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Carta Onu su violenza contro le donne, l'Italia e Bersani

  • Venerdì, 22 Marzo 2013 07:52 ,
  • Pubblicato in Flash news
Antiviolenza
22 03 2013

In un paese vicino Frosinone, l’altro ieri un un uomo di 57 anni ha inseguito con l’auto la sua ex, anche lei in macchina, speronandola fino a farla schiantare contro un muro e poi, con un’ascia, ha frantumato il vetro dello sportello per colpire la donna che invece è riuscita a ripartire e scappare; mentre rimangono ancora gravi le condizioni della donna ritrovata col cranio fracassato a Ferentino, massacrata dal suo convivente tre giorni fa. L’8 marzo la Casa delle donne di Bologna ha pubblicato i suoi dati, per cui i femminicidi nel 2012 sarebbero stati 124 in Italia, un numero che si alza se vengono messe nel conto anche le vittime collaterali di queste uccisioni, numeri e dati che vengono raccolti dalle stesse associazioni attraverso la stampa, e quindi non ufficiali, perché il nostro ministero degli interni non li raccoglie come dovrebbe.

Pochi giorni fa si è conclusa a New York la 57a “Commission on the Status of Women” delle Nazioni Unite dove 193 paesi del mondo hanno firmato una carta storica contro la violenza sulle donne che seppur non vincolante è un altro tassello nel contrasto al femminicidio. Nel testo di 17 pagine si condannano la violenza contro donne e bambine, chiedendo maggiore attenzione e accelerazione nel prevenire e rispondere al fenomeno, dando priorità alla creazione di una rete di servizi a sostegno delle donne, la fine dell’impunità dei responsabili, il diritto alla salute sessuale e riproduttiva, il diritto a uguali diritti umani per uomini e donne.

Ma per capire a che punto siamo, è bene far sapere che a questa carta, che ribadisce anche concetti già presenti in altre raccomandazioni internazionali, ci sono state forti obiezioni da parte di paesi come Egitto, Iran, Sudan, Arabia Saudita, Qatar, Honduras, mentre la Libia non l’ha proprio sottoscritta. Le resistenze si sono concentrate sul passo in cui si chiariva che la violenza contro le donne non può essere giustificata da “nessun costume, tradizione o considerazione religiosa”, un concetto che ha fatto infuriare l’Egitto, e ha provocato la rottura della rappresentante egiziana alla Commission, Mervat Tallawy, che ha replicato ai Fratelli Musulmani, firmando la carta e dichiarando che “La solidarietà internazionale è necessaria per dare i poteri alle donne e prevenire quest’aria di repressione”.

Tra i punti considerati inammissibili da alcuni paesi islamici c’è la “piena uguaglianza nel matrimonio” che consente di denunciare il coniuge violento, e la garanzia di libertà sessuale per le ragazze con l’accesso ai contraccettivi. A esprimere contrarietà però non sono stati soltanto questi paesi, perché l’alleanza contro le donne è uno schieramento intereligioso che ben si trova unito, se necessario, contro il nemico comune. A trovare sconveniente il passaggio sul diritto all’aborto e alla salute riproduttiva delle donne sono stati anche il Vaticano (che ha un seggio all’ONU come Stato non membro osservatore permanente), la Russia e l’Iran che, come hanno già fatto nell’incontro di Rio+20 l’anno scorso, volevano cassare questa parte.

I dati dell’Onu indicano che 7 donne su 10 subiscono violenza nel corso della vita e 603 milioni di donne vivono in nazioni che non la considerano un reato. I giornali italiani hanno parlato pochissimo di queste due settimane internazionali di lavoro sulla violenza (e quasi nulla su questo importante documento internazionale contro la violenza sulle donne), malgrado l’Italia fosse presente sia a livello istituzionale che con Ong che hanno presentato i vari aspetti del fenomeno nel nostro Paese. A questi incontri, che sono durati dal 4 al 15 marzo, la ministra del lavoro Elsa Fornero, con delega alle pari opportunità, ha fatto un discorso dove ha evidenziato quello che il nostro Paese, con il governo Monti, ha fatto.

