedura giuridica.

La gogna è toccata anche a Wikipedia, cui la Roskomnadzorn ha contestato un articolo che illustrava i vari modi di fumare la cannabis. L’enciclopedia ha così accettato di modificarne i contenuti in una maniera “che ora soddisfa le nostre esigenze”, ha fatto sapere Vladimir Pikov, portavoce dell’agenzia. Che ora chiede la modifica di altri 11 articoli. YouTube, invece, ha deciso di resistere. Le autorità avevano chiesto al portale video di Google di rimuovere un filmato che spiegava come costruire un trucco per la notte di Halloween: una lametta da barba che pare conficcata in un polso. Orrido sì, ma innocuo. Il video è stato bloccato oltrecortina, ma YouTube ha fatto causa all’agenzia: la prossima udienza del processo è fissata per il 26 aprile. La censura comincia dalle piccole cose e nella Russia che ha condannato al carcere le Pussy Riot e vieta la “propaganda gay” in pubblico sono in molti a prevedere una nuova stretta alla libertà di pensiero. I blogger e gli intellettuali che a luglio avevano protestato contro l’approvazione della legge avvertono: le autorità vogliono mettere sotto controllo la Rete. “Anche se la legge ha lo scopo di proteggere i bambini – ha spiegato a Wired Sahar Halaimzai, portavoce di Pen International, tra le più autorevoli associazioni internazionali di letterati – si è arrivati ad un più alto livello di controllo da parte del governo (…) il che è allarmante in un contesto in cui l’opposizione e i gruppi religiosi sono sottoposti a censura e tv e giornali sono controllati dallo Stato”. “Abbiamo riscontrato un significativo aumento di restrizioni alla libertà su internet”, ha fatto sapere l’Agora Human Rights Association. I numeri ufficiali parlano chiaro: i siti finiti nella blacklist sono più che triplicati in meno di un mese, arrivando a quota 1.479.

La solitudine dell’uomo iperconnesso: Quali prospettive?

  • Mercoledì, 27 Marzo 2013 10:48 ,
  • Pubblicato in Flash news
Che futuro!
27 03 2013

L’umanità rattrappita dell’iperconnessione ha perso l’usanza di incontrarsi: è «contrario allo spirito del tempo», nota Edward Morgan Forster in quella che, a tutti gli effetti, è una visione – e una condanna – del presente scritta oltre cent’anni fa, nel 1909.

La Macchina si ferma è questo, più che una semplice anti-utopia in cui si consuma lo scontro tra l’umano e l’artificiale, tra il comando di sé e la dittatura della tecnica. Non te lo aspetti dall’autore di Camera con vista, Casa Howard e Passaggio in India. Ma il racconto, abbandonato all’oblio editoriale prima della recente ristampa per i tipi di Portaparole (pp. 156, 16 euro), inizia così.

C’è una donna chiusa in una stanza esagonale, «come la cella di un’ape». Da cui non ha più bisogno di uscire. Il suo corpo è rattrappito dalla mancanza di moto: una «pappa biancastra», una «massa di carne infagottata» di un metro e mezzo. Chatta, diremmo oggi, telelavora. È sempre in quella stanza.

I suoi gesti, i pensieri rimandano alle questioni della nostra era. Soprattutto, fanno immaginare che Forster abbia già in mente la rete, Internet, o qualcosa di molto simile. Quando scrive: «Sotto i mari, sotto le radici delle montagne, scorrevano i cavi tramite i quali (gli uomini, ndr) vedevano e sentivano» si percepisce l’eco delle pagine di Tubes, in cui il giornalista di Wired, Andrew Blum, racconta la posa delle connessioni transoceaniche.

O quelle di Automate This, dove Christopher Steiner disegna la mappa della terra squarciata per pochi millisecondi di vantaggio che si traducono, nel Leviatano del trading automatico, in milioni di dollari di profitto.

