REPUBBLICA

La Repubblica
31 05 2012


La corte di appello ha definito incostituzionale la legge che definisce legittime solo le unioni legali tra un uomo e una donna. "Priva le unioni gay dei diritti garantiti a quelli eterosessuali"

BOSTON - Vietare alle coppie omosessuali i benefici previsti dalla legge federale americana sul matrimonio (il Defense Marriage Act) è incostituzionale. E' quanto si legge in una sentenza emessa dalla Corte d'appello di Boston, che qualcuno già definisce "rivoluzionaria" e che irrompe nel già acceso dibattito sulle nozze gay a cui il presidente statunitense, Barack Obama, si è detto di recente favorevole.

La decisione è stata presa all'unanimità dai tre giudici della Corte d'appello e ora la questione potrebbe arrivare sul tavolo della Corte Suprema. Nella sentenza si legge come il Defense Marriage Act - che risale al 1996 quando alla Casa Bianca c'era Bill Clinton e che definisce il matrimonio come l'unione tra un uomo e una donna - privi ingiustamente le coppie omosessuali dei diritti e dei privilegi garantiti alle coppie eterosessuali, come quela di fare una dichiarazione dei redditi congiunta. Inoltre, secondo i giudici di Boston, la legge in questione interferisce col diritto dei singoli Stati dell'Unione di dare la propria definizione legale di matrimonio.

La sentenza non va oltre e non entra nel merito della questione di recente sollevata dall'intervista di Barack Obama, quella del riconoscimento dei matrimoni gay. Questi ultimi finora sono stati legalizzati solo in otto Stati dell'Unione, mentre in molti altri sono stati vietati per legge, in alcuni persino con una norma nella Costituzione.

La decisione della Corte di appello di Boston rappresenta comnunque un punto molto importante messo a segno dai sostenitori dei diritti delle coppie gay ed è destinata a far discutere molto, inasprendo il dibattito in campagna elettorale tra una destra che difende a spada tratta il matrimonio tradizionale, appoggiata dalla Chiesa cattolica e dalla maggioranza dei pastori della 'Black Church', e i democratici più aperti al riconoscimento delle nozze gay, in molti contrari a una legge che di fatto tollera rapporti sentimentali di serie A e unioni di serie B. Un fatto discriminante - nota qualcuno - prima ancora di essere incostituzionale.
La Repubblica
03 10 2012


Il provvedimento è passato in aula con il consenso di Pd, Idv e Pdl. Alcuni esponenti Pdl  non hanno partecipato alla votazione, altri - assieme ai leghisti - si sono astenuti. Nel testo anche norme per i mezzi d'informazione per la promozione delle pari opportunità nell'ambito della comunicazione politica

ROMA - Senza un numero sufficiente di donne, decade la lista. Arriva il via libera in commissione Affari Costituzionali del Senato alla proposta di legge sulle quote rosa per le elezioni comunali e provinciali. In base al ddl, che ora passerà all'aula di Palazzo Madama, le liste presentate per i Comuni sopra i 15mila abitanti che non garantiranno un'adeguata rappresentanza femminile, non saranno in regola e dovranno essere depennate. Il provvedimento è passato in aula con il voto favorevole di Pd, Idv e Pdl, anche se alcuni esponenti del Popolo della libertà non hanno partecipato alla votazione e uno si è astenuto. Astenuti anche i leghisti.

E non solo. Anche i mezzi di informazione "nell'ambito delle trasmissioni per la comunicazione politica, sono tenuti al rispetto dei principi dell'articolo 51 della Costituzione per la promozione delle pari opportunità".

Il testo, frutto di un accordo accolto con soddisfazione dalle senatrici di tutti i gruppi, prevede che gli statuti comunali e provinciali debbano "garantire" e non più "promuovere" la parità di genere nelle giunte e negli organi collegiali del Comune e della Provincia nonché degli enti, aziende ed istituzioni che sono dipendenti da queste amministrazioni locali.

Questa modifiche, se confermate mercoledì dall'aula, comporteranno un nuovo passaggio del testo alla Camera.

