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la Repubblica
30 07 2015

Lo sapevate che in Italia c'è una delle percentuali di rom più basse di tutta Europa? Che solo uno su cinque vive nei campi? Che la metà ha cittadinanza italiana, con punte del 90% in Emilia Romagna?

L'intervista doppia realizzata con Elio Germano e Piotta è la risposta a chi vorrebbe dare a Roma il primato della città più degradata d'Italia.

Germano e Piotta sono tra i sottoscrittori di "Accogliamoci", la campagna di raccolta firme per promuovere due delibere di iniziativa popolare contenenti un piano per il superamento definitivo di campi nomadi e centri di accoglienza.

Questa iniziativa è portata avanti da Radicali Roma, Arci, Asgi, Associazione 21 luglio, A buon diritto, Cir, E' possibile, Un ponte per, ZaLab. Insieme a loro altre personalità del mondo politico, del giornalismo e dello spettacolo hanno sottoscritto le due proposte, tra cui Khalid Chauoki, Pippo Civati, Emma Bonino, eccetera.

Il Manifesto
16 07 2015

David e Marius frequentano il liceo scientifico di Cosenza. A scuola ottengono voti alti. Sono entrambi rom. Vanno sue giù per le spiagge delle coste calabresi, ma non sono in vacanza.

Ogni mattina si alzano alle 5. Alle 7 sono già operativi insieme ai loro genitori: rivendono i prodotti che comprano all'ingrosso dai cinesi.

Si alzano presto per necessità lavorative e per cause di forza maggiore. Nelle tende dell'accampamento in cui vivono da poche settimane, infatti, è difficile sostare, perché la temperatura interna supera i 50°. ...

I progetti dei Comuni per mandare a casa rom e sinti

  • Lunedì, 13 Luglio 2015 12:11 ,
  • Pubblicato in IL MANIFESTO

Il Manifesto
13 07 2015

Uno dei tanti luo­ghi comuni che cir­con­dano i rom vuole che que­sta mino­ranza si ostini a vivere nei campi rifiu­tando la sola idea di tra­sfe­rirsi in una casa come tutti. Luogo comune da mesi ali­men­tato insieme ad altri da una pro­pa­ganda raz­zi­sta verso le comu­nità rom e sinti che vivono nel nostro Paese (e com­po­ste nella mag­gio­ranza dei casi da cit­ta­dini ita­liani), e utile ad accre­scere un allarme sociale buono solo per le cam­pa­gne elet­to­rali. Sarà un caso, ma pas­sata l’ultima tor­nata elet­to­rale sono dimi­nuite in tele­vi­sione le magliette con stam­pate sopra ruspe pronte ad «abbat­tere» i campi rom.

Eppure il tarlo raz­zi­sta ha ben sca­vato in un’opinione pub­blica sem­pre più allar­mata. «Nella clas­si­fica dell’odio sociale rom e sinti oscil­lano sem­pre tra la prima e la terza posi­zione nelle inda­gini socio­lo­gi­che. E’ come se que­sta mol­ti­pli­ca­zione di odio avesse fatto cadere il tabù del raz­zi­smo, che oggi si dichiara senza più imba­razzi» spiega il sena­tore Luigi Man­coni, pre­si­dente della com­mis­sione Diritti umani del Senato intro­du­cendo i lavori del con­ve­gno «Supe­ra­mento dei campi, espe­rienze a con­fronto». Un allarme che appare ancora più ingiu­sti­fi­cato se si pensa che in Ita­lia rom e sinti sono in tutto 160 mila, e di que­sti solo 40 mila vivono nei campi. A fronte di una popo­la­zione di 60 milioni di abi­tanti.

