la Repubblica
09 07 2015
Dopo gli impercettibili cambiamenti al logo, Facebook annuncia novità anche nel campo delle icone. Ma, in questo caso, non si tratta di pura questione di stile. C'è un rimando simbolico. Con una scelta che vuole, almeno in apparenza, tentare di svincolare il social network dalle accuse di sessismo. Infatti, nella nuova immagine che indicherà presto i nostri amici digitali la donna non sarà più dietro l'uomo, come accaduto fino ad oggi. Bensì davanti. Ad annunciarlo, in un post su Medium, è la responsabile delle migliorie: la design manager Caitlin Winner.
Un racconto della genesi dei mutamenti, passo dopo passo. "Nel kit dei geroglifici della società", spiega Winner, "ho trovato qualcosa per cui valeva la pena arrabbiarsi. L'icona dell'uomo, fatta eccezione per i suoi capelli a spina, era simmetrica. Mentre la donna aveva un chip sulla spalla". Un difetto posizionato proprio nel punto in cui sarebbe stata inserita la figura maschile, davanti alla signora. Aggiunge Winner: "Ho presunto che non ci fosse alcuna cattiva intenzione, ma essendo una ragazza con due spalle robuste, il chip mi ha offesa". Così ha iniziato a lavorarci su, aiutata da altri colleghi. Perché come dice il motto della compagnia di Menlo Park: "Dentro Facebook nessun problema è il problema di qualcun altro". Prima fase: eliminare la fastidiosa malformazione. Poi è stata la volta di un restyling dei capelli. Non più sullo stile di Darth Vader, il personaggio di Star Wars ideato da George Lucas. Ma un taglio più sbarazzino e moderno.
Infine, si è arrivati alla difficile scelta della collocazione. "La mia prima idea", prosegue Winner, "era quella di disegnare una doppia silhouette: due persone di uguale taglia, senza una linea netta che indicasse chi sta davanti. Dozzine di prove dopo, ho abbandonato questo approccio perché non sono riuscita a disegnare un'icona che non sembrasse una bestia dalla doppia faccia. E ho piazzato la femmina, di misura un poco più piccola, di fronte al maschio". Una decisione coraggiosa che affonda le sue ragioni direttamente nella grande questione della disparità di genere, "come donna, educata in un collegio femminile, era difficile non leggere il simbolismo dell'attuale icona; la donna era letteralmente all'ombra dell'uomo e non in un posizione competitiva".
Non solo, anche l'immagine dei gruppi di amici è stata modificata. Con l'aggiunta di una persona di sesso neutro, mentre prima c'erano solo due uomini e una donna. Che, anche in questo caso, non è più nascosta: anzi, passa in primo piano. Via le vecchie icone, via il sessismo, via le diseguaglianze: sembra essere il nuovo mantra. "Un piccolo cambiamento dà alle icone di Facebook una maggiore uguaglianza di genere", titola il Time. "Facebook ha cambiato il suo logo amici per rendere uguali uomini e donne", rilancia Business Insider. Ancora più radicale Gizmodo: "Le nuove icone di Facebook portano il femminismo tra le tue amicizie".
Un piccolo segnale: per le quote rosa nel mondo dell'hi-tech c'è un'attenzione sempre crescente. Come pare aver dimostrato anche la decisione di Apple che lo scorso 8 giugno, per la prima volta nella storia, ha scelto due donne per il suo keynote. Ma dietro le apparenze, e il simbolismo, sembra esserci ancora poca sostanza. E più che l'iniziativa di una singola persona, il rinnovamento di stile targato Facebook, pare essere una mossa studiata. Per lanciare un messaggio ben preciso: dentro il social network di Mark Zuckerberg non si fanno differenze. Peccato, però, che alla nuova immagine non corrispondano poi dei fatti concreti. Non è forse un caso che poche settimane fa la società di Menlo Park sia stata criticata proprio per i numeri del suo nuovo diversity report: la percentuale di donne nei settori tecnologici è passata dal 15 per cento del 2014 al 16 per cento del 2015. Un miglioramento di un punto appena. "C'è ancora molto lavoro da fare. Non siamo ancora dove vorremmo essere", è stato il sincero commento di Maxine Williams, direttore globale delle diversità dell'azienda. Per dire: certo, la forma a volte è importante.
Ma la sostanza lo è ancora di più.
