Lorenzo Simoncelli, La Stampa24 luglio 2016
A 16 anni di distanza da quel drammatico
2000, l'apice dell'epidemia di
Hiv in Sudafrica, 18mila delegati si sono riuniti nella città costiera sudafricana di
Durban per analizzare i progressi fatti e stabilire nuovi obiettivi nella lotta alla
malattia.
Secondo le ultime stime dell’Oms (Organizzazione mondiale della sanità) sono ancora 35 milioni i malati nel mondo e solo 15 milioni hanno accesso ai trattamenti con farmaci antiretrovirali. Grazie alle cure il numero delle morti è sceso dai 2 milioni del 2004 al milione e duecentomila del 2014, riducendo, secondo Unaids, del 58% il rischio di nuove infezioni ed evitando la morte di 4,2 milioni di persone.
Eppure le campagne di prevenzione non sembrano aver raggiunto i risultati attesi. Ogni anno si registrano 2,1 milioni di nuovi casi, due terzi dei quali in Africa sub-sahariana. Tra il 2005 e il 2015 la percentuale di pazienti colpiti dal virus si è ridotta solo dello 0,7%. A preoccupare anche l’età di chi contrae la malattia. In Africa orientale e meridionale il 75% di nuovi casi riguarda ragazze tra i 10 e i 19 anni.
Il Sudafrica rimane l’epicentro dell’epidemia con 6,8 milioni di malati accertati. In 16 anni di lotta al virus, il Paese è riuscito a mettere in piedi il più grande programma al mondo di farmaci antiretrovirali, che garantisce a 3,5 dei 6,8 milioni di malati cure gratuite.
Il più grande successo dal 2000 ad oggi è stato riuscire a ridurre del 70% le infezioni di bambini e soprattutto neonati, interrompendo la diffusione madre-figlio dell’Hiv. Ma un’altra minaccia si sta abbattendo nella lotta alla diffusione del virus: la riduzione dei finanziamenti pubblici.
Uno studio della Kaiser Family Foundation svela che per la prima volta in cinque anni i fondi sono diminuiti, dagli 8,6 miliardi di dollari del 2014 ai 7,5 miliardi nel 2015, con gli Stati Uniti sempre al primo posto tra i principali donatori.
Per sperare di raggiungere l’obiettivo proclamato dall’Organizzazione mondiale della sanità di un mondo libero dall’Hiv entro il 2030, il prossimo passo è la realizzazione di un vaccino, che a novembre, proprio in Sudafrica inizierà ad essere sperimentato su 5400 persone per tre anni.
L’ultimo test attendibile risale al 2009 in Thailandia, dove si era raggiunta un’efficacia di protezione del 60% dopo il primo anno, ma drasticamente ridotta al 31% dopo tre anni. La ricerca procede anche in altre direzioni come nel primo trapianto di midollo spinale realizzato con successo a Berlino su un paziente malato di Hiv e curato.
Il segretario generale dell’Onu Ban-ki-Moon presente alla Conferenza di Durban ha lanciato la nuova campagna 90-90-90 da raggiungere entro il 2020. Secondo il massimo rappresentante delle Nazioni Unite bisogna ottenere tre obiettivi: rendere il 90% delle persone con Hiv coscienti del loro status, permettere al 90% dei malati l’accesso ai farmaci antiretrovirali, e ridurre al 90% dei pazienti la carica virale.
Tanti anche i personaggi noti arrivati fino a Durban per alimentare la lotta contro il virus. Dal principe Harry che con la sua fondazione prosegue le campagne della madre, la Principessa Diana, ad Elton John fino alla sudafricana Charlize Theron. «Certe vite contano ancora più di altre – ha affermato l’attrice vincitrice premio Oscar in un messaggio al vetriolo – gli uomini contano più delle donne, i bianchi più dei neri, gli eterosessuali più delle coppie gay».
Resta ancora molto da fare per fermare quella che, 16 anni fa, Nelson Mandela aveva etichettato come la più grande minaccia che il genere umano abbia mai affrontato, prima di rimanerne anche lui vittima con la morte del figlio Magkhato, ucciso dal virus nel 2005.