AUNG SAN SUU KYI, DIARIO DI UNA VITTORIA

  • Nov 30, -0001
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La Repubblica
03 04 2012


La voglia di democrazia del Paese, le preghiere per la pace, la tensione per una campagna da condurre nel rispetto delle leggi per l'ordine pubblico imposte dai generali. E l'abbraccio della gente che grida: "Ti amiamo". Ecco le "note di viaggio" della Madre di Rangoon di AUNG SAN SUU KYI

L’ALTRO giorno stavo osservando uno degli striscioni di benvenuto, che mi erano dedicati, con il tradizionale augurio di lunga vita. Quel cartello, però, aveva qualcosa di speciale: una scritta più o meno come questa: “Uno studente laureato ma senza lavoro ti dà il benvenuto”. Poi ho saputo che si trattava di un giovane proveniente dalla città di Taungu (nel Nord del Paese, non distante dalla nuova capitale dei generali Naypyidaw, ndr). Come  una pietra che prende due piccioni, lui mi chiedeva di fare il mio dovere, e allo stesso tempo mi offriva la sua accoglienza. Per portare il progresso nel nostro Paese, dobbiamo usare la parte più intelligente e brillante del nostro cervello. Oltre al benvenuto, ho letto: “Noi amiamo madre Suu”. E questo viene dal profondo del loro cuore.

Nello Stato Mon ho visto un’altra cosa: due giovani gemelli vestiti molto bene e puliti, che alzavano uno dei tanti cartelli tra la folla. Anche quell’insegna aveva lo stesso significato, però aggiungeva: “Noi gemelli amiamo nonna Suu”. I due avevano proprio la stessa faccia, simili come due fagioli, ed io ero davvero colpita e felice di vederli.  In posti differenti, usano parole e significati diversi per darmi il benvenuto. Ma non potrò dimenticare quel che ho visto a Myitkyeena, una scritta con queste parole: “We love you, please help us to bring peace to our Kachin land. We love you” (“Ti amiamo, per favore aiutaci a portare la pace alla nostra terra dei Kachin”).
Quella frase è stata come un’illuminazione: mi ha fatto veramente capire la profondità della sofferenza per la guerra. A Pamaw, all’Università di Scienze dei computer, mi ha colpito un’altra cosa. Avevano scritto “Top hero” (“il più grande eroe”). A Kawhmu invece (la città della circoscrizione dove Suu Kyi è stata eletta, ndr.) ho letto: “We love public hero”, (“amiamo gli eroi pubblici, o popolari, in inglese nel testo, ndr). Ho conservato nella mente quelle parole. Perciò, nel mio discorso a Banmo, ho voluto ricordare Bertolt Brecht, il famoso autore, che trattava di eroi, e cercherò di spiegare quel che il drammaturgo ha scritto nella sua opera (La vita di Galileo, ndr): “Disgraziato il Paese, che non ha eroi!”. Però, a uno dei protagonisti fa spiegare che la verità è un’altra: “Felice il Paese, che non ha bisogno di eroi!”. Secondo me, possiamo dare due diversi significati a quell’opera. Da un lato, il Paese che ha bisogno di eroi sta affrontando grandi problemi e difficoltà, ed è sottoposto a molte situazioni spiacevoli. Dall’altro lato, la gente vive una sfida.

In questa condizione, abbiamo bisogno di un eroe. Io preferisco la seconda opinione, e sapete perché? Per quanto mi riguarda, voglio che tutti siano eroi, così non avremo bisogno di speciali eroi per il nostro Paese. Ecco  perché spero che tutta la gente sarà il “Top hero”. Per un attimo ho visto uno dei tanti uomini che reggevano un cartello, e ho pensato in quell’istante che forse io e lui non ci vedremo più. Questo mi ha fatto riflettere sul fatto che siamo tutti la stessa nazione, abbiamo la medesima speranza per il nostro Paese, e infatti tutti coloro che augurano il benvenuto sono pieni di volontà e di speranza per il nostro popolo; hanno la forza di ottenere la democrazia per il nostro futuro. Vengono a manifestare con la forza del popolo, e allora noi andiamo avanti per questo. La forza del nostro popolo ha un grande valore, dovunque vado mi salutano con il cuore, caldo e gentile, con fiori e altri doni per seguirmi lungo la stessa strada. Qualcuno mi dona fiori molto costosi, altri portano mazzi di fiorellini presi dal ciglio della strada. Io posso sfiorare solo per un attimo tutti quei fiori e quei regali, ma non importa. Quel che più conta è che sono frutto dell’amore e della gentilezza, un amore davvero prezioso, un valore immenso, come anche tutta la gente che mi saluta e mi dà il benvenuto: ogni singolo individuo è molto importante per me. Anche se non riesco a vedere né a ricordare le facce di tutti, di certo le tengo nel  cuore.