Rosita Rijtano
la Repubblica
26 06 2015
Terrore sulla spiaggia delle vacanze in Tunisia. Uomini armati hanno attaccato la spiaggia di due resort di lusso a Sousse, nel golfo di Hammamet. Testimoni sentiti da fonti locali riferiscono di scambi di spari sulla spiaggia, scene di panico e turisti chiusi nelle camere dell'hotel Imperial Marhaba. C'è un numero ancora non certo di vittime, ma almeno 27 persone sarebbero rimaste uccise secondo fonti del ministero degli Interni citate dalla France Presse. Di certo uno degli attentatori è stato colpito a morte, mentre sarebbero almeno sette i turisti uccisi.
Secondo le autorità, l'assalto sarebbe stato condotto da almeno due terroristi, uno dei quali, armato di kalashnikov, è stato ucciso dalle forze di polizia in uno scontro a fuoco avvenuto sulla spiaggia. L'altro attentatore si è dato alla fuga. Gli hotel finiti nel mirino sono l'Hotel Riu Imperial Marhaba e il Port el Kantaoui. Al momento nessun gruppo ha rivendicato l'attacco. Tuttavia nei giorni scorsi lo Stato islamico aveva lanciato un appello ad aumentare gli attentati nel mese di Ramadan.
Sousse, a 150 chilometri da Tunisi, è una meta turistica molto popolare sia tra i tunisini che tra gli europei. Non ci sono dettagli sulla nazionalità delle vittime, la Farnesina sta verificando la presenza di italiani. Durante il mese di digiuno del Ramadan in genere sulle spiagge ci sono in grande maggioranza turisti stranieri.
La Tunisia è alle prese con l'allarme di attacchi terroristici contro obiettivi turistici - il turismo è una delle attività economiche più importanti del Paese. Nel marzo scorso l'attacco al museo del Bardo di Tunisi in cui persero la vita 21 turisti, tra cui quattro italiani, e un poliziotto tunisino.
la Repubblica
20 06 2015
Un attentato, forse di matrice islamica, scuote il sud-est della Francia: un uomo a bordo di un'auto ha fatto irruzione nell' impianto di gas industriale Air Products a Saint-Quentin-Fallavier, a 30 km da Lione, e ha colpito bombole di gas provocando un'esplosione. Poco dopo all'interno del complesso industriale è stato ritrovato un corpo decapitato vicino l'impianto. L'uomo avrebbe mostrato un drappo dello Stato Islamico. Il Primo ministro francese Manuel Valls ha ordinato una "vigilanza rinforzata" su tutti i siti sensibili del Rodano-Alpi.
Il bilancio al momento è di diversi feriti. Non è chiaro se l'attentatore fosse solo. L'azienda si trova in un posto isolato, dove c'è una vigilanza, ma lontana dalla polizia. Le forze di sicurezza hanno fermato una persona di una trentina d'anni e la stanno interrogando. I dipendenti dell'impianto, sotto choc, sono stati trasferiti in una palestra in un comune vicino.
Il ministro dell'Interno francese, Bernard Cazeneuve, e quello degli Esteri, Laurent Fabius, si sta recando sul luogo dell'attentato. Cazeneuve per ora mostra cautela sulla matrice dell'attacco. Anche se l'uomo che avrebbe fatto esplodere delle bombole di gas aveva con sè una bandiera con le insegne dell'IS, "nessun elemento corrobora per ora la teoria dell'implicazione dello Stato islamico", ha riferito una fonte del dicastero al quotidiano Liberatiòn.
la Repubblica
12 06 2015
Molti degli sgomberati di ieri dal piazzale sotto la nuova stazione avevano trovato riparo nel vicino centro di accoglienza di via Cupa. Ma alla vista degli agenti si sono allontanati. Sul posto un presidio della Croce Rossa e della Protezione civile. Il presidente del II municipio: "Situazione drammatica"
Sono tornati anche questa mattina ad accamparsi in strada, i profughi di Roma, per giorni abbandonati sui marciapiedi, tra cartoni, materassi di fortuna e un solo bagno, ma a gettoni, nei pressi della nuova stazione Tiburtina. Ieri, all'arrivo della polizia, in 18, in lacrime, erano stati trascinati a forza dagli agenti sui pullman della polizia per essere indentificati. Gli altri erano scappati disperdendosi nei vicoli tra il Verano e la Tiburtina. Alcuni avevano trovato accoglienza nel centro Baobab di via Cupa a metà strada tra piazza Bologna e la stazione ferroviaria. Qui, stamattina, è arrivata nuovamente la polizia. E alla vista delle divise un centinaio di migranti davanti al centro si è allontanati correndo su via Tiburtina, verso piazzale del Verano. I poliziotti, una volante e un blindato li hanno seguiti a passo d'uomo.
