la Repubblica
03 04 2015
C'è una strage silenziosa, inarrestabile e in atto. Un'ombra perennemente in agguato. Nei cantieri, nelle fabbriche, nei campi. Un'ombra che il discorso pubblico cerca di definire con una formula neutra: "Morti bianche". Nome che chiama in causa qualcosa che di neutro non ha nulla. Perché i 117 morti sui luoghi di lavoro nei primi tre mesi del 2015 sono l'ennesimo richiamo a una presa di responsabilità comune. Numeri che aumentano ora dopo ora: sette persone sono decedute solo nella giornata del primo aprile. E a oggi, 2 aprile, i caduti di questa guerra silenziosa sono già saliti a 129. Morti lavorando: otto in Piemonte, quindici in Lombardia, dieci in Emilia Romagna. Dieci anche in Campania, tredici in Toscana. E così via, a comporre una disarmante mappa del dolore.
Nei primi tre mesi dello scorso anno erano 116. I dati provengono dall'Osservatorio indipendente di Bologna. E basta aprire il sito dell'Osservatorio per restare senza fiato. "Si continua a non far nulla", è la denuncia di Claudio Soricelli, che ha fondato l'Osservatorio e che ogni giorno posta sul suo blog notizie, commenti, analisi e lettere aperte. Quasi un inviato di guerra. "Il 20% delle vittime attiene al settore dell'edilizia". La causa: quelle maledette cadute dall'alto. Nell'industria i morti sono il 7,6% sul totale. Nell'autotrasporto il 5,9%. Ma nell'anno dell'Expo ad attirare l'attenzione è anche il dato che riguarda le vittime tra gli agricoltori.
Sono diciannove. Quindici dei quali sono stati schiacciati da un trattore. E la questione che si apre in termini si sicurezza su questi luoghi di lavoro è una voragine che riguarda anche le istituzioni. Soricelli, infatti, già negli scorsi mesi - ripetendo un triste rito che compie ogni anno - aveva scritto una lettera aperta agli esponenti del governo per segnalare, con l'avvio della stagione del raccolto, la parallela avanzata della strage nei campi italiani. "Chiedevamo a Renzi, Poletti e soprattutto Martina di fare una campagna informativa sulla pericolosità del mezzo". Soricelli non nasconde l'astio: "Decine di apparizione televisive sull'Expo ma mai un attimo di solidarietà e un intervento a favore di questa categoria di lavoratori".
Una campagna informativa che dovrebbe partire ricordando che dal 28 febbraio al 31 dicembre 2014 sono morte schiacciate dalle ruote di un trattore 142 persone. Ancora Soricelli: "Chi ha sensibilità e cuore faccia qualcosa, avverta almeno l'amico, il parente, il conoscente che guida il trattore, che questo mostro uccide per tantissime cause. Di non far salire sul mezzo persone anziane o non in perfetto stato di salute, oltre che ragazzi e bambini". E proprio in vista dell'Esposizione Universale di Milano, Soricelli propone che all'inaugurazione - proprio il primo maggio, giornata internazionale del Lavoro - i presenti portino il lutto al braccio per testimoniare, davanti agli occhi del mondo, l'assenza di attenzione delle istituzioni italiane sul tema.
Attenzione che non può essere alta soltanto nell'occasione della Giornata nazionale delle vittime sui luoghi di Lavoro. Per questo, Soricelli si appresta a inviare al premier e ai ministri "una bottiglia di vino rosso in 152 esemplari - come le vittime del 2014 - che ho chiamato 'Sangue d'agricoltore schiacciato dal trattore'. Sperando che quest'anno non ne meritino un'altra". Un modo per far sì che il fatalismo non sia una condizione perenne per interpretare questa nuova e dolorosa "questione nazionale".
