Il Manifesto
13 07 2015
Uno dei tanti luoghi comuni che circondano i rom vuole che questa minoranza si ostini a vivere nei campi rifiutando la sola idea di trasferirsi in una casa come tutti. Luogo comune da mesi alimentato insieme ad altri da una propaganda razzista verso le comunità rom e sinti che vivono nel nostro Paese (e composte nella maggioranza dei casi da cittadini italiani), e utile ad accrescere un allarme sociale buono solo per le campagne elettorali. Sarà un caso, ma passata l’ultima tornata elettorale sono diminuite in televisione le magliette con stampate sopra ruspe pronte ad «abbattere» i campi rom.
Eppure il tarlo razzista ha ben scavato in un’opinione pubblica sempre più allarmata. «Nella classifica dell’odio sociale rom e sinti oscillano sempre tra la prima e la terza posizione nelle indagini sociologiche. E’ come se questa moltiplicazione di odio avesse fatto cadere il tabù del razzismo, che oggi si dichiara senza più imbarazzi» spiega il senatore Luigi Manconi, presidente della commissione Diritti umani del Senato introducendo i lavori del convegno «Superamento dei campi, esperienze a confronto». Un allarme che appare ancora più ingiustificato se si pensa che in Italia rom e sinti sono in tutto 160 mila, e di questi solo 40 mila vivono nei campi. A fronte di una popolazione di 60 milioni di abitanti.
Eppure non è scritto da nessuna parte che debba essere per forza così. In Europa ci sono Paesi con presenze molto più numerose di rom e sinti in cui è stato possibile raggiungere livelli di integrazione molto alti. In Spagna, ad esempio, all’inizio degli anni 2.000 vivevano 800 mila rom, dei quali 80 mila nella sola Madrid, città che contava nella sua area metropolitano 6,5 milioni di abitanti. La metà di quegli 80 mia erano stranieri e 13 mila risiedevano nei campi. «Nel 1998 prese avvio un programma di integrazione con la creazione di un ente pubblico e l’obiettivo di superare i campi, un progetto reso possibile grazie anche all’utilizzo dei finanziamenti previsti dal fondo europeo sociale», spiega il senatore del Pd Francesco Palermo. Nel 2011 si è cominciato a chiudere i campi, oggi praticamente tutti dismessi avviando un percorso di integrazione delle famiglie rom. «La cosa interessante — prosegue Palermo — è che il 96% delle famiglie riallocate dichiara oggi di sentirsi integrate e la metà ha acquistato la casa in cui vive».
E in Italia? Se si supera il fragore della propaganda razzista, si scopre che anche da noi non mancano esperienze positive. Tenute magari un po’ in sordina proprio per non aizzare le solite proteste. Ad Alghero, ad esempio, dagli anni ’80 vivevano un centinaio di rom in un campo alla periferia della città. A settembre del 2014 un censimento ne ha contati 51, tra i quali 30 minori. «Grazie a un finanziamento regionale di 250 mila euro — racconta il sindaco Mario Bruno — abbiamo avviato un progetto per trasferire queste persone in una casa. In città il 60% della case sono seconde abitazioni chiuse per gran parte dell’anno. Abbiamo presentato le famiglie ai proprietari, offrendo la garanzia del comune per l’affitto e lentamente siamo riusciti a vincere le differenze». Il 29 gennaio scorso il campo è stato chiuso definitivamente. Allo stesso tempo l’amministrazione ha avviato un piano di edilizia popolare per gli algheresi senza una casa.
Interessante anche l’esperienza di Torino. Qui già nel 1998 era stato avviato un piano di ricollocamento in casa che ha coinvolto più di 500 famiglie rom. Poi la crisi economica ha costretto molte di queste a tornare nei campi per l’impossibilità di continuare a pagare un affitto, per quanto popolare. «Un problema che non riguarda ovviamente solo i rom ma anche i torinesi, al punto che stiamo pensando a nuove forme di edilizia pubblica», spiega il vicesindaco Elide Tisi. Due anni fa è stato avviato un progetto per circa 600 rom che vivevano in un campo situato in una area considerata a rischio. E’ stato stipulato un «patto di emersione», in cui i rom si sono impegnati a iscrivere i bambini a scuola e a rispettare regole della convivenza, e l’amministrazione a trovare degli alloggi in cui trasferirli, ma anche un lavoro nei paesi di origine, favorendo così i rimpatri volontari.