Forster racconta i dettagli più vividi del nostro 2013 quando la protagonista passa da una comunicazione all’altra, e prova insofferenza perché «passarono ben quindici secondi». Una temporalità che, annotata all’alba del Ventesimo secolo, ha del visionario. E che oggi si accompagna alla sensazione che ben conosciamo, tra l’urgenza e la rabbia, per quella pagina che non si carica, per quel messaggio che non arriva, anche se solo per un istante. Quella sensazione che l’autore approssima dicendo sia «peggio della solitudine», senza andare troppo lontano dal vero.

Ma è nella descrizione dei rapporti interpersonali, e di ciò che sono diventati nello scenario post-apocalittico del racconto, che l’autore sembra addirittura prevedere l’avvento di Facebook e degli amici che diventano ‘amici’. Eccessivo? Si leggano questi brani: «La stanza si riempì del suono di campanelli e tubi parlanti. Era buono il nuovo cibo? Lo consigliava? Aveva avuto qualche idea di recente?». Sembrano le notifiche di Facebook. Sembra Facebook che ti chiede: «Cosa succede, Fabio?», «Scrivi qualcosa».

Prosegue Forster: «Era disposta ad ascoltare le idee altrui? Poteva fissare un appuntamento quanto prima per visitare i nidi d’infanzia pubblici? Diciamo fra un mese esatto? Alla maggior parte di queste domande Vashti rispose con irritazione, una caratteristica in costante crescita in quell’epoca affannata». È una contemporaneità che ha le sfumature degli scettici, ma di oggi più che di allora: «Conosceva svariate migliaia di persone», scrive di Vashni, figura centrale nella narrazione, che persone in carne e ossa non ne vede da tempo immemore.

Eppure «per molti versi i rapporti umani erano progrediti enormemente», prosegue, nonostante si riducano – come spesso oggi – a premere dei «pulsanti». Gli stessi con cui Vashni può ordinare del cibo, riprodurre musica e letteratura (entrambe automatizzate, altro tema di profonda attualità), essere autosufficiente al punto che «la stanza, pur non contenendo nulla, era in contatto con tutto ciò che le era più caro al mondo». E che il «desiderio di guardare le cose direttamente», un po’ alla volta, svanisce, diviene addirittura «inquietante».

È un culto della mediazione tra fatto ed esperienza che, suggerisce Forster nelle pagine più politicamente significative, fa il gioco di chi controlla e reprime. Come se il regime del tempo reale comportasse la disintegrazione della cronaca e della storia, prima ancora che della riflessione e dell’approfondimento.

Non tramite una estenuante riscrittura, come in Orwell, ma con una ben più subdola e insidiosa manipolazione del modo stesso in cui si apprendono le cose del mondo. «Voi che mi ascoltate potete giudicare la Rivoluzione Francese meglio di me», spiega, dando voce agli intellettuali di quell’epoca immaginaria eppure così vivida. Che insegnano si studi ciò che x pensa che y pensi che z pensi di ciò che è accaduto in quei giorni del 1789: non i fatti, separati quanto possibile dalle opinioni.

Non una cura maniacale delle fonti, ma la loro relativizzazione, il loro equivalersi tutte, e subito. «I vostri discendenti potranno farlo meglio di voi perché impareranno ciò che voi pensate che io penso, e così la catena si arricchirà di un ulteriore intermediario. E col tempo, disse alzando la voce, verrà una generazione che andrà oltre i fatti, oltre le impressioni, una generazione del tutto incolore». O di solo colore, di soli editorialisti da 140 caratteri, di soli partigiani. Fino all’avvento di una generazione «che vedrà la Rivoluzione Francese né come è avvenuta, né come avrebbe voluto che fosse avvenuta, ma come sarebbe avvenuta se avesse avuto luogo ai tempi della Macchina». Ovvero, come se il referente ultimo di ogni catena di ragionamenti fosse quel potere, divenuto millenario, e la sua logica.