Carmine Saviano
la Repubblica
27 03 2015
Nel Regno Unito è stato effettuato il primo trapianto di cuore da cadavere in Europa: l'intervento, di cui danno notizia i principali quotidiani inglesi, è stato portato a termine al Papworth Hospital nel Cambridgeshire su un londinese di 60 anni, Huseyin Ulucan, che ha ricevuto un cuore da un cadavere, ed è perfettamente riuscito.
Fino ad ora era stato possibile trapiantare cuori ancora in funzione da pazienti in stato di morte celebrale. Ma i chirurghi dell'ospedale britannico hanno dimostrato che anche un cuore morto può essere riattivato. Il primo intervento è stato portato a termine un mese fa, e il paziente che ha ricevuto il nuovo cuore "morto" si sta riprendendo bene, tanto da essere stato dimesso dopo quattro giorni di ricovero.
Secondo Stephen Large, che ha guidato l'equipe medica nel progetto, la nuova tecnica potrebbe determinare un incremento di un quarto dei trapianti di cuore nel Regno Unito, riducendo liste d'attesa in continua crescita e permettendo di salvare centinaia di vite. Il cuore morto è stato riattivato nel ricevente attraverso una pompa che ne ha permesso il monitoraggio per un'ora, in maniera da accertarne l'efficienza.
la Repubblica
26 03 2015
Trent'anni fa le cosche mirarono al magistrato Carlo Palermo. L'autobomba uccise una donna e i suoi bambini. Ora la figlia più grande racconta quella tragedia
Ci sono alcune storie che porto dentro, che percepisco come zavorra, come se mi intasassero il respiro, eppure sono memoria necessaria, perché dimenticare significherebbe perdersi. Quella zavorra e quel peso sono pilastro e la radice della mia vita. Sono storie che tendono a essere dimenticate per istinto di conservazione; è come dimenticare la guerra, lasciar perdere il dolore, far finta che tutto sia superato. E Sola con te in un futuro aprile di Margherita Asta e Michela Gargiulo (Fandango) racconta una storia da dimenticare, una storia preziosa.
È il 2 aprile di trent’anni fa, Carlo Palermo è arrivato in Sicilia da quaranta giorni. A Trapani aveva preso il posto di un magistrato coraggioso ucciso dalla mafia, Giangiacomo Ciaccio Montalto. Due macchine della scorta parcheggiano davanti al cancello di una villetta vicino a Bonagia, a 3 chilometri di distanza dalla casa della famiglia Asta.
Il giudice vive lì da appena una settimana, prima alloggiava all'interno di un aeroporto militare, a Birgi, che aveva dovuto lasciare da un giorno all'altro proprio quando le minacce contro di lui si erano fatte più concrete. La sua stanza, gli dissero, sarebbe servita al ministro della Difesa Spadolini, in visita alla base. Si mise a cercare una nuova sistemazione, ma nessuno voleva affittare la propria casa a una persona scortata e sotto minaccia. L'unico posto che riuscì a trovare era in un complesso residenziale abitato solo d'estate.
C'era un giardino e finalmente avrebbe potuto tenere con sé i suoi cani, ma per arrivare in tribunale doveva percorrere sempre la stessa strada, senza possibilità di variare il percorso. Inoltre, per avere rapporti di buon vicinato era stata data disposizione alle auto di scorta di non mettere in funzione le sirene. In quel contesto arriva l'ultima telefonata di minacce che era stata ancora più esplicita e definitiva: "Dite al giudice che il regalo sta per essergli recapitato".
Carlo Palermo, la mattina del 2 aprile 1985 scende di casa alle 8 e qualche minuto per andare al Tribunale di Trapani.
