È stata un’inutile messinscena. Ma ora si passa alle cose serie

Joan MiróFabio Mini, Il Fatto Quotidiano
15 aprile 2018

I bombardamenti sulla Siria sono finiti e i partecipanti festeggiano, si vantano del successo e lo ritengono un monito ad altri che volessero intraprendere o continuare sulla strada delle armi chimiche. In realtà l’azione alleata è stata possibile grazie al regalo di Putin che l’ha permessa per consentire a Trump di salvare la faccia in un momento di grande crisi personale e interna. Si può scommettere che Putin abbia anche indicato gli obiettivi e stabilito i limiti dell’azione.


Tali limiti sono stati enunciati molto chiaramente dalla britannica May e dal francese Macron. Hanno promesso di colpire solo la linea di produzione e stoccaggio delle armi chimiche siriane, hanno giurato che l’azione non fa parte di un processo di “cambio di regime” o di eliminazione di Assad, hanno evitato ogni rischio per i russi e hanno impiegato un numero di missili proporzionale all’efficacia ottenuta durante l’attacco del 2017. Vale a dire quasi zero.

L’attacco con una sessantina di missili danneggiò un aeroporto militare ripristinato immediatamente dai contractor russi e non fece cambiare idea né ad Assad né ai russi. Ieri, grazie alla migliorata difesa aerea siriana e a causa dell’accertato tasso di fallimenti dei missili il risultato pari a zero è stato ottenuto con il doppio dei missili di allora.

Macron ha lanciato l’attacco promettendo di non farlo più e di voler riprendere la strada diplomatica. Anche la retorica di guerra dei tre protagonisti è stata remissiva e troppo lunga nelle giustificazioni umanitarie. La May ha dato la sensazione di avere la coda di paglia nella stessa orchestrazione del presunto attacco chimico a Douma.

I russi hanno le prove del coinvolgimento britannico e se la May dichiara che Assad è storicamente aduso all’impiego di armi chimiche, quest’ultimo può benissimo ricordare la storica abitudine britannica e americana di organizzare falsi pretesti di guerra.

La scelta degli obiettivi è infine la prova che Putin anche stavolta ha giocato d’astuzia e ironia: non solo sono insignificanti dal punto di vista militare ma sono sottilmente ridicoli. Colpire un centro di ricerca di armi chimiche significa che i siriani starebbero ancora “ricercando” su nuove armi chimiche? Non regge. I siriani sanno produrre aggressivi chimici e se non possono se li fanno dare da altri.

Non devono ricercare niente. Internet è pieno di istruzioni su come produrre nervini in casa. Colpire depositi di “precursori” di armi chimiche significa colpire depositi di fertilizzanti, reagenti per materie plastiche, polveri ritardanti antincendio e persino componenti farmaceutici. Tali sono infatti alcuni dei “precursori” e non sono banditi dal diritto internazionale.

I tre protagonisti possono vantarsi e confidano nella complicità di Putin per tirare un sospiro di sollievo. Anche Assad è sollevato e tutto sommato si è divertito. Ma ci sono interlocutori che non hanno affatto gradito lo spettacolo. In America i falchi e i pacifisti reclamano. In Europa la Nato scricchiola sinistramente e l’Ue brilla per inutilità nella sicurezza comune. L’Onu conta sempre di meno e l’Italia tira a campare di chiacchiere.

Nel Mediterraneo Israeliani, Iraniani, Hezbollah, Palestinesi e Turchi meditano vendetta e Putin stesso, vinta la partita, si prepara alle mosse successive. Ora nel mirino c’è la Gran Bretagna e la sua base di Cipro, c’è la May e chiunque in Europa le va dietro, ma l’obiettivo strategico è sottrarre agli americani il controllo dell’intero Medio Oriente: una cosa seria.

Ultima modifica il Lunedì, 30 Aprile 2018 15:33
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