Vorrei semplicemente ringraziare chi mi sostiene e mi incoraggia. Sto scrivendo queste note sulle rive del fiume Yangon, a bordo della barca in rotta verso Pharpon e Kyaithtor; devo consegnare questo articolo in tempo per la pubblicazione su D.Wave, (Democracy Wave, il nuovo bimestrale del partito di Aung San Suu Kyi, La Lega nazionale per la democrazia, Lnd, ndr) e darlo a U Win Tin (celebre giornalista, nella direzione del suo partito  Lnd, ndr). Se non sarò puntuale, rischio di perdere la faccia. Penso al futuro, e mi dico: spero, e per questo m’impegnerò al massimo, di svolgere bene il mio dovere per la mia gente. Perché questa elezione è un evento davvero storico per il nostro Paese. Cerchiamo di condurre questa campagna nel rispetto della legge per l’ordine, e lo facciamo con tutta la nostra dignità. Vorrei chiedere un favore: che queste elezioni siano eque, oneste. Stavolta vorrei parlare soltanto delle donne della Lega nazionale per la democrazia (il partito di Suu Kyi, ndr). Se dovessi scegliere fra giovani e bambini, punterei i riflettori sulle donne perché nel nostro Paese gran parte di loro è dotata di profondo acume e intelligenza. Per lunghi anni - circa vent’anni - ho potuto contare sull’enorme  sostegno, sull’incoraggiamento, sull’aiuto da parte di tutte le donne che erano attorno a me. Molte anziane ottantenni o novantenni, ma anche adolescenti giovani e carine, e perfino bambine, si sono fatte sentire, alzando la voce attraverso l’intero Paese. Tra loro ci sono alcune donne che fanno lavori molto pesanti: riparano il ciglio  della strada, e il pensiero mi rattrista per la terribile fatica cui esse sono sottoposte quando devono rompere le pietre, trasportare massi enormi. Le vedo da quarant’anni lungo le strade di collina e di montagna, divise in diversi gruppi, e per la maggioranza appartengono alle etnie delle montagne. Lo sforzo fisico, l’esposizione  continua al sole e al vento, provocano un invecchiamento precoce sia della loro pelle e sia del corpo. Ho impressa negli occhi l’immagine, indimenticabile, di una bambina: era inverno, il freddo era intenso, e lei aveva le guance arrossate, e sotto le sopracciglia bellissimi occhi come piccoli fiori. Giocava di fianco alla madre, che lavorava riparando il ciglio della strada, e la povere e la terra le entravano in bocca. Non riesco a non pensare sempre a loro, con un profondo senso di desolazione. Tengo nella mente il profilo di quella mamma: quando lavora in quel modo, quando spacca le pietre, è come se creasse — se plasmasse — la propria vita. Ovunque io incontri queste donne, provo gli stessi sentimenti.

La voglia di democrazia del Paese, le preghiere per la pace, la tensione per una campagna da condurre nel rispetto delle leggi per l’ordine pubblico imposte dai generali. E l’abbraccio della gente che grida: “Ti amiamo”.  Ecco le “note di viaggio” dellaMadre di Rangoon alla vigilia delle storiche elezioni suppletive in Birmania, che l’hanno portata in Parlamento con un plebiscito a oltre 20 anni dal golpe militare e dal suo arresto.
Quelle lavoratrici indossano camice a maniche lunghe, e si riparano dal sole, cercando proteggere la propria bellezza. Si spalmano sulla faccia anche la tanaka (la crema di una pianta curativa della pelle usata da secoli in Birmania, ndr), poi avvolgono un tessuto sul viso, e sulla testa calcano un cappello. Tutto questo impegno nel salvaguardare la loro bellezza mi sorprende ancora di più. Infatti, nonostante la loro vita e il loro lavoro siano obiettivamente difficili, quelle donne sembrano davvero felici e attive. E tutto ciò è incredibile, straordinario.