Ha parlato della violenza domestica e del femminicidio citando i dati della Casa di Bologna, la Convenzione di Lanzarote sui minori adottata da noi, il mandato che ha dato all’Istat per la raccolta di nuovi dati sulla violenza, la firma alla Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica (Istanbul 2011) – a oggi ratificata solo da Turchia, Portogallo e Albania – ma soprattutto ha elencato una serie di misure che il suo governo avrebbe attuato per contrastare il fenomeno: ma quali? Fornero a New York ha detto pubblicamente che “A livello nazionale, l’Italia ha rafforzato i meccanismi di prevenzione alla violenza, garantito adeguate strutture di assistenza alle vittime e ai loro bambini, accesso a servizi specializzati per donne abusate, e provveduto alla sicurezza e al supporto di cui hanno bisogno queste donne per rompere la spirale della violenza”, specificando che il governo, su questo, ha lanciato “specifiche inziative nel 2012”. Ma davvero? Il governo Monti ha fatto questo e noi non ci siamo accorte di nulla?

Oltre alle Ong, che hanno dato un quadro più realistico della situazione italiana, alla 57a Commissione dell’UN, ha parlato Susanna Camusso, Segretaria Generale della Cgil, dicendo chiaramente che “le azioni di prevenzione, contrasto e punizione intraprese dai governi e da importanti attori istituzionali non sono state sufficienti a frenare la violenza fino ad ora”. Per chi ha partecipato direttamente ai lavori della 57a Commission, come Barbara Spinelli – avvocata penalista di Giuristi democratici esperta di femminicidio – “la sensazione è stata che mentre per l’Italia erano presenti molte Ong, per altri paesi le associazioni di donne erano accompagnate da magistrate e affiancate anche da rappresentati istituzionali, per dare un focus a 360 gradi del fenomeno. Quello che mi ha positivamente sorpresa – continua – è stato vedere che alcuni paesi avevano instaurato una vera alleanza tra le istituzioni e le attiviste, e l’ho visto soprattutto nelle donne austriche, norvegesi e zambesi.

Nel panel norvegese, per esempio, la ministra (Inga Marte Thorkildsen, ndr), ha fatto un discorso molto efficace sulle dinamiche di discriminazione di genere e di come sia importante la lotta al pensiero patriarcale, che permette la violenza contro le donne, anche nei paesi con avanzate politiche sulle pari opportunità”. Una situazione ben diversa dall’Italia, dove questa elaborazione così avanzata da parte delle istituzioni non c’è, e non c’è neanche l’umiltà di ascoltare i veri bisogni delle donne e dei loro figli, attraverso la voce di chi ci lavora tutti i giorni e che, sapendo bene quello che succede nella realtà, ha anche gli strumenti adatti per pensare a una soluzione concreta.

Dieci giorni fa Pierluigi Bersani ha presentato gli 8 punti con cui spera di fare un governo con il M5s, e al punto 7 indica una legge contro il femminicidio. Riprendendo il filo di questo discorso, e di tanti che già abbiamo fatto, mi chiedo perché dobbiamo aspettare di discutere e far passare i tempi di una legge, quando invece qui in Italia servono misure e politiche di prevenzione, tutela e di protezione efficaci e immediate. Perché non approfittare della scadenza del Piano nazionale antiviolenza varato dalla ex ministra delle pari opportunità, Mara Carfagna, che è appena scaduto e che andrebbe rivisto e rimesso a punto, come suggerisce anche la Convenzione nazionale “No More” contro la violenza sulle donne.

Come riporta il documento dell’Onu “Il modo migliore per porre fine alla violenza contro le donne è quello di impedire che accada” ma senza aspettare i tempi di una legge che in Italia forse non servirebbe neppure se le istituzioni applicassero bene quelle che già ci sono (magari con qualche ritocco). Una bella mano la darebbe invece la ratifica della Convenzione di Istanbul, e la reale applicazione da parte delle isituzioni italiane delle raccomandazioni Cedaw e quelle della Special Rapporteur, Rashida Manjoo, e ora anche con il recepimento della nuova Carta dell’Onu sulla violenza. Le indicazioni per un reale contrasto alla violenza sulle donne non mancano, anzi abbondano, e vanno applicate prima che muoiano altre donne, ascoltando attentamente quello che la società civile ha da dire: lo ha detto alle Nazioni Unite, non ha certo problemi a esprimersi chiaramente con le istituzioni del proprio Paese.

Proprio in questi giorni è in corso al Consiglio dei diritti dell'uomo di Ginevra la conferenza annuale dell'Onu sulla violenza contro le donne, in cui ci si batte perché venga riconosciuta come violazione di un diritto umano, quello di vivere senza minacce. ...