Eppure non è scritto da nes­suna parte che debba essere per forza così. In Europa ci sono Paesi con pre­senze molto più nume­rose di rom e sinti in cui è stato pos­si­bile rag­giun­gere livelli di inte­gra­zione molto alti. In Spa­gna, ad esem­pio, all’inizio degli anni 2.000 vive­vano 800 mila rom, dei quali 80 mila nella sola Madrid, città che con­tava nella sua area metro­po­li­tano 6,5 milioni di abi­tanti. La metà di que­gli 80 mia erano stra­nieri e 13 mila risie­de­vano nei campi. «Nel 1998 prese avvio un pro­gramma di inte­gra­zione con la crea­zione di un ente pub­blico e l’obiettivo di supe­rare i campi, un pro­getto reso pos­si­bile gra­zie anche all’utilizzo dei finan­zia­menti pre­vi­sti dal fondo euro­peo sociale», spiega il sena­tore del Pd Fran­ce­sco Palermo. Nel 2011 si è comin­ciato a chiu­dere i campi, oggi pra­ti­ca­mente tutti dismessi avviando un per­corso di inte­gra­zione delle fami­glie rom. «La cosa inte­res­sante — pro­se­gue Palermo — è che il 96% delle fami­glie rial­lo­cate dichiara oggi di sen­tirsi inte­grate e la metà ha acqui­stato la casa in cui vive».
E in Ita­lia? Se si supera il fra­gore della pro­pa­ganda raz­zi­sta, si sco­pre che anche da noi non man­cano espe­rienze posi­tive. Tenute magari un po’ in sor­dina pro­prio per non aiz­zare le solite pro­te­ste. Ad Alghero, ad esem­pio, dagli anni ’80 vive­vano un cen­ti­naio di rom in un campo alla peri­fe­ria della città. A set­tem­bre del 2014 un cen­si­mento ne ha con­tati 51, tra i quali 30 minori. «Gra­zie a un finan­zia­mento regio­nale di 250 mila euro — rac­conta il sin­daco Mario Bruno — abbiamo avviato un pro­getto per tra­sfe­rire que­ste per­sone in una casa. In città il 60% della case sono seconde abi­ta­zioni chiuse per gran parte dell’anno. Abbiamo pre­sen­tato le fami­glie ai pro­prie­tari, offrendo la garan­zia del comune per l’affitto e len­ta­mente siamo riu­sciti a vin­cere le dif­fe­renze». Il 29 gen­naio scorso il campo è stato chiuso defi­ni­ti­va­mente. Allo stesso tempo l’amministrazione ha avviato un piano di edi­li­zia popo­lare per gli alghe­resi senza una casa.

Inte­res­sante anche l’esperienza di Torino. Qui già nel 1998 era stato avviato un piano di ricol­lo­ca­mento in casa che ha coin­volto più di 500 fami­glie rom. Poi la crisi eco­no­mica ha costretto molte di que­ste a tor­nare nei campi per l’impossibilità di con­ti­nuare a pagare un affitto, per quanto popo­lare. «Un pro­blema che non riguarda ovvia­mente solo i rom ma anche i tori­nesi, al punto che stiamo pen­sando a nuove forme di edi­li­zia pub­blica», spiega il vice­sin­daco Elide Tisi. Due anni fa è stato avviato un pro­getto per circa 600 rom che vive­vano in un campo situato in una area con­si­de­rata a rischio. E’ stato sti­pu­lato un «patto di emer­sione», in cui i rom si sono impe­gnati a iscri­vere i bam­bini a scuola e a rispet­tare regole della con­vi­venza, e l’amministrazione a tro­vare degli alloggi in cui tra­sfe­rirli, ma anche un lavoro nei paesi di ori­gine, favo­rendo così i rim­pa­tri volon­tari.

A Roma, invece, 25 fami­glie rom sono state allog­giate in uan casa popo­lare gra­zie a un bando del 2012 indetto dall’allora giunta Ale­manno. Si stanno inol­tre costi­tuendo 5 coo­pe­ra­tive di donne rom.
A Milano, infine, il comune sgom­bera i campi offrendo però subito un’alternativa, come spiega l’assessore all sicu­rezza Marco Gra­nelli: «Ini­zial­mente si tratta di cen­tri di emer­genza sociale dove i rom pos­sono restare al mas­simo per sei mesi, durante i quali viene avviato un per­corso di inte­gra­zione. Ma ci sono anche appar­ta­menti gestiti insieme al terzo set­tore dove le fami­glie allog­giano per tre anni durante i quali anzi­ché pagare l’affitto desti­nano i soldi a un fondo da uti­liz­zare per l’avvio di un’attività. Sono i primi passi verso un’abitazione definitiva».