Donne, alcune in gravidanza, bambini, uomini, ragazzi, si erano ritrovati di nuovo ai lati della strada perché il cortile del centro non è in grado di ospitare tutti. Raccontano di voler ripartire. "Milano - dice uno di loro - poi vogliamo arrivare in Germania". In via Tiburtina, all'angolo con via Cupa, nel frattempo è arrivato il camper medico della Croce Rossa. "È la prima volta che vedo la polizia da un mese che sono qua", racconta un operatore. Dopo l'intervento, le forze dell'ordine hanno lasciato via Cupa e ora dalle vie laterali qualche migrante sta tornando verso l'ingresso del centro d'accoglienza, scelto evidentemente come punto di riferimento in attesa di una soluzione definitiva. La Protezione civile ha distribuito alcune casse d'acqua.
"Sono stato li fino all'una e trenta di ieri sera. La situazione è drammatica e dobbiamo tutti organizzarci un po' meglio. Da questa mattina alle 8 siamo in riunione per risolvere questa vicenda" dice il presidente del II municipio Giuseppe Gerace. "Ci sono i miei assessori con il dipartimento politiche sociali in giro per il municipio - spiega Gerace - per lavorare su questa emergenza. Un municipio non ha né risorse né competenze ma tentiamo di dare il nostro contributo ad una situazione molto difficile. Rimane il punto dell'accoglienza dignitosa che deve avvenire per quanto possibile in armonia col territorio". "C'è un allarmismo che va smontato sottolinea - parliamo di transitanti, di donne, bambini. Bisogna fare sapere alle persone quello che hanno di fronte"
la Repubblica
11 06 2015
"Da padre e ora nonno di tre splendidi nipoti, so quanto sia meraviglioso il primo anno di vita di un figlio, ma anche quanto duro lavoro comporti per i genitori". Con queste parole, il miliardario Richard Branson che lega il suo nome alla introdotto in azienda - ma solo per alcuni fortunati - la possibilità di sfruttare un congedo parentale da un anno, a stipendio pieno. Si tratta di un passo ulteriore che segue l'introduzione di una nuova legge, nel Regno Unito, che permette a mamme e papà di dividersi a loro piacimento un congedo da 50 settimane, di cui 37 a paga ridotta.
Ci sono alcuni limiti alla proposta di Branson, come riporta Cnn Money in un articolo che infiamma la rete. Riguarda le 140 persone dello staff di Virgin Management di Londra e Ginevra, la branca del gruppo che si occupa degli investimenti e della gestione dei marchi. Ci sono anche dei vincoli per sfruttare la possibilità di mantenere il 100% dello stipendio: i dipendenti devono avere un'anzianità di almeno 4 anni nella compagnia. Quelli che sono al di sotto dei due anni, invece, scenderanno al 25% del salario per 52 settimane.
L'iniziativa segue quella dell'autunno scorso, con la quale Branson ha introdotto il concetto di "ferie illimitate", che si appoggia sul buon senso e l'appartenenza del management. E' solo una delle tante che fanno del magnate un esempio di "innovatore", con fortune alterne. In questo caso, però, così come per quello dell'abolizione delle richieste di permessi limitati, 50mila dipendenti restano fuori dai giochi.
La Cnn nota che anche altre aziende hanno adottato politiche di flessibilità, proprio mentre in Italia il tema della conciliazione dei tempi di vita e lavoro dovrebbe essere al centro dei pensieri del governo. Goldman Sachs, banca d'investimento principe di Wall Street, ha recentemente garantito ai neo-papà più tempo (pagato) da trascorrere con i figli, portando da due a quattro settimane il congeto per il fiocco rosa/azzurro. Vodafone concede alle mamme, invece, almeno 16 settimane di maternità a pieno assegno, e quando tornano al lavoro possono farlo ad orario ridotto (ma sempre stipendio intero) per altri sei mesi.
La Repubblica
10 06 2015
Dopo il referendum irlandese che ha dato il via libera ai matrimoni tra persone dello stesso sesso, un altro importante passaggio verso il riconoscimento di maggiori diritti per le coppie omosessuali arriva anche dalle istituzioni europee, che già si erano espresse sul tema.