8 marzo: a che punto sono le donne italiane

  • Venerdì, 08 Marzo 2013 09:40 ,
  • Pubblicato in Flash news
Antiviolenza
07 03 2013

    (Piattaforma della relazione sulle donne italiane di Luisa Betti per il Comune di Parigi, di cui è stata fatta sintesi nell’intervento del 6 marzo all’Hotel de Ville de Paris per l’inaugurazione della Giornata Internazionale delle donne, Festa dell’8 marzo, al Convegno “Donne e poteri” organizzata dalla vicesindaca Fatima Lalem, assessora alle pari opportunità. Un ringraziamento particolare a Tiziana Jacoponi)

    Nelle ultime elezioni parlamentari italiane, le donne sono balzate di 10 punti, passando alla Camera dal 20,2 del 2008 al 30,8 del 2013, mentre a Palazzo Madama le cifre parlano di una crescita dal 19% al 30%. I partiti con la percentuale di donne più alta sono il Partito Democratico (41%) e il Movimento 5 stelle (38%), ai quali fanno seguito Sel con il 28%, il Pdl e i montiani con il 20%, la Lega con il 13,5% (dati “Centro studi elettorali”). Nelle Regioni il risultato delle elette invece non è stato brillante. Nel Lazio sono passate 9 donne su un totale di 50 eletti di cui 4 donne entrate con il listino bloccato collegata al nome del candidato Zingaretti, 4 elette nel M5s e una, Olimpia Tarzia, nella lista Storace (assessora contestata per la proposta di legge contro i consultori  nella precedente legislatura regionale).

In Lombardia sono state elette 15 donne su 80: una tra i 19 eletti del Pdl, tre per la Lega, tre per il M5s, due per il Pd, una per il Patto civico per Ambrosoli, 4 per la lista civica per Maroni e una per il Partito dei pensionati. In Molise, su 20 consiglieri, sono state elette 2 donne, una Pdl e una M5s, a cui si aggiunge una terza dell’Udeur che è rientrata per la doppia elezione di un uomo. In Italia si sta ragionando anche su una donna Presidente della Repubblica – il mandato presidenziale dovrà essere rinnovato a maggio – e i nomi più gettonati sono Anna Finocchiaro (Pd) ed Emma Bonino (radicale il cui nome è stato fatto in questi giorni come possibile accordo con i grillini per la Presidenza del consiglio), anche se voci di Palazzo dicono che solo se le forze politiche non si metteranno d’accordo su un maschio, allora uscirà fuori un nome femminile.

    Adesso l’Italia però non ha un governo perché nessuna forza politica ha la maggioranza al Senato. Il fatto che il centro sinistra italiano abbia la maggioranza alla Camera ma non riesca a trovare accordi per averla al Senato, ha messo la situazione italiana in stallo: un impasse per cui non possiamo verificare in questo momento se il cresciuto numero delle donne in Parlamento porterà avanti politiche di sostegno alle donne stesse. Il problema è infatti che non tutte le donne all’interno dei diversi schieramenti politici sono a favore delle politiche delle donne, perché non basta essere di sesso femminile per essere automaticamente dalla parte giusta.

    La vera incognita in questo senso è il Movimento 5 stelle che in questo momento è il primo partito in Italia (il secondo è il Pd e poi il Pdl), che nelle sue fila raccoglie componenti talmente variagate da apparire su alcuni punti anche contraddittorie. Nel blog di Grillo (leader del M5s), su cui chiunque può fare una proposta che poi viene votata sul web, appare l’inquietante idea di riaprire le “case di tolleranza” per le prostitute – cancellate in Italia con la legge Merlin – fatta proprio da una donna. Una settimana fa Max Bertoni del M5s, candidato sindaco a Viareggio in Toscana, ha lanciato sulla sua bacheca di facebook il messaggio “Odio con tutto il cuore le femministe”, a cui è seguito una sfilza di commenti dei suoi seguaci che approvavano e promettevano di votarlo per questo. Nel Comune di Mira (vicino Venezia) Roberta Agnoletto, assessora incinta, si è vista togliere le deleghe dal sindaco, il grillino Alvise Maniero, proprio a causa della sua gravidanza.