Normalmente sale dal lato destro dell'auto, ma quella mattina per fare in fretta il suo autista, Rosario Maggio, parcheggia troppo vicino al muro. Quel giorno il giudice si accomoda dietro il sedile di guida. Prova a bloccare lo sportello, ma la sicura non funziona. Sul rettilineo di contrada Pizzolungo la macchina trova davanti a sé un'altra auto, una Volkswagen Scirocco, dentro ci sono Barbara Rizzo, giovane madre di 31 anni, e due dei suoi tre figli, i gemellini Salvatore e Giuseppe di 6 anni. Sta accompagnando i piccoli a scuola. L'autista del giudice aspetta il momento giusto per iniziare il sorpasso; c'è un'altra auto ferma, parcheggiata vicino a un muro di contenimento, che non ostacola la manovra. Le tre auto, per un unico istante, si trovano perfettamente allineate. È in quel preciso momento che viene azionato il detonatore.
L'esplosione è devastante. Una bomba fatta di tritolo, T4, pentrite e Semtex, un esplosivo militare utilizzato per potenziare l'innesco. (Vengono utilizzati candelotti di brixia b5, lo stesso tipo di esplosivo del fallito attentato all'Addaura contro Giovanni Falcone e della strage avvenuta neanche quattro mesi prima, il 23 dicembre 1984, quella del rapido 904). L'utilitaria fa scudo all'auto del sostituto procuratore che si ritrova scaraventato fuori dalla macchina, in piedi, ferito ma miracolosamente vivo.
Muoiono dilaniati la donna e i due bambini. Di loro restano pochi brandelli ritrovati poi a oltre cento metri dal luogo dell'esplosione. In alto, su di un muro, una macchia rossa di sangue, l'impronta terribile lasciata dal corpo di uno dei due bambini. Il botto è fortissimo, si sente fino in città. Nunzio Asta, il marito di Barbara e padre dei due bambini, è ancora a casa in quel momento. In quei giorni va a lavoro un po' più tardi, ha avuto un intervento al cuore e si sta ancora rimettendo. Sente il boato, pensa abbiano fatto esplodere una palazzina lì vicino, va in giardino e vede la colonna di fumo.
Esce per andare a prestare soccorso, ma non lo lasciano avvicinare. La Volkswagen di sua moglie è stata polverizzata, non sospetta che la sua famiglia sia rimasta coinvolta. Margherita, l'altra figlia di dieci anni, in quel momento è già a scuola. Avrebbe dovuto essere a bordo anche lei, ma quella mattina i due fratellini ci mettevano troppo tempo a vestirsi, volevano indossare entrambi gli stessi pantaloni, e per non fare tardi chiede un passaggio in macchina alla mamma di una sua amica. I carabinieri arrivano in classe per contare i bambini presenti, è in questo modo che si rendono conto che almeno lei è viva.
Margherita e la sua famiglia con la mafia non c'entravano niente. Per questo le parole pronunciate dal vescovo nell'omelia risuonano incomprensibili alle sue orecchie di bambina. Parlano di una "mente perversa" e di una "mano omicida", della "rabbia mafiosa" tornata a insanguinare le strade. Vorrebbe chiederne il senso a suo padre, che le stringe la mano e non sa smettere di piangere, ma ha solo dieci anni, e quella è una domanda troppo difficile da formulare. Sua madre, Barbara Rizzo, e i suoi fratellini, Salvatore e Giuseppe, sono morti in un incidente. È questo che le hanno detto, ma è successo tutto così in fretta, non ha avuto neanche il tempo di fermarsi a pensare. Di chiedersi, ad esempio, che fine avessero fatto i loro corpi, non le hanno permesso di vederli, di poterli salutare un'ultima volta.
Le bare chiuse, sono ora davanti a lei, al centro quella scura, di mogano, con i gladioli rosa sopra, accanto le due più piccole, bianche, con i gigli. Margherita non può saperlo, ma lì dentro oltre ai loro vestiti non c'è quasi niente. C'è una corona di fiori con la scritta Pertini, vista così da vicino sembra immensa, e ce n'è un'altra del presidente del Consiglio Craxi. Ci sono i gonfaloni del comune, fasce tricolori, e uomini delle forze dell'ordine ovunque. Se ne rende conto solo adesso, Margherita, della folla che c'è nella cattedrale di Trapani. Tanta gente per un funerale l'ha vista solo in televisione, ma quelle erano morti importanti: celebrità, capi di Stato.