A Roma, invece, 25 famiglie rom sono state alloggiate in uan casa popolare grazie a un bando del 2012 indetto dall’allora giunta Alemanno. Si stanno inoltre costituendo 5 cooperative di donne rom.
A Milano, infine, il comune sgombera i campi offrendo però subito un’alternativa, come spiega l’assessore all sicurezza Marco Granelli: «Inizialmente si tratta di centri di emergenza sociale dove i rom possono restare al massimo per sei mesi, durante i quali viene avviato un percorso di integrazione. Ma ci sono anche appartamenti gestiti insieme al terzo settore dove le famiglie alloggiano per tre anni durante i quali anziché pagare l’affitto destinano i soldi a un fondo da utilizzare per l’avvio di un’attività. Sono i primi passi verso un’abitazione definitiva».
l'Espresso
09 07 2015
Iniziare dalle persone rom, dai singoli individui e cittadini, deponendo i provvedimenti adottati per categoria e disarticolando un'idea di rappresentanza che si è ormai dimostrata inutile; partire dalle specifiche necessità, competenze e aspirazioni per elaborare percorsi di inclusione diversi da persona a persona. Questo è il cuore della proposta per il superamento dei campi rom contenuta nelle delibere di iniziativa popolare "Accogliamoci": un cambio di prospettiva radicale rispetto a decenni di politiche inefficaci perché destinate a un gruppo indistinto, come se "i rom" fossero un corpo monolitico e non un insieme di individui, ciascuno con la propria singolarità. Del resto è proprio su questa semplicistica idea di categoria, sia pure declinata in una direzione diversa, che hanno fatto leva i peggiori pregiudizi, quelli che tuttora attraversano dolorosamente il paese: i rom che rubano, che non vogliono lavorare, che non vogliono integrarsi, che sono culturalmente diversi dagli altri.
È possibile rispondere a quei pregiudizi, è ragionevole pensare di affrontarli e disinnescarli utilizzando la loro stessa prospettiva? È ipotizzabile venirne a capo continuando a riferirsi genericamente ai rom, anziché spostare lo sguardo sulle singole persone?
Evidentemente no. Il fallimento delle politiche degli ultimi decenni sta tutto qua: nel voler fronteggiare una questione che riguarda qualche migliaio di individui muovendosi tra le due deformazioni del pregiudizio verso un gruppo etnico e dell'illusione di poterlo rappresentare nella sua totalità, azzerando le differenze, spesso assai rilevanti, che lo attraversano. Il risultato, per ora, nella sola città di Roma, è di 25 milioni di euro l'anno di spesa, con gli effetti che tutti conosciamo.
Quello che allora serve è un cambio di prospettiva difficile da accettare e forse perfino da comprendere, per chi fino ad oggi ha vissuto e ha ragionato, in un modo o nell'altro, nell'ottica del gruppo: eppure è indispensabile, se si ha davvero l'ambizione di restituire ai rom, alle singole persone rom, la qualifica di individui e cittadini che dovrebbe spettare loro come spetta a chiunque altro; se ai rom, finalmente, si vuole dare voce davvero, al di là della necessità di salvaguardare un patrimonio culturale che può restare intatto anche nella valorizzazione dell'individualità, e che anzi proprio grazie a quella valorizzazione potrebbe finalmente mettersi al riparo dal degrado e dalla marginalità, sopravvivendo invece di scomparire: inclusione senza tentativi di assimilazione.
Superare i campi rom superando la segregazione, da chiunque essa venga promossa e malgrado le sue intenzioni, attraverso un'indagine conoscitiva sulla situazione di ogni singolo nucleo familiare e l'implementazione di un piano di inclusione sociale, abitativa e scolastica con tempi stabiliti e monitorati, utilizzando i finanziamenti europei per finanziare i progetti abitativi non soltanto dei rom, ma anche degli altri cittadini. Ecco come si può fare. Un cambio di prospettiva e un modello che in altri Paesi, come ad esempio la Spagna, hanno funzionato. A Madrid, nel 2007, vivevano circa 70.000 persone rom, di cui 12.000 nei campi: a partire dal 2011 il Comune ha deciso di chiudere i campi e di investire in educazione e formazione, diventando in pochi anni un modello in tutta Europa. Finora sono stati chiusi 110 insediamenti e 9.000 persone hanno avuto accesso ad alloggi e a percorsi di integrazione. L'obiettivo è chiudere definitivamente tutti i campi entro il 2017.