Sul sito di Grillo, le cittadine in movimento aprono la loro dichiarazione d’intenti con la frase: “Le donne italiane lavorano, sono madri di famiglia, amministrano la casa e si prendono cura dei loro uomini”, con riferimenti a stereotipi che le stesse italiane rifiutano. Ma la vera impronta maschilista del M5s, è stata dimostrata prima delle elezioni, ovvero quando la consigliera grillina a Bologna, Federica Salsi, è stata espulsa dal movimento per aver parlato in tv senza il consenso del suo leader: espulsione avvenuta con una lettera contenente frasi sessiste, a cui è seguito un vero e proprio linciaggio mediatico violento e discriminatorio con offese, calunnie, minacce, lanciate dagli stessi appartenenti al movimento di cui lei faceva parte.

    Tutto questo succede in Italia mentre nelle aule di tribunale si consuma il processo sul caso Ruby con imputato Silvio Berlusconi, che in queste ultime elezioni ha avuto una rimonta inaspettata: un uomo che continua ad essere votato da una parte consistente degli italiani, pur avendo a suo carico scandali e un processo come questo, su cui il Pm Antonio Sangermano ha detto che “Le cene ad Arcore erano un collaudato sistema prostitutivo per il divertimento di Berlusconi”, e dove in cambio di favori sessuali si poteva avere soldi, immobili, carriera tra cui anche quella politica. Un uomo che ha tirato fuori il peggio della cultura machista italiana e che le donne speravano di aver completamente archiviato con la sua uscita dalla scena politica, e che invece si è ripresentato con tutto il suo “bagaglio”, rispolverando poco prima delle elezioni anche le solite battute sessiste – fatte in pubblico e davanti a una folla che lo ascoltava divertito – con apprezzamenti pesanti sulla donna che presentava l’evento, Angela Bruno, la quale ancora adesso subisce pressing per questo avvenimento.

    Per ritornare sul tema della rappresentanza delle donne nelle istituzioni italiane, è importante ricordare che nei precedenti governi le ministre sono state 6 per il governo Prodi del 2006; 4 nell’ultimo governo Berlusconi; 3 nel governo tecnico di Monti. Nella fattispecie uno dei peggiori ministeri dell’ultimo governo Berlusconi è stato quello della pubblica istruzione guidato dalla ministra Maristella Gelmini, che ha distrutto l’istruzione pubblica, che in Italia era ancora una delle poche cose di buon livello, con tagli che hanno causato danni enormi: classi di bambini tagliate e raggruppate con età diverse, mancanza di tempo pieno, tagli di ore di lezioni con programmi scolastici invariati. Misure che non solo hanno comportato tagli di posti di lavoro per chi insegna, che in Italia sono per la maggior parte donne, ma anche un disagio per i ragazzi e le ragazze che si vedono costretti a performance per lo svolgimento dello stesso programma in meno tempo, con un aumento della nozione a scapito della creatività e del talento, ma anche con più sforzo fisico-mentale.

    Un’altra dimostrazione che le donne in quanto tali non bastano, perché la carta vincente sono quelle che si prendono in carico dei problemi delle donne, è il fatto che la componente femminile che raggiunge posti di comando in Italia, è per la maggior parte cooptata da uomini, e non solo per favoritismo o in cambio di altro, ma anche perché capaci a svolgere un duro e preciso lavoro di esecuzione. Nell’ultimo governo, Monti ha chiamato per il dicastero del lavoro Elsa Fornero, dandole anche la delega alle pari opportunità, e rispetto a questo incarico è stessa lei che, in un convegno a Torino contro la violenza di genere, ha sottolineato come quando ci sono problemi spinosi da risolvere gli uomini “chiamano noi”, ovvero le donne che sono più capaci nello svolgere politiche maschili di un certo tipo. La ministra Fornero l’anno scorso, pur avendo delega alle pari opportunità, si è limitata ad alzare il dito contro il femminicidio, malgrado in Italia fosse in atto una campagna di informazione e di indignazione mai vista nei precedenti anni, che chiedeva misure immediate per la protezione e la tutela delle donne contro la violenza.