Al mio arrivo all’aeroporto di Myeik, in un edificio in ristrutturazione, vedo due donne che mi vengono  felicemente incontro: mi abbracciano e mi baciano. Mi danno una forza immensa. Nel nostro Paese, le donne sono fra gli strati più poveri della popolazione, massacrate dal lavoro; eppure hanno una mente davvero preziosa e forte. Per tutto questo è facile capire quanto il nostro gruppo di donne abbia un valore davvero fondamentale. Affido queste mie parole scritte perché siano pubblicato dopo le elezioni. E attraverso questi miei appunti, voglio ringraziare ancora una volta tutta la gente, di tante diverse provenienze e estrazioni: tutti coloro che mi sostengono e mi incoraggiano, anche gli anziani, i giovani, e persino i neonati. A tutti, grazie. Grazie davvero.
Il testo di Aung San Suu Kyi è stato scritto per D. Wave, Democracy Wave, la rivista della Lega nazionale per la democrazia: il partito di Suu Kyi
di Raffaella Cosentino, La Repubblica
27 settembre 2012

Al CIE di Lamezia Terme. Gli immigrati-detenuti a rischio rinchiusi in una cabina metallica dove possono fare le loro pulizie personali, sotto gli occhi di tutti. La denuncia è dell'Ong Medici per i Diritti Umani (Medu).
La Repubblica
30 03 2012


La leader dell'opposizione sul voto suppletivo di domenica prossima ricorda le numerose irregolarità avvenute durante la campagna elettorale, ma ribadisce la necessità di partecipare come candidata

RANGOON - Le elezioni legislative di domenica prossima in Birmania non saranno realmente democratiche. Lo sostiene la leader dell'opposizione, il premio Nobel Aung San Suu Kyi ricordando le numerose irregolarità che hanno caratterizzato la campagna elettorale. "Io non penso che possiamo ritenere che sia una elezione libera e giusta, se si tiene conto di quello che si è visto in questi ultimi mesi", ha detto in una conferenza stampa a Rangoon, ribadendo però la necessità di partecipare alla consultazione come candidata per provare a rafforzare il processo di riforme "perché questo è ciò che il popolo chiede".

La Lega nazionale per la democrazia (Lnd) di Suu Kyi ha denunciato molte irregolarità, in particolare per quanto riguarda le liste elettorali, tutte "cose che sono al di là di ciò che è accettabile in un'elezione democratica", ha spiegato il Nobel per la pace.

Suu Kyi ha inoltre confermato che non entrerà nell'attuale squadra di governo nel caso in cui dovesse conquistare un seggio alle elezioni suppletive di domenica. "Non ho intenzione di lasciare il Parlamento che ho cercato così intensamente di raggiungere", ha spiegato rispondendo a una domanda sulla sua disponibilità a far parte dell'esecutivo. Secondo la Costituzione in vigore, infatti, i ministri devono lasciare il seggio occupato nell'assemblea.

Sebbene queste elezioni parziali rappresentino un passo importante per la Birmania,
poco cambierà dal punto di vista politico, visto che sono in palio solo 45 seggi su un totale di 1.160. Si tratta comunque di un voto che dovrebbe dare speranza e fiducia a un Paese governato per quasi cinquant'anni da una ferrea dittatura militare. L'obiettivo restano le elezioni nazionali che si terranno nel 2015. Un voto che "dovrà però eliminare l'assegnazione del 25 per cento dei seggi ai militari", ha ammonito Suu Kyi durante una campagna elettorale che l'ha già incoronata futuro leader del Paese.

Libera la bimba cristiana accusata di blasfemia

  • Nov 30, -0001
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07 09 2012

ISLAMABAD - Torna libera Rimsha, la bimba cristiana accusata in Pakistan di blasfemia per aver "bruciato" pagine del Corano. Un tribunale pakistano le ha concesso la libertà su cauzione. La decisione era attesa dopo che il suo accusatore, l'imam Khalid jadoon, era stato arrestato perchè sospettato di aver manipolato le prove contro la piccola, che tra l'altro ha un ritardo mentale. 

Rimsha Masih sarà rilasciata dopo il pagamento di mezzo milione di rupie, qualcosa più di 5.200 dollari, ma non è chiaro quando. L'avvocato della ragazzina, che è rinchiusa in un carcere di massima sicurezza a Rawalpindi, ha dichiarato che tanto lei che la sua famiglia adesso rischiano la reazione degli estremisti islamici. Il caso è delicatissimo perchè la blasfemia è un tema molto delicato in Pakistan dove il 97 per cento dei 180 milioni di abitanti sono musulmani e le accuse di insulto all'islam o a Maometto scatenano spesso rabbiose proteste popolari.