Il Parlamento europeo di Strasburgo ha approvato a larga maggioranza un rapporto sull'uguaglianza di genere in Europa in cui si parla, per la prima volta in maniera così esplicita, di 'famiglie gay'. "Il Parlamento - si legge nel testo - prende atto dell'evolversi della definizione di famiglia". La relazione, che non contiene elementi vincolanti per gli stati membri, è stata approvata con 341 voti favorevoli, 281 contrari e 81 astensioni.
Ancora più significativo un secondo passaggio del testo in cui il Parlamento raccomanda "che le norme in quell'ambito (compresi i risvolti in ambito lavorativo come i congedi) tengano in considerazione fenomeni come le famiglie monoparentali e l'omogenitorialità".
Non si tratta del primo pronunciamento in questo senso del Parlamento di Strasburgo: a marzo l'assemblea aveva votato a larga maggioranza a favore del riconoscimento delle unioni civili e del matrimonio tra persone dello stesso sesso "considerandolo come un diritto umano".
Le nuove aperture Ue sulle famiglie gay in realtà sono contenute in una risoluzione sulle nuove strategie sulla parità di genere in cui si invita la Ue ad adottare azioni specifiche per rafforzare i diritti delle donne disabili, migranti, appartenenti a minoranze etniche, delle donne Rom, delle donne anziane, delle madri single e le LGBTI. Tra le altre indicazioni contenute nel testo anche l'invito alla Commissione a promuovere nuove leggi che contengano misure vincolanti per proteggere le donne dalla violenza, in particolare dalle nuove forme di violenza come le cyber-molestie, il cyber-stalking e il cyber-bullismo.
Esultano le associazioni omosessuali: per Aurelio Mancuso, presidente di Equality Italia, quelle provenienti da Strasburgo sono "notizie confortanti". Il leader di Sel Nichi Vendola parla, su twitter, di "un altro passo in avanti in Europa sui diritti di tutte le persone". Poi aggiunge: "In Italia invece la politica balbetta, non è riuscita neanche a dire no, finora, alle pretese della sentinella della morale Alfano e alle sue ottuse circolari" .
La Repubblica
09 06 2015
C'è un paese in Italia abitato solo da richiedenti asilo. È il Cara di Mineo: un centro d'accoglienza che a marzo 2015 ospitava ben 3.219 persone, contro i 2.000 posti disponibili. A fotografarlo è un rapporto di Medici per i diritti umani (Medu), già presentato in forma riservata il 25 maggio scorso alla Commissione parlamentare d'inchiesta sul sistema di accoglienza. Da novembre 2014, infatti, un team di Medu è presente all'interno del centro: la struttura di accoglienza che ospita in assoluto il maggior numero di richiedenti asilo in Europa (dalle 3.200 alle 4.000 persone) e che è oggi al centro di indagini giudiziarie.
Le criticità. Sovraffollamento. Isolamento della struttura rispetto al territorio. Tempi medi di permanenza di 12 mesi in attesa del completamento della procedura di riconoscimento della protezione internazionale (contri i 35 giorni previsti dalla legge). Mancata iscrizione dei richiedenti asilo al Servizio sanitario nazionale (in contrasto con la normativa vigente). Difficoltà di accesso ai servizi di supporto psicologico e legale. Fenomeni di degrado, illegalità e violenza difficilmente gestibili come riconosciuto dalle stesse forze di polizia. Questi alcuni dei problemi più gravi rilevati da Medu nel centro di Mineo.
Economia fai-da-te. "Il Cara è, di fatto, una città a sé stante, alimentata da un'economia sommersa fuori controllo. All'interno si è sviluppata infatti un'economia informale, costituita da negozi improvvisati e bancarelle abusive presenti lungo tutte le strade. I migranti, costretti a tempi di attesa lunghissimi, si sono ingegnati creando delle attività illegali (e tollerate dalla Guardia di finanza), dalla rivendita di alimentari, capi d'abbigliamento e altri oggetti recuperati dai cassonetti della spazzatura, a piccoli negozi di barbiere, internet caffè e ciclo-officine".