Un problema che ha ricompattato i movimenti delle donne ma su cui Fornero ha fatto solo due cose: ha stanziato una raccolta per avere nuovi dati dall’Istat, e ha firmato a nome del governo italiano la Convenzione di Istanbul (“Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza sulle donne e la violenza domestica”) senza però la ratifica (il che equivale a nulla di concreto). Due buone misure ma non sufficienti per il potere che la ministra aveva nell’intervenire direttamente, avendo anche la possibilità di interpellare le altre due ministre donne – Anna Maria Cancellieri agli Interni e Paola Severino alla Giustizia – ministeri chiave con cui si sarebbe potuta avviare una concertazione per un’azione di contrasto al femminicidio immediata.

Fornero invece si è concentrata sul lavoro, in cui ha tolto le dimissioni in bianco (che serivano a liquidare una donna nel momento in cui fosse rimasta incinta), ma ha distrutto la parte di welfare essenziale per far accedere le donne all’occupazione togliendole dagli impegni di cura in famiglia (bambini, anziani), e ha portato le pensione a 67 anni per uomini e donne, uccidendo definitivamente anche la possibilità di accudimento della prole da parte dei nonni e stroncando l’accesso al lavoro soprattutto per le famiglie monoparentali (le madri separate che in Italia sono le più povere).

    Il livello di partecipazione femminile al lavoro, tra i 34 paesi che aderiscono all’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse), l’Italia è al terzultimo posto, dopo il Messico e la Turchia, con il 51% contro una media del 65%. Il lavoro delle italiane non è stato colpito dalla crisi come quello maschile solo perché si tratta per lo più di lavoro precario, sottopagato, al nero, part time, compresi i lavori che gli uomini non fanno. Se  si pensa che meno del 30% dei bambini accede alla scuola d’infanzia, ci sono moltissime donne a cui viene impedita la possiblità di lavorare a priori e alle quali  viene invece di nuovo richiesto il lavoro di cura (gratis) su cui in piena crisi economica, lo Stato risparmia. Tutto ciò ha a che vedere con la discriminazione di genere per cui se una donna è culturalmente relegata a un ruolo di subalternità, ribadita da sfruttamento, sopraffazione e violenza, ci sarà una minore competizione femminile su un potere da ripartire in maniera equa e democratica (nel mondo siamo più della metà degli esseri umani).

    L’esasperazione di stereotipi che nei 20 anni di Berlusconi ha fatto breccia nella testa degli italiani, ha tirato fuori il peggio di un Paese che si è sempre contraddistinto per il suo maschilismo malgrado le grandi lotte femministe. La cultura machista e discriminatoria in Italia, come nel mondo, è una chiave che in un momento di crisi potrebbe risolvere molte contraddizioni al potere maschile, in quanto è un accesso privilegiato per il risparmio (si cancellano le spese in favore dei diritti alle donne costrette a tornare nei ruoli di “angelo del focolare” con ulteriore risparmio nel welfare), rendendo così metà della popolazione meno concorrenziale nel mondo del lavoro (che è già poco) e del potere (che gli uomini non sono disponibili a lasciare).

    Contro gli stereotipi però si è mossa la sociatà civile e i movimenti delle donne che in Italia sono forti e combattivi, e che in questi 30 anni hanno continuato a lavorare in silenzio, cercando di risolvere concretamente i problemi delle donne, vista la cecità delle istituzioni. Donne preparate professionalmente e in grado di competere con le istituzioni stesse, hanno creato associazione, fondazioni, reti, gruppi, su tutto il territorio nazionale e in campi diversi tra cui la violenza, il lavoro, la cultura, il sapere, ecc. La manifestazione del 13 febbraio 2011 in cui un milione di italiane hanno detto no alla cultura maschilista dell’era berlusconiana, è stata l’occasione per far incontrare di nuovo questi gruppi e questi movimenti, per una lotta comune malgrado le differenze. Le italiane non hanno mai smesso di fare ma hanno ricominciato a parlare ad alta voce due anni fa perché esasperate, e da quel momento hanno cercato di creare piattaforme di lotta per unire le forze su punti precisi di condivisione: un’onda che nessuno, oggi, potrà più fermare.