Radicali: cosa fare per includere i Rom

  • Giovedì, 09 Luglio 2015 08:49 ,
  • Pubblicato in L'ESPRESSO

l'Espresso
09 07 2015

Iniziare dalle persone rom, dai singoli individui e cittadini, deponendo i provvedimenti adottati per categoria e disarticolando un'idea di rappresentanza che si è ormai dimostrata inutile; partire dalle specifiche necessità, competenze e aspirazioni per elaborare percorsi di inclusione diversi da persona a persona. Questo è il cuore della proposta per il superamento dei campi rom contenuta nelle delibere di iniziativa popolare "Accogliamoci": un cambio di prospettiva radicale rispetto a decenni di politiche inefficaci perché destinate a un gruppo indistinto, come se "i rom" fossero un corpo monolitico e non un insieme di individui, ciascuno con la propria singolarità. Del resto è proprio su questa semplicistica idea di categoria, sia pure declinata in una direzione diversa, che hanno fatto leva i peggiori pregiudizi, quelli che tuttora attraversano dolorosamente il paese: i rom che rubano, che non vogliono lavorare, che non vogliono integrarsi, che sono culturalmente diversi dagli altri.

È possibile rispondere a quei pregiudizi, è ragionevole pensare di affrontarli e disinnescarli utilizzando la loro stessa prospettiva? È ipotizzabile venirne a capo continuando a riferirsi genericamente ai rom, anziché spostare lo sguardo sulle singole persone?

Evidentemente no. Il fallimento delle politiche degli ultimi decenni sta tutto qua: nel voler fronteggiare una questione che riguarda qualche migliaio di individui muovendosi tra le due deformazioni del pregiudizio verso un gruppo etnico e dell'illusione di poterlo rappresentare nella sua totalità, azzerando le differenze, spesso assai rilevanti, che lo attraversano. Il risultato, per ora, nella sola città di Roma, è di 25 milioni di euro l'anno di spesa, con gli effetti che tutti conosciamo.

Quello che allora serve è un cambio di prospettiva difficile da accettare e forse perfino da comprendere, per chi fino ad oggi ha vissuto e ha ragionato, in un modo o nell'altro, nell'ottica del gruppo: eppure è indispensabile, se si ha davvero l'ambizione di restituire ai rom, alle singole persone rom, la qualifica di individui e cittadini che dovrebbe spettare loro come spetta a chiunque altro; se ai rom, finalmente, si vuole dare voce davvero, al di là della necessità di salvaguardare un patrimonio culturale che può restare intatto anche nella valorizzazione dell'individualità, e che anzi proprio grazie a quella valorizzazione potrebbe finalmente mettersi al riparo dal degrado e dalla marginalità, sopravvivendo invece di scomparire: inclusione senza tentativi di assimilazione.

Superare i campi rom superando la segregazione, da chiunque essa venga promossa e malgrado le sue intenzioni, attraverso un'indagine conoscitiva sulla situazione di ogni singolo nucleo familiare e l'implementazione di un piano di inclusione sociale, abitativa e scolastica con tempi stabiliti e monitorati, utilizzando i finanziamenti europei per finanziare i progetti abitativi non soltanto dei rom, ma anche degli altri cittadini. Ecco come si può fare. Un cambio di prospettiva e un modello che in altri Paesi, come ad esempio la Spagna, hanno funzionato. A Madrid, nel 2007, vivevano circa 70.000 persone rom, di cui 12.000 nei campi: a partire dal 2011 il Comune ha deciso di chiudere i campi e di investire in educazione e formazione, diventando in pochi anni un modello in tutta Europa. Finora sono stati chiusi 110 insediamenti e 9.000 persone hanno avuto accesso ad alloggi e a percorsi di integrazione. L'obiettivo è chiudere definitivamente tutti i campi entro il 2017.

Tutti i progetti sono stati finanziati con fondi europei destinati all’integrazione dei cittadini rom: ma il nostro paese non ha mai fatto richiesta di quei fondi, preferendo sperperare milioni di euro per la politica di segregazione nei campi. Sarebbe il caso di cambiare prospettiva, anche qua.