Oggi, invece, sono tutti lì per sua madre e i suoi fratelli, persone normali. Forse, pensa, è per i miei fratelli, erano così piccoli che tutti avranno voluto partecipare al nostro dolore. Dopo i funerali, ritornando a casa, la macchina è costretta a rallentare. È il luogo dove è successo l'incidente, la strada è stata riaperta da poche ore. Margherita ha il tempo per guardare fuori dal finestrino: "C'è una buca enorme sull'asfalto, sembra sia esploso un vulcano". In alto, troppo in alto, sul muro di una casa c'è una macchia rossa. Margherita la vede appena, ma questa volta ha una domanda impossibile da trattenere: "Papà, è sangue nostro questo?".
Margherita pensa per anni che la colpa sia del giudice, di Carlo Palermo. Ma crescendo capisce che lui non c'entrava niente, che era stata la mafia a uccidere sua madre e i suoi fratelli e a distruggere le loro vite. Lei e il giudice erano entrambi dei sopravvissuti, per loro aveva deciso il destino. Non è stato facile per Margherita cercare "quel signore". Ancor meno facile per lui è stato lasciarsi trovare, provando a superare un terribile senso di colpa. C'è un elemento su cui convergeranno le dichiarazioni dei pentiti: per uccidere Carlo Palermo non c'era bisogno di un'autobomba. Palermo viveva in una villetta isolata, gli era stata negata la vigilanza armata per mancanza di uomini e mezzi e la sera usciva da solo per portare fuori i cani. Ma l'attentato doveva essere un ammonimento, spettacolarizzare la morte moltiplica la paura. È questo che hanno fatto (e fanno) le mafie ben prima dei gruppi islamisti.
Sola con te in un futuro aprile è un libro devastante e assume in alcuni momenti il profilo di un manuale di sopravvivenza a un dolore impossibile da contenere. La strada che ha trovato Margherita per sopravvivere al suo dolore è quella di raccontare la propria storia, la storia di sua madre e dei suoi fratelli, vittime innocenti. Trova un'immagine Margherita, per raccontare il modo in cui ha rimesso insieme i pezzi della sua vita. È una tecnica giapponese, il kintsugi, che si usa per riparare i vasi di ceramica che si sono rotti. Non si cerca di rincollare i pezzi nascondendo i segni della lacerazione, ma anzi si esaltano, utilizzando una pasta d'oro. Il vaso, in questo modo, diventa più prezioso. Quell'intreccio di linee dorate restituisce il mondo andato in frantumi e nasce una nuova forma, più solida di quella che c'era prima.
Roberto Saviano
La Repubblica
23 03 2015
SANA'A - Lo Yemen è "sull'orlo della guerra civile" e nel Paese - che occupa la zona meridionale della penisola arabica - si rischia uno scenario combinato Siria-Libia. L'allarme è stato lanciato dall'inviato speciale all'Onu Jamal Benomar che ha analizzato la situazione yemenita nel corso di una riunione urgente del Consiglio di sicurezza dell'Onu.
Il Paese è caduto negli ultimi mesi in una spirale di violenza dovuta all'avanzata delle milizie scitite Houthi (in un paese a maggioranza sunnita) che ha costretto il presidente Abd Rabbo Mansour Hadi a rifugiarsi nella città meridionale di Aden, da dove sta mettendo insieme truppe per contrastare i ribelli. "Sollecitiamo tutte le parti - ha detto l'inviato Onu - a rendersi conto della gravità della situazione e a cessare le ostilità e le violenze. Il dialogo pacifico è l'unica opzione che abbiamo".