Così le idee diventano nulla, l’originalità sfuma nel rimasticamento di seconda, terza, quarta mano che se Forster non riesce a immaginare nella sua accezione più nobile (quella dell’hacking per il free software, per esempio), sembra presagire l’infinita mediocrità degli spezzoni memificati, moltiplicati e rigurgitati su YouTube.

Nella radicale inversione del quotidiano, nella satira del reale che sempre è il cuore della distopia, si giunge alla madre che evita di stringere la mano al figlio per buona educazione.

Spalancando la porta a un pensiero anch’esso caricaturale, ma istruttivo: che si finisca per conversare con lo sguardo sullo smartphone per rispetto del prossimo, senza suscitare fastidio ma approvazione. Non eccezione, ma regola. Così che quando il figlio chiede alla madre di vedersi davvero, non attraverso la «Macchina», questa risponde sostenendo come l’idea che l’essenza del contatto risieda nel guardarsi negli occhi, nel toccarsi, sia niente più che una «filosofia screditata», sostituita dall’approssimazione inespressiva del rapporto tra avatar.

Si potrebbe poi infierire sugli esegeti del progresso sempre e comunque buono e sempre e comunque progresso. Forster li mette nel novero di una umanità che, dopo aver eliminato la religione, fa del suo sogno di iper-razionalismo una nuova, e altrettanto potente, fonte di dogmi e obbedienza. Il tecnoutopista forsteriano non venera Internet, ma il «Libro». Cioè una sorta di Bibbia per l’ascetismo digitale, un decalogo che si incarna nelle regole della Macchina, nuovi e indiscutibili comandamenti di una divinità vendicativa quanto il Dio del Vecchio Testamento: «Per l’atavismo la Macchina non può avere alcuna pietà». E del resto, gli uomini stessi vi si sacrificano. Finita la descrizione, e la sorpresa per il suo essere al contempo così dimenticata e attuale, resta l’inquietudine per un monito, quello a restare umani di fronte alla tentazione di abbandonarsi alle comodità dell’iperconnessione, cui non sempre sembriamo capaci di porgere l’orecchio. Soprattutto, resta il pensiero – eccessivo, ma di nuovo, formativo – che le profezie di sventura dei mondi immaginari stiano diventando, un secolo più tardi, realtà.

Se perfino un paladino del libero web come Julian Assange nel suo ultimo libro, Cypherpunks, scrive che «Internet, il nostro più grande strumento di emancipazione, si è trasformato nel più pericoloso facilitatore del totalitarismo che abbiamo mai visto», e ancora, che «Internet è una minaccia per la civiltà umana», viene il dubbio che non sia soltanto il frutto di immaginazione, o di ossessione.

E che tra la trasformazione della rete in un ideale platonico capace di sola salvezza e la sua, altrettanto caricaturale, raffigurazione come strumento di puro dominio, sia giunto davvero il momento di fermarci a riflettere, abbracciare la prudenza. E ritornare a quel 1909, dove tutto era ancora in potenza.

I grandi occhi a mandorla, il naso pronunciato, i capelli corvini e le labbra carnose. "E questo il volto della Russia?" scrivono i blogger nazionalisti accanto a foto e caricature della radiosa Miss eletta lo scorso 2 marzo, Elmira Abdrazakova, 18 anni, studentessa siberiana di madre russa e padre di etnia tartara. ...

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  • Mercoledì, 27 Febbraio 2013 11:50 ,
  • Pubblicato in L'Inchiesta
Gaia Berruto, Wired
Febbraio 2013

Oggi ho cliccato sul bottone "persone che potresti conoscere" di Linkedln e mi è comparsa Violetta. Nella foto del profilo mostra il didietro, con gli slip abbassati. Curioso visto che sono su un social network per professionisti, dove si agganciano persone che potrebbero essere utili sul lavoro. ...

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