La vicenda ha suscitato viva preoccupazione nei governi occidentali (lo stesso ministro degli Esteri, Giulio Terzi, aveva detto di seguire "personalmente e con grande attenzione" il caso) e anche la reazione dei gruppi a tutela dei diritti umani. Hafiz Mohammed Khalid Chishti, l'imam della moschea del poverissimo quartiere dove abita Rimsha, è l'uomo che diede alla polizia i foglietti bruciacchiati come prova dell'accusa contro di lei. 

L'imam è stato arrestato a sorpresa all'inizio di settembre. Un testimone oculare, il suo vice, Hafiz Muhammad Zubair, e due altre persone, avevano infatti raccontato al magistrato che l'imam aggiunse pagine del Corano al mucchietto di cenere che qualcun altro gli diede. Zubair e gli altri due testimoni avevano anche raccontato di aver provato a dissuadere l'imam, ha riferito il poliziotto inquirente, Munir Hussain Jaffri: "Protestarono che non avrebbe dovuto aggiungere nulla al materiale di prova per la polizia... ma hanno raccontato che Christi disse: 'Sapete che e' l'unico modo per espellere i cristiani da quest'areà".

Il fermo dell'imam, che è stato accusato egli stesso di blasfemia, è stato prolungato di 14 giorni; la sua prigione è la stessa in cui e rinchiusa la piccola. Nei giorni scorsi, iil presidente del Consiglio degli Ulema pakistani, Tahir Ashrafu, aveva esortato gli ulema di tutto il Paese a stabilire quale punizione dovrà essere inflitta all'imam e aveva chiesto al presidente Asif Ali il rilascio immediato di Rimsha e la garanzia della sua sicurezza.

RUSSIA, COMUNITA' GAY IN PIAZZA CONTRO PUTIN

  • Nov 30, -0001
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La Repubblica
09 04 2012


Rivolta silenziosa a Mosca e San Pietroburgo. Riunioni improvvise, in luoghi indicati sulla rete. Sit-in con cartelli e bocche imbavagliate. Anche per reazione a una norma che equipara l'omosessualità alla pedofilia. Proteste che preoccupano il Cremlino
dal nostro inviato DANIELE MASTROGIACOMO

MOSCA  -  Per quattro giorni hanno organizzato incontri e dibattiti in luoghi chiusi. Bar, ristoranti, biblioteche pubbliche, librerie. Poi, al termine della settimana dedicata all'orgoglio gay, hanno deciso di scendere in piazza. A piccoli gruppi, come avviene spesso a Mosca e a San Pietroburgo. In Russia, manifestare il dissenso è un reato che si può pagare anche con il carcere. Ma questa volta, la folta e ancora anonima comunità omosessuale, ha deciso di correre il rischio: si è riunita in modo spontaneo nelle piazze e nelle vie indicati dalla Rete e ha sostato a lungo distribuendo volantini. Alcuni hanno innalzato cartelli, altri si sono limitati a mostrare il proprio viso con la bocca tappata da un bavaglio. La polizia è intervenuta.  Ma ha faticato a misurarsi con una strategia che sorprende. Alcuni manifestanti sono stati fermati, portati nei commissariati e subito rilasciati.

Piccoli segnali di una rivolta che allarma il Cremlino. Più di quanto si possa immaginare. Perché i protagonisti sono molti e restano invisibili. Alcuni sono ricchi e anche famosi; altri vivono le loro scelte sessuali nelle isolate e povere regioni della periferia. I gay non hanno un'organizzazione, una struttura di coordinamento, una sigla, una bandiera. Non esistono servizi di assistenza, un centro di ascolto, di denuncia. Niente giornali, nessun luogo fisico a cui fare riferimento. Un paio di siti web senza indirizzo, con un numero di telefono a cui risponde una segreteria automatica. Tanti blog che cambiano
nome e pagina in continuazione. Una vera galassia. Animata da artisti, stilisti, attori, modelli, contadini, studenti, manager, professionisti. Nascosta, timorosa, preoccupata.