Per l'inviato dell'Onu sarebbe illusorio pensare che le milizie Houthi possano prendere il controllo di tutto il Paese, o che Hadi possa mettere insieme un numero sufficiente di truppe per liberarlo. Benomar ha sottolineato "il timore che al-Qaeda usi l'instabilità del Paese a suo vantaggio". E non è solo al-Qaeda a preoccupare: anche lo Stato islamico si sta rafforzando in quest'area.
Il Consiglio di sicurezza Onu "ha condannato le azioni unilaterali portate avanti dalle milizie Houthi che minano il processo di transizione politica in Yemen, e mettono in pericolo la sicurezza, la stabilità, la sovranità e l'unità del Paese". In una dichiarazione adottata all'unanimità, i quindi membri hanno espresso "profonda preoccupazione per l'insufficiente attuazione della risoluzione 2201" e ribadito la disponibilità ad "adottare ulteriori misure contro qualsiasi parte in caso di mancata attuazione delle proprie disposizioni".
I quindici hanno deplorato il fatto che gli Houthi non abbiano attuato la richiesta di ritirare le proprie forze dalle istituzioni governative e di normalizzare la situazione della sicurezza nella capitale Sana'a e in altre province. Il Consiglio ha poi sostenuto la legittimità del presidente Hadi, invitando tutte le parti e gli Stati membri ad astenersi da qualsiasi azione che mini l'unità, la sovranità, l'indipendenza e l'integrità territoriale del Paese, e ad "accelerare un negoziato inclusivo mediato dalle Nazioni Unite per continuare la transizione politica".
Che il paese sia sull'orlo di una situazione libica lo conferma anche Abdel-Malek al-Houthi, leader del movimento Houthi. Il dirigente sciita però non sottolinea tanto gli scontri tra le due fazioni in guerra, quanto l'avanzata jihadista. Venerdì, una serie di attacchi contro moschee sciite frequentate dai sostenutori del movimento, hanno fatto oltre 140 morti e centinaia di feriti. In un discorso trasmesso in televisione, al-Houthi ha detto che combatterà con decisione contro lo Stato islamico e contro al-Qaeda.
Eppure in queste ore le mosse del movimento sono dirette contro le milizia sunnite fedeli al presidente deposto Hadi. I miliziani Houthi hanno conquistato domenica larghi settori della città di Taiz, aeroporto compreso. Taiz è la terza città del paese e combattenti si stanno schierando intorno a Aden, la seconda città del paese, porto cruciale e capitale ombra di Hadi dopo la sua fuga da Sana'a. Aden stessa è stata centro di violenti scontri nei giorni scorsi, soprattutto giovedì. E nelle ultime 72 ore il compound presidenziale dove si è rifugiato Hadi è stato attaccato da raid aerei per ben tre volte, costringendo il presidente legittimo a fuggire "in un luogo sicuro".
Controllando Taiz e avanzando verso Aden, gli Houthi potrebbero prendere il controllo del distretto di Bab al-Mandeb, ovvero avere il controllo del passaggio nello stretto tra il golfo di Aden e il mar Rosso, snodo cruciale per i traffici mondiali.
Nonostante sia l'Onu sia i leader del Golfo (tutti sunniti, Arabia Saudita in primis) sostengono la legittimità del presidente Hadi, il movimento Houthi ha l'importante appoggio dell'Iran, dove lo sciismo è maggioranza, tanto che Teheran è intervenuta ieri chiedendo ad Hadi di rinunciare al suo ruolo per risparmiare al paese ulteriore spargimento di sangue. Il vice ministro degli esteri iraniano Hossein Amir Abdollahian ha sintetizzato così la posizione del suo Paese: "La nostra aspettativa è che il presidente Hadi si dimetterà piuttosto che ripetere i suoi errori, che giochi un ruolo costruttivo nel prevenire la spaccatura dello Yemen e la trasformazione di Aden in un luogo sicuro per i terroristi".
la Repubblica
20 03 2015
Decine di cadaveri di donne, massacrate da Boko Haram, sono stati scoperti dall'esercito nigeriano gettati nei pozzi insieme ad altri corpi al momento della liberazione del villaggio di Bama: lo affermano diversi media nigeriani e internazionali, che ipotizzano si tratti di donne rapite e rese spose-schiave dai terroristi islamici. Le donne sarebbero state uccise dai Boko Haram, per non farle cadere in mani "infedeli", prima del loro ritiro dal villaggio.