Tutti i progetti sono stati finanziati con fondi europei destinati all’integrazione dei cittadini rom: ma il nostro paese non ha mai fatto richiesta di quei fondi, preferendo sperperare milioni di euro per la politica di segregazione nei campi. Sarebbe il caso di cambiare prospettiva, anche qua.
Alessandro Capriccioli
* Alessandro Capriccioli, segretario di Radicali Roma è membro comitato promotore di Accogliamoci”, un'iniziativa promossa da Radicali Roma, Associazione 21 luglio, A buon diritto, Arci Roma, Cild, Possibile,Un ponte per, Zalab, Asgi.
Redattore Sociale
19 06 2015
I rom in agitazione: minacciano di barricarsi nelle baracche, quando ci sarà lo sgombero. A pochi giorni dallo spostamento, annunciato a più riprese dal comune di Cosenza, molti rom appartenenti alla comunità che vive sul lungo Crati si ribellano alla soluzione "tendopoli", trovata dall'amministrazione guidata dal sindaco Mario Occhiuto. "Ieri pomeriggio c'è stato il sopralluogo di una delegazione di rom rumeni, insieme all'associazione "Lav Romanò" e all'associazione "Scuola del Vento" che, insieme allo staff del sindaco, si sono recati alla tendopoli", racconta Luigi Bevilacqua, rom da tempo attivo nell'associazionismo Cosentino.
"Lo scontro più acceso - continua Bevilacqua -, c'è stato alla vista delle tende in cui i rom sgomberati dovrebbero vivere, a causa delle dimensioni ridotte e per il fatto che ci debbano vivere più famiglie. La richiesta della comunità rom è quella di ottenere una tenda per ogni nucleo familiare".
Intanto il giorno dello sgombero si avvicina. Le baracche disabitate sono state già demolite. E il Comune sta effettuando le prime opere di bonifica del territorio. La comunità è in fermento. "Vorremmo essere aiutati dall'Amministrazione a trovare una casa in affitto. Per noi non è facile!", affermano alcuni rom, che si sono già mossi per cercare un appartamento. Ma gli sono state chieste caparre esorbitanti. Anche fino a sette mesi di anticipo. "Siamo disposti a pagare un affitto" sostengono alcuni abitanti del campo, "ma abbiamo bisogno di trovare soluzioni economiche che riusciamo".
Il sindaco Mario Occhiuto. "Il campo rom è una baraccopoli sorta in una zona a forte rischio idrogeologico, dove ci sono stati vari incendi, a cui ho trovato soluzioni anche requisendo immobili delle ferrovie dello Stato - afferma il sindaco di Cosenza, Mario Occhiuto -. Devo sgomberare il Ferrhotel, a causa di un'ordinanza del Tar. E procederò anche con la baraccopoli di Vaglio Lise. Ho fatto più volte dei progetti per un campo attrezzato. L'idea era quella di riconvertire un'area industriale in un centro di valorizzazione della cultura rom. Ma i progetti sono stati entrambi bocciati dalla Regione Calabria, proprio perché era prevista la residenza dei rom. Le stesse associazioni hanno bocciato l'idea del campo attrezzato. Ma non è tutto. Sono costretto a sgomberare, per mettere in sicurezza le vite dei rom, a causa di un sequestro dell'area, da parte dell'autorità giudiziaria. Ho fatto un'ordinanza che presuppone un campo d'emergenza, per accogliere le persone sgomberate. Si tratta di un campo temporaneo. Con cucine comuni, bagni, docce. Ci sarà un controllo serio, non si potranno incendiare materiali tossici e sarà impossibile delinquere. Mentre oggi l'area del campo di Vaglio Lise è abbandonata a sé stessa". Il supporto ai neonati sarà dato nella tendopoli. Il Comune non ha trovato soluzioni alternative per i piccoli abitanti della baraccopoli.