Alessandro Capriccioli

* Alessandro Capriccioli, segretario di Radicali Roma è membro comitato promotore di Accogliamoci”, un'iniziativa promossa da Radicali Roma, Associazione 21 luglio, A buon diritto, Arci Roma, Cild, Possibile,Un ponte per, Zalab, Asgi.

Redattore Sociale
19 06 2015

I rom in agitazione: minacciano di barricarsi nelle baracche, quando ci sarà lo sgombero. A pochi giorni dallo spostamento, annunciato a più riprese dal comune di Cosenza, molti rom appartenenti alla comunità che vive sul lungo Crati si ribellano alla soluzione "tendopoli", trovata dall'amministrazione guidata dal sindaco Mario Occhiuto. "Ieri pomeriggio c'è stato il sopralluogo di una delegazione di rom rumeni, insieme all'associazione "Lav Romanò" e all'associazione "Scuola del Vento" che, insieme allo staff del sindaco, si sono recati alla tendopoli", racconta Luigi Bevilacqua, rom da tempo attivo nell'associazionismo Cosentino.

"Lo scontro più acceso - continua Bevilacqua -, c'è stato alla vista delle tende in cui i rom sgomberati dovrebbero vivere, a causa delle dimensioni ridotte e per il fatto che ci debbano vivere più famiglie. La richiesta della comunità rom è quella di ottenere una tenda per ogni nucleo familiare".

Intanto il giorno dello sgombero si avvicina. Le baracche disabitate sono state già demolite. E il Comune sta effettuando le prime opere di bonifica del territorio. La comunità è in fermento. "Vorremmo essere aiutati dall'Amministrazione a trovare una casa in affitto. Per noi non è facile!", affermano alcuni rom, che si sono già mossi per cercare un appartamento. Ma gli sono state chieste caparre esorbitanti. Anche fino a sette mesi di anticipo. "Siamo disposti a pagare un affitto" sostengono alcuni abitanti del campo, "ma abbiamo bisogno di trovare soluzioni economiche che riusciamo".

Il sindaco Mario Occhiuto. "Il campo rom è una baraccopoli sorta in una zona a forte rischio idrogeologico, dove ci sono stati vari incendi, a cui ho trovato soluzioni anche requisendo immobili delle ferrovie dello Stato - afferma il sindaco di Cosenza, Mario Occhiuto -. Devo sgomberare il Ferrhotel, a causa di un'ordinanza del Tar. E procederò anche con la baraccopoli di Vaglio Lise. Ho fatto più volte dei progetti per un campo attrezzato. L'idea era quella di riconvertire un'area industriale in un centro di valorizzazione della cultura rom. Ma i progetti sono stati entrambi bocciati dalla Regione Calabria, proprio perché era prevista la residenza dei rom. Le stesse associazioni hanno bocciato l'idea del campo attrezzato. Ma non è tutto. Sono costretto a sgomberare, per mettere in sicurezza le vite dei rom, a causa di un sequestro dell'area, da parte dell'autorità giudiziaria. Ho fatto un'ordinanza che presuppone un campo d'emergenza, per accogliere le persone sgomberate. Si tratta di un campo temporaneo. Con cucine comuni, bagni, docce. Ci sarà un controllo serio, non si potranno incendiare materiali tossici e sarà impossibile delinquere. Mentre oggi l'area del campo di Vaglio Lise è abbandonata a sé stessa". Il supporto ai neonati sarà dato nella tendopoli. Il Comune non ha trovato soluzioni alternative per i piccoli abitanti della baraccopoli.

Dopo le tende case in affitto. Il costo della tendopoli si aggirerà intorno alle 100 mila euro e la gestione dell'emergenza dovrebbe terminare dopo l'estate. "Ci sono due modi di affrontare questi problemi - conclude il sindaco Occhiuto -. O ci si gira dall'altra parte o si strumentalizza la cosa. Queste questioni portano sempre a scelte impopolari. Ecco perché nessuno vuole affrontarle". Per il dopo-tendopoli il sindaco ha preso l'impegno di aiutare i rom della comunità che saranno favorevoli, a trovare una casa in affitto. Si tratta di 400 persone, con regolare permesso di soggiorno, che il Comune supporterà in questo percorso di emancipazione.

