Il Fatto Quotidiano
15 09 2014
di Fabio Marcelli
Che il cambiamento climatico sia un problema serio motivato dalla diffusione dei gas ad effetto serra nell’atmosfera, sono rimasti oramai in pochi a contestarlo. Oltre alle lobby sconsideratamente interessate solo ai loro profitti a scapito dell’ambiente planetario e delle future generazioni, qualche politico irresponsabile, in genere ultraliberista e di estrema destra (fra gli altri quel Nigel Farage inopinatamente prescelto da Grillo e Casaleggio come proprio partner europeo: sarebbe interessante che ci fosse al riguardo un minimo di discussione nel Movimento Cinque Stelle, se si vuole davvero che tale Movimento divenga, come ho sempre auspicato, motore di un’alternativa che deve avere proprio sulle questioni ambientali posizioni precise e non subalterne a gruppi d’interesse).
Anche se sono rimasti in pochi a contestarlo, altrettanto pochi sono coloro che fanno qualcosa di concreto e serio per contrastare il cambiamento climatico. Posizioni serie e concrete sono ad esempio quelle assunte dalla Bolivia, che vengono illustrate dal suo delegato alle Nazioni Unite sui problemi ambientali René Orellana nel suo contributo al nostro (oltre che mio di Irene Romualdi e Marianna Stori) recente libro Boliva: nuove frontiere del diritto e della politica. Scrive Orellana, fra le altre cose, quanto segue: “Al fine di costruire una nuova visione dello sviluppo, come mezzo e non come fine, dobbiamo lavorare su una comprensione diversa della relazione tra l’essere umano e la natura, assumendo che entrambi, insieme, devono essere concepiti come il centro dell’implementazione di misure di sviluppo, prendendo coscienza del fatto che lo sviluppo non è un fine ma è appunto uno strumento. Lo sviluppo deve essere integrale ed olistico, deve cercare l’armonia tra gli esseri umani e la natura, promuovendo al contempo il soddisfacimento delle condizioni materiali e spirituali della popolazione. Lo sviluppo è un mezzo, non un fine, il fine è il vivir bien per godere appieno della felicità“.
Alla questione del cambiamento climatico è anche dedicato un recente appello promosso da ventuno organizzazioni presenti in vari Paesi, che rappresentano cento milioni di persone, appello ripreso da Guido Viale sul manifesto di qualche giorno fa (dal cui articolo desumo il testo), le quali chiedono che ci si impegni
1) a contenere le emissioni annue climalteranti a 38 miliardi di tonnellate equivalenti di CO2 entro il 2020, per impedire che la temperatura del pianeta aumenti di più di 1,5 gradi;
2) a lasciare sotto terra o sotto il fondo dei mari almeno l’80% delle riserve fossili conosciute;
3) a mettere al bando tutte le nuove esplorazioni ed estrazioni di combustibili fossili (e di uranio), comprese, a maggior ragione, quelle effettuate con il fracking e il trattamento delle sabbie bituminose; a soprassedere alla costruzione di nuovi impianti di trattamento e trasporto dei fossili, compresi i gasdotti…
Il quarto punto 4) riguarda la promozione delle fonti energetiche rinnovabili (Fer) in forme sottoposte a un controllo pubblico o comunitario (cioè «partecipato»)…
il quinto il sesto punto impegnano: 5) a promuovere la produzione e il consumo locali di beni durevoli, evitando di trasportare da un capo all’altro del mondo quello che può essere fabbricato in loco;
6) a incentivare la transizione a una produzione agroalimentare di prossimità. Il settimo e l’ottavo punto riguardano
7) l’obiettivo “rifiuti zero” (centrale nei territori massacrati da criminalità ambientale e malgoverno), un’edilizia a basso consumo energetico e
8) un trasporto di persone e merci con sistemi di mobilità pubblici e condivisa.
Il punto 9) raccomanda la creazione di nuova occupazione finalizzata alla ricostituzione degli equilibri ambientali, sia nel campo delle emissioni climalteranti che in quello dell’assetto dei territori.
Sono le “mille piccole opere” in campo energetico, nella manutenzione dei suoli, nei trasporti, nell’edilizia e in agricoltura in cui dovrebbe articolarsi un piano di lavori pubblici per creare subito un milione di posti di lavoro in Italia e 6 milioni in Europa….Il decimo punto 10) impegna a smantellare industria e infrastrutture militari per ridurre le emissioni prodotte dalle guerre e destinare a opere di pace le risorse risparmiate. Non ci sono solo gli F35 da bloccare (cosa sacrosanta); c’è tutta l’industria e l’occupazione belliche da riconvertire: le opportunità di impieghi alternativi non mancherebbero”.
L’appello continua indicando le false soluzioni e le cose da evitare ad ogni costo, che sono ovviamente quelle sulle quali invece puntano governi e potere economico, come dimostrano da ultimo le vicende del Tap. Faremo in tempo a fermarli?
Il Fatto Quotidiano
09 09 2014
Le emissioni di gas serra hanno raggiunto nel 2013 livelli record nell’atmosfera e negli oceani. Lo riferisce l’Organizzazione meteorologica mondiale (Omm), agenzia delle Nazioni Unite, spiegando che si è registrato il maggior incremento di CO2 dal 1984. Secondo i valori riportati dal bollettino, la concentrazione di CO2 nell’atmosfera è arrivata alla soglia di 396 ppm, che corrispondono al 142% rispetto al livello preindustriale, mentre metano e ossido di azoto sono rispettivamente il 253 e il 121% rispetto ai livelli prima del 1750. Per effetto dei gas serra, la capacità della Terra di trattenere la radiazione solare invece di disperderla nello spazio è aumentata del 34% rispetto al 1990. Sempre secondo il bollettino dell’organizzazione delle Nazioni Unite, deforestazione e acidificazione degli oceani stanno limitando la capacità della biosfera di reagire alle emissioni umane.
In altre parole, il recente aumento deil 2% delle emissioni dovute ai combustibili fossili non è sufficiente a spiegare il record raggiunto, mentre studi preliminari ancora non confermati indicano che potrebbe essere diminuita la capacità della biosfera, che normalmente assorbe il 55% delle emissioni di CO2, di rimediare ai danni dei combustibili. La capacità degli oceani di assorbire il gas, ad esempio, è ora il 70% rispetto all’epoca preindustriale, e si rischia di perderne un altro 20% entro la fine del secolo. Gli oceani, spiega il rapporto, al momento assorbono 4 chilogrammi di CO2 per persona al giorno. Il tasso di acidificazione osservato, che è un effetto dell’aumento del livello di anidride carbonica nell’atmosferica e che a sua volta diminuisce la capacità di assorbimento, è però il più alto mai visto negli ultimi 300 milioni di anni. “Sappiamo con certezza che il clima è in procinto di cambiare a causa dell’uomo – spiega il segretario generale dell’Omm Michel Jarraud – e che i fenomeni meteorologici stanno diventando sempre più estremi a causa delle nostre attività”.