Nel 2011 un gruppo di associazioni riunito sotto il nome di “Piattaforma Cedaw”, ha messo a punto un “Rapporto Ombra” descrivendo la reale condizione delle donne in Italia in tutti i campi (lavoro, salute, violenza-femmincidio, tratta, ecc.), ed elencando tutte le mancanze dell’Italia in seno alla “Convenzione per l’eleminazione della discriminazione contro le donne” delle Nazioni Unite (Cedaw), ratificata dall’Italia nel 1981, e portandolo al palazzo di vetro di New York per sottoporlo al Comitato di controllo della Cedaw. L’effetto è stato che il governo italiano, che all’epoca era quello di Berlusconi, è stato richiamato per dare chiarimenti in merito e quello che neanche gli italiani sanno, è che questo governo ha fatto una pessima figura. Dopo questo incontro, a gennaio del 2012, sono venute in visita in Italia Violeta Neubauer, del Comitato Cedaw, e la special rapporteur dell’Onu sulla violenza contro le donne, Rashida Manjoo. Sia la Cedaw che la Special rapporteu, hanno prima verificato e poi stilato raccomandazioni per l’Italia che a luglio dovrà dire cosa ha fatto in merito a ciò che veniva richiesto.

    I movimenti delle donne italiane hanno preso in mano i contenuti di questo lavoro e hanno cominciato a promuovere campagne di divulgazione, ed è così che in Italia, quest’anno, è nata la campagna contro il femminicidio, che ha avuto un riscontro fortissimo sui media anche grazie all’impegno delle giornaliste che si sono battute nelle redazioni per una corretta informazione su questo fenomeno, da non comprendersi come un mero fatto di cronaca nera ma come punta di un iceberg chiamata violenza domestica. Su questo fertile terreno di movimenti diversi, è nata anche la Convenzione nazionale contro la violenza maschile sulle donne – femmincidio “No More”, che ha avuto come promotrici diverse associazioni nazionali e che una volta presentata, ha avuto un riscontro di adesioni inaspattato in tutta Italia, sia di uomini che di donne.

E ci sono stati inetri Comuni che hanno firmato la “No More”, ma anche giudici, giornlaisti, parlamentari e personaggi illustri. Quello sulla violenza contro le donne è stato un dibattito che ha riportato a galla tutto quello che le donne hanno fatto nel corso di questi anni, un bagaglio che può essere collocato in un percorso politico e culturale a sinistra, collegato non solo a rivendicazioni sui diritti – rappresentanza, salute, violenza, aborto, lavoro, autodeterminazione, ecc. – ma anche sulla lotta agli stereotipi che sono la base della discriminazione delle donne.

    In questi giorni la “Piattaforma Cedaw”, la Convenzione “No More” e molte altre Ong di donne italiane, sono presenti alla 57a “Commission on Stauts of Women” delle Nazioni Unite a New York, che fino al 15 marzo si sta occupando di come liberare le donne e le ragazze di tutto il mondo dalla violenza-femminicidio. Mentre in Italia, come già successo l’anno scorso per la Giornata internazionale contro la violenza (25 novembre), i movimenti delle donne hanno preparato un mese intero di eventi, incontri e manifestazioni in cui le mimose si vedranno poco.

La sensazione è che qualcosa si sia alzato in piedi, perché tutte le donne del mondo vogliono vivere diversamente, libere dalla violenza, e vogliono contare nelle decisioni come è giusto che sia, mentre donne di ogni età, ma anche qualche uomo, sono ancora disposte a lottare per altre donne. Oggi in Italia la percezione è che le donne non abbiano più voglia di lasciare che le cose vadano in direzione opposta ai loro diritti, qualsiasi sia la forza politica che è al governo: se abbattiamo le barriere e ci uniamo tutte, sento che questa volta noi vinceremo.

Basta femminicidi

  • Sabato, 30 Giugno 2012 06:09 ,
  • Pubblicato in Lettere
di Adriana Gulizia
29 giugno 2012

Il 25 giugno 2012 la Relatrice Speciale contro la violenza sulle donne, Rashida Manjoo, ha presentato a Ginevra, nell'ambito della 20ma sessione del Consiglio sui Diritti Umani dell'ONU, il primo Rapporto tematico sugli omicidi basati sul genere, femminicidi e femmicidi. Dice il rapporto: “queste morti non sono isolati incidenti che arrivano in maniera inaspettata e immediata, ma sono l’ultimo efferato atto di violenza che pone fine a una serie di violenze continuative nel tempo”.
di Luisa Betti, Antiviolenza
27 gennaio 2012 
 
La relatrice speciale delle Nazioni Unite sulla violenza di genere in missione a Roma per esaminare l'inquietante "caso Italia". La questione della violenza domestica e le raccomandazioni al governo.

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