Rifugiati ridotti a numero. "L'insieme di tali criticità si ripercuote negativamente sul benessere degli ospiti, ridotti a un numero e costretti a lunghe file anche per mangiare e per ricevere cure mediche. La relazione che s'instaura tra operatori e migranti accolti non può che essere squilibrata, con il richiedente asilo costretto in una dimensione passiva di dipendenza dagli operatori. A maggior ragione, il modello di Mineo si conferma del tutto inadeguato ad accogliere i richiedenti asilo più vulnerabili. Le grandi dimensioni rendono particolarmente problematica l'individuazione e la presa in carico delle persone affette da severi disturbi psichici e delle vittime di trattamenti inumani, degradanti o torture".
La Repubblica
09 06 2015
A nulla sono servite le proteste in tutto il mondo. La corte suprema saudita ha confermato la sentenza di mille frustate e 10 anni di prigione per il blogger Raif Badawi, condannato per aver "offeso l'Islam". Ensaf Haidar, moglie di Raif - scrive la BBC online - ha riferito che la decisione è irrevocabile, sebbene altre fonti sostengano che, a questo punto, un perdono reale (difficile valutare quanto probabile) potrebbe salvarlo.
L'accusa di apostasia. Ideatore del sito Free Saudi Linerals, nato per dibattere sul ruolo della prigione nel regno saudita, Badawi venne arrestato nel giugno del 2012. Fu accusato inizialmente di aver insultato l'Islam attraverso il web. Poi, il 17 dicembre dello stesso anno, un giudice lo deferì ad una corte di grado superiore, raccomandandosi di giudicarlo per apostasia, un reato che comporta automaticamente l'applicazione della pena capitale, così come la blasfemia.
La scure della giustizia wahabita. Si ha a che fare, insomma, con la giurisprudenza wahabita, vale a dire con la frangia della comunità sunnita ultraconservatrice, austera, che ha dominato la Penisola Arabica per oltre 2 secoli e che regola i rapporti nel regno Saudita. Un complesso di norme che interpreta in modo estremamente rigido l'islam sunnita e insiste su un'interpretazione rigorosa e intransigente del Corano. Tutto parte dal principio secondo il quale tutti coloro che non praticano l'Islam secondo le modalità indicate siano pagani e nemici dell'Islam. A nulla servono le critiche e gli appelli del resto del mondo musulmano, il quale ricorda come da una linea di pensiero simile siano nate le formazioni più violente e sanguinose, Stato Islamico compreso.
Le prime 50 frustate. Trascorso poco meno di un anno, venne condannato a 7 anni e a 600 frustate. Successivamente la pena venne aumentata a 10 anni di reclusione e a mille colpi di frusta, oltre ad una multa di un milione di Rial sauditi (circa 267.000 dollari). A gennaio di quest'anno ricevette i primi 50 colpi. Un supplizio - riferì in quella occasione Amnesty International che prese a cuore la sua vicenda - che si svolse davanti ad una folla di normali cittadini e agenti dei servizi di sicurezza. Portato in catena davanti alla mosche al Jafari dopo la preghiera collettiva del venerdì,Badawi ricevette una prima dose di punizioni corporali.
Uno stillicidio in 20 settimane. Il totale delle frustate Dovrebbe essergli inflitto in un arco temporale di 20 settimane. A metà gennaio avrebbe dovuto ricevere una seconda sessione di frustate, ma Badawi venne trasferito nella sua cella alla clinica del carcere per un controllo. Il medico verificò che la lacerazioni causate dai coli ricevuti il 9 gennaio non si erano ancora cicatrizzate e che il detenuto non avrebbe potuto sopportare un'ulteriore serie di colpi. Il medico raccomandò così un rinvio di almeno una settimana.
L'appello di 18 Premi Nobel. Poco dopo scereso in campo 18 Premi Nobel che lanciarono un appello agli accademici sauditi affinché facessero sentire la loro voce contro la condanna e il 22 gennaio le autorità rinviarono la fustigazione dper la seconda volta per motivi di salute, su indicazione di una commissione medica. Nei mesi successivi prese vita una sorprendente mobilitazione internazionale, sostenuta da intellettuali e organizzazioni umanitarie, ma anche da alcuni paesi, come gli Stati Uniti, con manifestazioni di solidarietà nei confronti di Badawi. Riad espresse "sorpresa e sconcerto" e respinse qualsiasi tipo di interferenza da parte dei paesi stranieri nei propri affari interni. Oggi, la decisione della corte suprema saudita sembra allontanare sempre più la liberazione di Badawi.