Intanto il presidente nigeriano Goodluck Jonathan, in un'intervista alla Bbc, si dice convinto che i terroristi di Boko Haram saranno sconfitti entro un mese: "Diventano sempre più deboli", ha aggiunto ammettendo però che le forze di sicurezza sono state lente a rispondere all'avanzata di Boko Haram nel nord est della Nigeria. "Abbiamo sottovalutato le loro capacità", ha detto Jonathan. Nelle violenze tra esercito e terroristi sono morte oltre 15.000 persone negli ultimi tre anni.
Sostenuto dalle forze armate dei vicini Ciad, Niger e Camerun, il governo nigeriano ha rivendicato nelle ultime settimane la conquista di diverse città e villaggi controllati da Boko Haram nel Nord-Est del paese. Tuttavia, ieri i miliziani hanno attaccato una città che l'esercito aveva detto di aver riconquistato, uccidendo almeno 11 persone. Già in passato, il governo di Abuja ha annunciato la riconquista del territorio in mano a Boko Haram entro un determinato lasso di tempo, venendo poi smentito dagli eventi.
Interpellato sul voto in programma il prossimo 28 marzo, il presidente uscente si è detto "sicuro della vittoria", perché "il mio partito è ancora il partito più forte".
Mappachepillola
11 03 2015
L’assemblea plenaria del Parlamento europeo ha approvato la relazione dell’eurodeputato Marc Tarabella in materia di parità uomo-donna nella quale è presente anche un accenno all’accesso alla contraccezione e all’interruzione volontaria di gravidanza come strumento di tutela dei diritti delle donne. Proprio su questa parte si era acceso il dibattito tra le fazioni politiche presenti all’interno del Parlamento europeo che ha comportato la spaccatura della rappresentanza PD a Strasburgo divisa tra abortisti e anti-abortisti, in piena coerenza con il desolante profilo del Partito Democratico anche in Italia.
Sul impatto effettivo che questa mozione avrà sulla vita quotidiana delle donne in un Paese come l’Italia i dubbi sono forti ma è comunque un buon segno.
Per il testo della relazione: http://ec.europa.eu/justice/gender-equality/files/swd_2014_142_en.pdf
La Repubblica
11.03.2015
Il Consiglio superiore della Sanità esprime il parere sul contraccettivo d'emergenza. Test di gravidanza, invece, solo se l'anamnesi induce al sospetto che ci sia stata fecondazione. Ora deve decidere il ministro della Salute
Prescrizione obbligatoria per il contraccettivo d'emergenza della cosiddetta 'pillola dei 5 giorni dopo', indipendentemente dall'età della richiedente e test di gravidanza solo se l'anamnesi induce ad un sospetto di fecondazione in corso. E' questa, secondo quanto si apprende, la posizione espressa dal Consiglio superiore di Sanità nel parere richiesto dal ministro Lorenzin sulla questione.
In attesa dei dettagli del dispositivo, la decisione è che "il farmaco EllaOne debba essere venduto in regime di prescrizione medica indipendentemente dall'età della richiedente". "Ciò soprattutto per evitare gravi effetti collaterali nel caso di assunzioni ripetute in assenza di controllo medico".