Nella vecchia Urss l'omosessualità era vietata. Nella nuova Russia, quella degli oligarchi, degli ex colonelli del Kgb che ostentano macchinoni e sfoggiano completi di taglio italiano, dei nuovi magnati che hanno imparato a fare soldi nelle università americane e britanniche, il proprio orientamento sessuale è regolato da una legge. Il Parlamento di Novosibirsk (Siberia occidentale) ha varato una norma che equipara l'omosessualità alla pedofilia. L'obiettivo, spiegano i promotori del provvedimento, è proteggere i giovani in nome della famiglia e i diritti dell'infanzia.

Lo stesso provvedimento è stato approvato anche dal Parlamento di San Pietroburgo. E qui, antica capitale della Russia degli zar e centro delle più importanti manifestazioni artistiche e di moda, ha provocato un'ondata di proteste. La comunità gay ha chiesto a Madonna di cancellare il suo concerto previsto ad agosto. La cantante, paladina dei diritti degli omosessuali, non ha raccolto l'invito: ha scelto il silenzio. E questo ha finito per far irritare ancora di più l'organizzazione Lgt. La Chiesa si spinge oltre. Andrei Kuraen, noto docente dell'Accademia ecclesiale di Mosca, ha invitato la gente a chiamare la polizia segnalando la presenza di ordigni sotto il palco. Madonna, ha ricordato, è il diavolo.

Non sono espressioni rituali. Il Patriarcato russo, in queste settimane, sembra ossessionato da un'offensiva che non esita a definire "orchestrata da forze straniere". Vecchi fantasmi tornano ad apparire in uno scontro sotterraneo tra società e potere politico. Il nemico è il dissenso. Nelle sue diverse forme. Contrastarlo, pensano Putin e la Chiesa ortodossa, è un errore. Meglio gestirlo con una legge. Due attivisti gay ne hanno fatto le spese. Giovedì scorso manifestavano a San Pietroburgo: sono stati arrestati e vengono processati. Sostavano nei pressi di una scuola. Il loro atteggiamento poteva influenzare gli studenti minorenni. Sono le prime vittime di un provvedimento che apre la strada a mille interpretazioni. Come si fa a rendere illegale una libertà sessuale che è garantita per legge?, si chiedono molti esponenti russi dei Diritti dell'uomo. Il rischio è una chiara discriminazione delle minoranze. Qualcuno si spinge a parlare di incitamento all'intolleranza sessuale. Sorretto dai dati ufficiali: 34 aggressioni ai gay in sette regioni nel 2011.

Certo, una goccia nel mare di attacchi mortali della criminalità. Ma sono molti i casi di violenza sepolti dall'omertà diffusa. Nelle ultime settimane almeno tre omicidi, nella sola Mosca, sono stati attribuiti a motivi sessuali. Tre ragazzi attirati in una trappola dopo un contatto sulla Rete: sono stati violentati, torturati e uccisi. Il clima, tra i gay, è di paura. Eppure sui cartelloni pubblicitari della metropolitana spicca la foto del trans più famoso di Mosca: Evdokimov,  da Pavel, lo scrittore che esaltava l'ambiguità della bellezza. Sponsorizza il suo show, "Diamond girls". Posti esauriti fino a giugno. Un successone, alla luce del sole. In barba alla legge su pedofilia e omosessualità.
 
La Repubblica
17 04 2012


I DATI
Drammatici i dati dello studio Eures che segnala la crescita già dal 2010. Tra imprenditori e autonomi sono 336, ventitré solo dall'inizio del 2012. Domani manifestazione silenziosa a Roma organizzata da imprese e sindacati

ROMA - La  crisi economica ha i suoi effetti non solo sui disoccupati, ma anche fra imprenditori e lavoratori autonomi. Sono stati 362 nel 2010 i suicidi dei disoccupati, superando i 357 casi del 2009, che già rappresentavano una forte impennata rispetto ai 270 suicidi accertati in media del triennio precedente (rispettivamente 275, 270 e 260 nel 2006, 2007 e 2008), confermando la correlazione tra rischio e integrazione nel tessuto sociale. E' quanto emerge dal Secondo rapporto Eures Il suicidio in Italia al tempo della crisi. La situazione economica non ha effetti solo sui 'senza lavoro', ma anche anche fra imprenditori e autonomi, inducendo al suicidio molti artigiani, commercianti o comunque imprenditori 'autonomi'. Secondo l'Eures nel 2010 in questa categoria ben 336 si sono tolte la vita, contro i 343 del 2009. Solo nei primi mesi del 2012 1, 23 imprenditori si sono tolti la vita.