Dopo le tende case in affitto. Il costo della tendopoli si aggirerà intorno alle 100 mila euro e la gestione dell'emergenza dovrebbe terminare dopo l'estate. "Ci sono due modi di affrontare questi problemi - conclude il sindaco Occhiuto -. O ci si gira dall'altra parte o si strumentalizza la cosa. Queste questioni portano sempre a scelte impopolari. Ecco perché nessuno vuole affrontarle". Per il dopo-tendopoli il sindaco ha preso l'impegno di aiutare i rom della comunità che saranno favorevoli, a trovare una casa in affitto. Si tratta di 400 persone, con regolare permesso di soggiorno, che il Comune supporterà in questo percorso di emancipazione.
Le associazioni e i rom. "Siamo d'accordo che la situazione sia insostenibile, e che per il bene della comunità rom sia necessaria una fuoriuscita dal campo. Ma in sinergia con quanto prevede la ‘Strategia Nazionale’ che vieta i campi, e prevede la condivisione della comunità nelle scelte". Lo sostengono "Scuola del Vento" e "Lav Romanò", associazioni presenti sul territorio, da anni. "Parlare di messa in sicurezza delle persone è un'ipocrisia, quando per dieci anni si è guardato il campo da lontano". Lo sostiene Maria Francesca D'Agostino, dell'associazione "Scuola del Vento", per anni presente nel campo con un presidio fisso. "Inoltre il sindaco dovrebbe spiegarci come mai ha programmato la costruzione di un villaggio attrezzato nell'area dell'ex mercato ortofrutticolo, che confina con il campo stesso", prosegue la D'Agostino. E termina: "I rom si sono integrati alla nostra mancanza di regole e di controllo, concessa perché c'era l'interesse alla costruzione di un eco-villaggio, nonostante i divieti della legge. Divieti che noi abbiamo sempre ribadito al sindaco".
L'"Agenda Rom". Nel 2012 un consorzio di più associazioni, insieme ai rom di Vaglio Lise, aveva presentato e consegnato al sindaco Occhiuto l'"Agenda Rom", che prevedeva la fuoriuscita graduale degli abitanti dalla baraccopoli di Vaglio Lise, attraverso la soluzione delle case in affitto. Ma il sindaco, all'epoca, cercava di far approvare il progetto di villaggio attrezzato, a più riprese bocciato dalla Regione Calabria. Forse, se si fosse tentato un percorso abitativo per i rom, già allora, la questione "tendopoli" non sarebbe mai nata. Ad oggi le associazioni "Scuola del Vento" e "Lav Romanò" si riservano di intervenire con tutti i mezzi leciti possibili, se l'Amministrazione continua a voler sgomberare il campo prima che i rom abbiano trovato una soluzione alternativa. E stanno pensando ad un'interrogazione parlamentare, mentre è già stato presentato un documento congiunto, insieme all'European Roma Rights Centre, in cui si denuncia la scelta della tendopoli come "modalità che sembra favorire la segregazione razziale".
I fondi. Dure critiche all'Amministrazione arrivano anche dal "MeetUp Cosenza Amici di Beppe Grillo", che punta il dito sulle somme spese, dal 2014, proprio per la bonifica del campo sotto sgombero. "Dopo l'incendio del campo, lo stato di necessità ha reso impellente l'acquisto di tende, per una ‘sistemazione logistica’ dei cittadini rom. 40 mila e 700 euro la prima somma spesa dal Comune", si legge nella nota del MeetUp. Seguita da una spesa di 43 mila seicento euro, per la bonifica dell'area dove sarebbe dovuto sorgere il "campo profughi". E per un'ulteriore bonifica dai detriti lasciati dall'incendio e la realizzazione di una doppia trincea, per impedire la costruzione di nuove baracche, altre 49 mila 600 euro. Il MeetUp Cosentino sottolinea l'affidamento diretto degli appalti, a ditte di fiducia. E critica l'ultima spesa del Comune, effettuata per comprare altre tende e brandine. La somma sotto la lente è di 47 mila 200 euro.
La risposta del sindaco è lapidaria: "Intanto che il campo c'è non lo si può lasciare sommerso dai rifiuti. Inoltre, la cenere e i rifiuti risultanti da un incendio possono essere nocivi e pericolosi". Il MeetUp chiede ancora: "Non sarebbe stato più logico procedere alla previsione di un progetto di integrazione della cultura Rom da finanziare con fondi europei, magari fondi FSE? Che fine faranno le persone senza regolare permesso di soggiorno, ma che mandano i figli a scuola e rispettano le regole della comunità?".
Giulia Zanfino