"Il Consiglio Superiore di Sanità ha espresso il parere che temevano. A due giorni dall'8 marzo, per le donne italiane è in arrivo un pessimo regalo, cioè potranno usare la pillola 'dei 5 giorni dopo' solo con la ricetta medica, al contrario di quanto accade in tutta Europa dove si può acquistare liberamente perchè non si tratta di un farmaco abortivo ma di un contraccettivo di emergenza (agisce ritardando l'ovulazione). Solo pochi giorni fa il parlamento tedesco ha approvato una legge, nata da un'iniziativa legislativa del governo, che permette la vendita di EllaOne senza prescrizione medica. Ci auguriamo perciò che il ministro Lorenzin decida guardando all'Europa e con l'obiettivo di dare più diritti e libertà alle donne italiane". Così Laura Garavini, dell'Ufficio di Presidenza del Gruppo del Pd della Camera.
la Repubblica
26 02 2015
Come possiamo definirla? "Eutanasia silenziosa". Per noi è un fatto di tutti i giorni. Lo affrontiamo con grande difficoltà, ma sicuri di fare sempre la cosa più giusta", dice Michele (lo chiameremo così). Una laurea, la specializzazione, il master, la carriera infermieristica, oggi è caposala all'ospedale Careggi di Firenze. Ha voglia di raccontare quello di cui, chissà se per pudore o se per una congiura del silenzio, nessuno parla mai. E di farlo evitando la politica, "ma con il buonsenso di chi sta in prima linea".
Premessa: Michele non è ateo, anzi, è un cattolico praticante, va a messa due volte alla settimana. Sorride di questa apparente contraddizione, "ma qui Dio non c'entra nulla. Sono un professionista, ho studiato. Se teniamo in vita artificialmente un paziente, siamo noi che ci stiamo sostituendo a Dio...".
Ogni anno, in un grande reparto come quello dove lavora Michele, medici, infermieri e operatori sanitari hanno a che fare con almeno 30-40 casi di persone sospese in una terra di mezzo dove il confine tra cosa è eutanasia e cosa no è sottilissimo. "Dal punto di vista normativo siamo obbligati a nutrire e idratare anche un vegetale. In queste condizioni un paziente può andare avanti per mesi, o anni", spiega.
Un po' come avvenne con Eluana Englaro: "Ho perso il conto di quanti malati ho visto così. E da fuori, quando si sta bene, non ci si rende conto di quanto sia facile ritrovarsi in quelle condizioni. Il caso Eluana ci diede una lezione: nessun riflettore, silenzio sulla materia con l'esterno. Poi però mi chiedo se è giusto omettere la verità".
Matteo Pucciarelli
la Repubblica
20 02 2015
Arriva come una tempesta preceduta da mille fastidi, intrusa nella vita di donne che si sentono, spesso, assai più giovani del loro certificato di nascita. Dinamiche, attive, a volte addirittura madri da poco. Si chiude una fase, se ne apre un'altra, ma parlare di menopausa, dichiarare di essere in menopausa, confessare vampate di caldo, depressione e notti insonni, è tutt'altro che semplice. Come se la fine della fertilità in una donna volesse dire, ancora, vecchiaia. Non più tabù, però...
Soprattutto se poi quegli "assalti" di calore improvviso, o bagni di sudore, irrompono inopportuni mentre si è al lavoro, con gli amici, correndo di qua e di là nelle acrobazie quotidiane di una vita al femminile. Una condizione di transizione fisica dalle mille variabili. Tra le quali, afferma una nuova e inquietante ricerca americana della "Wake forest school of medicine", c'è la possibilità che i sintomi della menopausa durino anche fino a quattordici anni. Sì, quattordici lunghissimi anni di vampate di calore e senso di depressione cosmica. Da scoraggiarsi al solo pensiero.
La ricerca, pubblicata sulla rivista specializzata "Jama Internal Medicine", ha seguito un campione di millecinquecento donne per oltre sette anni, registrandone i cambiamenti prima, durante e dopo la menopausa. Arrivando alla conclusione che per una piccola percentuale quei sintomi, in particolare gli hot flashes, lampi di caldo bruciante, sono destinati a durare addirittura quattordici anni. Un tempo infinito. Diviso tra le fortunate che i fastidi non li avvertono affatto, e quelle che invece ne sono schiave. Per molte la media globale dei "disagi" sarebbe comunque di sette anni. Una statistica capillare, ma la menopausa oggi sembra essere più che un problema medico, un confronto-scontro con il proprio tempo interiore. Nel quale far convivere più età: anagrafica, biologica, sociale.