Le associazioni e i rom. "Siamo d'accordo che la situazione sia insostenibile, e che per il bene della comunità rom sia necessaria una fuoriuscita dal campo. Ma in sinergia con quanto prevede la ‘Strategia Nazionale’ che vieta i campi, e prevede la condivisione della comunità nelle scelte". Lo sostengono "Scuola del Vento" e "Lav Romanò", associazioni presenti sul territorio, da anni. "Parlare di messa in sicurezza delle persone è un'ipocrisia, quando per dieci anni si è guardato il campo da lontano". Lo sostiene Maria Francesca D'Agostino, dell'associazione "Scuola del Vento", per anni presente nel campo con un presidio fisso. "Inoltre il sindaco dovrebbe spiegarci come mai ha programmato la costruzione di un villaggio attrezzato nell'area dell'ex mercato ortofrutticolo, che confina con il campo stesso", prosegue la D'Agostino. E termina: "I rom si sono integrati alla nostra mancanza di regole e di controllo, concessa perché c'era l'interesse alla costruzione di un eco-villaggio, nonostante i divieti della legge. Divieti che noi abbiamo sempre ribadito al sindaco". 

L'"Agenda Rom". Nel 2012 un consorzio di più associazioni, insieme ai rom di Vaglio Lise, aveva presentato e consegnato al sindaco Occhiuto l'"Agenda Rom", che prevedeva la fuoriuscita graduale degli abitanti dalla baraccopoli di Vaglio Lise, attraverso la soluzione delle case in affitto. Ma il sindaco, all'epoca, cercava di far approvare il progetto di villaggio attrezzato, a più riprese bocciato dalla Regione Calabria. Forse, se si fosse tentato un percorso abitativo per i rom, già allora, la questione "tendopoli" non sarebbe mai nata. Ad oggi le associazioni "Scuola del Vento" e "Lav Romanò" si riservano di intervenire con tutti i mezzi leciti possibili, se l'Amministrazione continua a voler sgomberare il campo prima che i rom abbiano trovato una soluzione alternativa. E stanno pensando ad un'interrogazione parlamentare, mentre è già stato presentato un documento congiunto, insieme all'European Roma Rights Centre, in cui si denuncia la scelta della tendopoli come "modalità che sembra favorire la segregazione razziale".

I fondi. Dure critiche all'Amministrazione arrivano anche dal "MeetUp Cosenza Amici di Beppe Grillo", che punta il dito sulle somme spese, dal 2014, proprio per la bonifica del campo sotto sgombero. "Dopo l'incendio del campo, lo stato di necessità ha reso impellente l'acquisto di tende, per una ‘sistemazione logistica’ dei cittadini rom. 40 mila e 700 euro la prima somma spesa dal Comune", si legge nella nota del MeetUp. Seguita da una spesa di 43 mila seicento euro, per la bonifica dell'area dove sarebbe dovuto sorgere il "campo profughi". E per un'ulteriore bonifica dai detriti lasciati dall'incendio e la realizzazione di una doppia trincea, per impedire la costruzione di nuove baracche, altre 49 mila 600 euro. Il MeetUp Cosentino sottolinea l'affidamento diretto degli appalti, a ditte di fiducia. E critica l'ultima spesa del Comune, effettuata per comprare altre tende e brandine. La somma sotto la lente è di 47 mila 200 euro.

La risposta del sindaco è lapidaria: "Intanto che il campo c'è non lo si può lasciare sommerso dai rifiuti. Inoltre, la cenere e i rifiuti risultanti da un incendio possono essere nocivi e pericolosi". Il MeetUp chiede ancora: "Non sarebbe stato più logico procedere alla previsione di un progetto di integrazione della cultura Rom da finanziare con fondi europei, magari fondi FSE? Che fine faranno le persone senza regolare permesso di soggiorno, ma che mandano i figli a scuola e rispettano le regole della comunità?".

Giulia Zanfino

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