Fattori di rischio. Complessivamente le persone che si sono tolte la vita nel 2010 salgano a 3.048 (sono stati 2.986 nel 2009 e 2.828 nel 2008). Lo studio definisce infatti "molto alto il rischio suicidario"  nella componente della forza lavoro direttamente esposta all'impatto della crisi. Nel 2010 si sono contate 192 vittime tra i lavoratori in proprio (artigiani e commercianti) e 144 tra gli imprenditori e i liberi professionisti (sono state 151 nel 2009), costituite in oltre il 90% dei casi
da uomini, confermando come tutte le variabili legate a fattori materiali presentino "indici di mascolinità superiori a quello già elevato rilevato in termini generali".

Le percentuali crescono nella fascia degli esodati. Secondo lo studio però i rischi di suicidio nei momenti di difficoltà economica sarebbero più alti tra disoccupati e imprenditori, meno invece tra i dipendenti. Considerando l'indice di rischio specifico (suicidi per 100 mila abitanti della medesima condizione) sono i disoccupati a presentare l'indice più alto (17,2), seguiti con scarti significativi dagli imprenditori e liberi professionisti (10 suicidi ogni 100 mila imprenditori e liberi professionisti), colpiti dalle fluttuazioni del mercato e dai ritardi nei pagamenti per i beni e servizi venduti (in primo luogo da parte della Pubblica Amministrazione) e dalla conseguente difficoltà di accesso al credito. Seguono i lavoratori in proprio (5,5) e chiudono la graduatoria del rischio i "più tutelati" lavoratori dipendenti (4,5). Soltanto di poco più alto, infine, l'indice di rischio suicidario degli inattivi (pensionati, casalinghe, studenti, eccetera).

Il rischio suicidio è inoltre sempre più in agguato nella fascia dei cosiddetti esodati, vale a dire tra coloro che hanno tra i 45 e i 64 anni, facendo segnare un incremento di casi del 12,6% nel 2010 rispetto al 2009 e del 16,8% rispetto al 2008:

La fiaccolata silenziosa. Per sensibilizzare l'opinione pubblica sulla crisi delle piccole e medie imprese, domani alle 20, si terrà una fiaccolata silenziosa a Roma, al Pantheon. Imprese e lavoratori sfileranno insieme, con un pensiero a tutti coloro che, strangolati da debiti con banche e fornitori, hanno scelto di togliersi la vita. Si chiama 'Silenziosamente', ed è la manifestazione congiunta organizzata da 20 sigle tra sindacati, associazioni e confederazioni - tra cui Cgil, Cisl, Uil, Confcommercio, Federlazio e Unindustria.

I dati complessivi. Complessivamente, dopo l'aumento dei suicidi registrato nel 2009 (+5,6% rispetto al 2008), prosegue nel 2010 la crescita del fenomeno (+2,1%). I suicidi accertati in Italia salgono a 3.048 (sono stati 2.986 nel 2009 e 2.828 nel 2008). L'incremento, che investe trasversalmente la popolazione, coinvolge la componente maschile (+2,4%) in misura maggiore di quella femminile (+0,9%), consolidando la caratterizzazione al maschile del fenomeno: nel 2010 l'indice di rischio suicidario risulta tra gli uomini 4 volte superiore a quello delle donne (8,2 a fronte di 2,1). Secondo la fotografia dell'Eures sono aumentati nel 2010 i suicidi nelle regioni del Centro-Nord; ma a livello territoriale il primato se l'è aggiudicato la Lombardia (con 496 casi, +3% rispetto al 2009), seguita dal Veneto (320, pari al 10,5% del totale, con un aumento del 16,4% sul 2009) e l'Emilia Romagna (278, 9,1%).

La Repubblica
21 08 2012

TOKYO - Il ministero degli Esteri giapponese ha confermato ufficialmente la morte ad Aleppo della giornalista Mika Yamamoto, 45 anni. A identificarla è stato un collega che si trovava insieme a lei, Kazutaka Sato, il quale ha riferito che sarebbe stata colpita durante uno scontro a fuoco fra ribelli e soldati dell'esercito siriano.