Suggerisce Annibale Volpe, presidente della Società italiana menopausa: "È sbagliato soffrire per anni di vampate e insonnia quando esistono terapie ormonali in grado di far scomparire tutti questi sintomi. Bisogna essere concreti: ci sono donne che ne hanno bisogno e altre no. L'importante è iniziare non appena compaiono i sintomi e non proseguire mai oltre i sessant'anni. È vero, la "Tos" aumenta il rischio di cancro al seno di otto casi su diecimila. Un numero davvero piccolo però se si calcola che di tumore alla mammella si ammala oggi una donna ogni otto... ". Analisi lucida, ma lo scetticismo prevale.
In Italia ricorre agli ormoni in menopausa l'8% delle donne, contro il 52% delle americane. Libertà di scelta. Lisa Canitano, ginecologa "di frontiera", presidente dell'associazione "Vita di donna", conferma: "Ci sono tanti modi di affrontare la menopausa, tante quante sono le donne. C'è chi sceglie la terapia ormonale, chi utilizza l'omeopatia, chi nulla. Ci sono le madri over quaranta, arrivano a questo appuntamento con una tale dose di ormoni in circolo che i sintomi non li sentono affatto.
Oggi la menopausa compare in una fase assolutamente attiva della vita femminile, impatta con il lavoro, con la sessualità, ma le donne hanno imparato a gestirla. Quello che invece resiste al cambiamento è il retaggio maschile e sociale, per cui la scomparsa del ciclo mestruale segna l'inizio della vecchiaia". E allora, suggerisce Lisa Canitano, è utile rileggere quanto scrive Germaine Greer, una delle più famose femministe americane. Con una tesi forse provocatoria ma profonda. "Dopo la menopausa, quando le è concesso di smettere di essere figlia, amante, moglie e madre, la donna può diventare se stessa".
Maria Novella De Luca
la Repubblica
19 02 2015
Una bambina di sette anni è stata rapita, violentata e sgozzata nello Stato indiano di Maharashtra mentre domenica partecipava ai festeggiamenti per il matrimonio di un parente. Lo riferisce la rete televisiva Ndtv. La piccola, affetta da disturbi visivi, aveva insistito per poter andare con il padre nel Kumar Resort di Lonavala dove era prevista la festa di una sua cugina più grande. Nel pomeriggio di domenica la piccola si è allontanata per prendere del cibo e non è più tornata. Il suo corpo è stato ritrovato sul tetto del resort.
Data la presenza di molti parenti il padre non si è preoccupato per l'assenza della figlia, ma in serata ha constatato la sua scomparsa, denunciandola alla polizia. Per due giorni le ricerche non hanno dato risultati fino a quando martedì pomeriggio un dipendente del Resort, recatosi sul tetto per pulire le vasche collegate a pannelli solari ha visto un tappeto arrotolato all'interno del quale c'era il cadavere seminudo e con un taglio alla gola della bambina. L'autopsia ha confermato la morte per sgozzamento e la presenza di violenze sessuali. La polizia ha registrato una denuncia per omicidio e cerca di risalire ai suoi responsabili.
Per reazione al delitto, una folla di persone e di militanti politici locali hanno assaltato il centro di vacanze danneggiandolo gravemente. Il proprietario del resort è un ex parlamentare dello Stato di Maharashtra. Si tratta dell'ennesimo stupro e atto di violenza in cui la vittima è una minore in India. A luglio scorso 5mila mamme e papà indiani parteciparono a una marcia di 6 chilometri a Bangalore, nel sud del Paese, dopo la notizia dello stupro di una bambina di 6 anni in una scuola privata.