La donna, la prima cittadina di Tokyo e la quarta reporter straniera a perdere la vita nel conflitto in Siria, lavorava per un'agenzia di stampa indipendente, la 'Japan Press', ed era una veterana del giornalismo di guerra, con esperienze in Afghanistan e Iraq, dove nel 2003 sfuggì per miracolo al bombardamento del 'Palestine Hotel' di Baghdad da parte di un carro armato americano. Il reportage fatto su quella esperienza le valse il premio 'Vaughn-Ueeda', il "Pulitzer" giapponese.

In un video sul web, il capitano Ahmed Ghazali, combattente ribelle, dichiara che Yamamoto è rimasta uccisa ad Aleppo e attribuisce la responsabilità all'esercito del presidente Bashar Assad: "Accogliamo volentieri ogni giornalista che voglia entrare in Siria, garantiamo sicurezza all'ingresso ma non siamo responsabili delle brutalità delle forze di Assad contro i media", dice il combattente nel filmato. Aggiunge poi di sperare che la morte della giapponese spinga a un intervento internazionale: "Spero che i Paesi che non sono mossi ad agire dal sangue siriano lo saranno dal sangue della loro gente".

In realtà, come sempre nel caos, non è chiaro
cosa sia avvenuto. Rimasta in mezzo a una sparatoria tra lealisti e ribelli nel quartiere di Suleyman al-Halabi, Yamamoto avrebbe subito una lesione letale da arma da fuoco al collo. Rimane controversa l'identità degli uccisori. "Abbiamo visto un gruppo di persone in tuta mimetica venire verso di noi - ha detto Sato, il collega - , sembravano soldati governativi, che hanno poi preso a sparare all'impazzata da una distanza di 20 o 30 metri, forse addirittura più da vicino".

Stando invece all'emittente 'al-Huba', una televisione finanziata dagli Stati Uniti che trasmette in lingua araba, l'autista della reporter avrebbe dichiarato che la vettura con a bordo la vittima sarebbe stata assaltata da combattenti che indossavano divise identiche a quelle del Libero esercito siriano, braccio armato dell'opposizione costituito in massima parte da disertori. L'Les ha tuttavia immediatamente smentito, imputando l'attacco alle truppe regolari.

A trasportare Yamamoto in ospedale avrebbero contribuito attivisti dell'Osservatorio siriano per i diritti umani, organizzazione dell'opposizione in esilio con sede in Gran Bretagna, il cui presidente Rami Abdel Rahmane non è stato peraltro in grado di chiarire i dubbi sull'effettiva dinamica dell'accaduto. Ha invece confermato che con Yamamoto c'erano altri tre giornalisti stranieri - due arabi, tra cui una libanese, e un turco - che ora risultano dispersi.

La Repubblica
04 02 2012


È avvenuto nella frazione di Resina. I malviventi, armati e con il volto coperto, hanno atteso che rientrasse il proprietario di casa e hanno svuotato la cassaforte portando via gioelli e denaro per 20mila euro.

PERUGIA - Sono entrati in una villa a Resina (frazione di Perugia) per mettere a segno una rapina e uno di loro ha violentato una donna di circa 50 anni originaria del sud America che si trovava in casa. È avvenuto ieri sera intorno alle 22:30. Nell'abitazione, al momento del colpo messo a segno da due uomini (probabilmente dell'Europa dell'Est) con il volto coperto e armati, forse di un fucile, c'era anche la nipote 14enne della donna.

I  malviventi sono entrati nella villa cominciando a minacciare la donna, originaria del sud America, e la nipote per sapere dove fosse la cassaforte e la chiave. Improvvisamente uno dei malviventi - è stato accertato dagli investigatori - ha portato la cinquantenne in una taverna sottostante, violentandola.

Da quanto emerso dalle indaginim, i due hanno atteso che tornasse a casa il proprietario dell'abitazione, un piccolo imprenditore, e la compagna, figlia della donna violentata. Si sono quindi fatti indicare dove fosse la cassaforte e consegnare la chiave. Hanno così prelevato preziosi e contanti per un valore di 20 mila euro, nonché di una pistola (priva di caricatore) dell'uomo. I rapinatori hanno legato con i fili dei caricabatteria dei telefoni cellulari tutte le persone presenti e sono fuggiti. Il proprietario della villa è riuscito comunque a liberarsi e a dare l'allarme ai carabinieri.

La donna violentata è stata medicata in ospedale e dimessa con una prognosi di 6 giorni.

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