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Amnesty International
10 07 2015

In merito alla decisione del sindaco di Venezia di non distribuire alle scuole per l'infanzia della città libri messi a disposizione dalla precedente amministrazione comunale, il presidente di Amnesty International Italia Antonio Marchesi ha rilasciato la seguente dichiarazione:

"È apparentemente una buona notizia che il sindaco di Venezia, forse anche in considerazione delle perplessità espresse da molti, abbia ritenuto opportuno svolgere un ulteriore approfondimento sulla questione dei libri non distribuiti alle scuole materne della sua città.

Tra ciò che il sindaco dovrebbe approfondire c'è sicuramente il fatto che il pluralismo e la diversità sono espressioni di una visione nient'affatto 'personalistica' come egli ritiene, bensì universalistica, basata sui diritti umani, che come tale va sempre garantita.

Dietro l'angolo di queste e altre dichiarazioni di esponenti delle istituzioni si palesa ormai costantemente l'idea che parlare di discriminazioni basate sull'orientamento sessuale o l'identità di genere sia, soprattutto in ambito scolastico, qualcosa che va impedito e che nasce da quella che il sindaco di Venezia chiama 'arroganza culturale'.

È un'idea pericolosa e intollerante, che rischia nel prossimo anno scolastico di rendere ancora più difficile la realizzazione dei progetti educativi di Amnesty International finalizzati a promuovere il pieno riconoscimento e rispetto dei diritti umani fondamentali che, in quanto universali e indivisibili, devono essere uguali per tutte le persone, incluse le persone lesbiche, gay, bisessuali, transessuali e intersessuate.

La speranza è, dunque, che i libri in questione (diversi dei quali sono pubblicati dalle migliori case editrici per l'infanzia, come Babalibri, Lo Stampatello, Fatatrac, con le quali Amnesty International Italia collabora da anni) siano rimessi tutti - e non solo qualcuno - tempestivamente in circolazione.

A differenza di quanto ritiene il sindaco di Venezia, non esistono forme di discriminazione, come quella 'fisica, religiosa o razziale', per contrastare le quali è giusto svolgere attività educativa, e forme di discriminazione come quella basata sull'orientamento sessuale o l'identità di genere su cui è preferibile tacere".

Global Project
08 07 2014

Smontati gli uffici del Magistrato alle Acque - A Bologna contestato evento della "Garanzia giovani”.

La mobilitazione in Laguna conquista una delegazione che consegna le richieste dei movimenti al Governo. Il corteo prosegue occupando uno dei "covi della corruzione a favore delle grandi opere" - In Emilia attivisti e precari bloccano convegno sulla "Youth Guarantee”.

È sbarcato per la prima volta in Laguna, dopo l'esplosione dello scandalo che ha rivelato la vastità del fenomeno di corruzione legato al progetto Mo.S.E., il premier Renzi per partecipare al Digital Venice 2014, primo appuntamento della Presidenza italiana dell'Unione Europea, dedicato alle nuove tecnologie in rete.

Ad accoglierlo è stata la mobilitazione di chi in questi anni ha lottato contro il sistema politico-affaristico che ha imposto a Venezia un'opera costosissima, inutile e devastante per l'ecosistema lagunare, l'iniziativa di chi oggi si mobilita contro le grandi navi.

Tante persone, cittadini veneziani, attivisti dei centri sociali, occupanti di case si sono ritrovati in presidio all'Arsenale, dando vita ad un corteo non autorizzato che ha superato lo schieramento di polizia per raggiungere l'ingresso dell'area dove si trovava Renzi e ottenendo che una delegazione fosse ricevuta dallo staff della Presidenza del Consiglio dei ministri per consegnare la piattaforma di rivendicazioni dei movimenti: superamento del mostro giuridico rappresentato dalla "concessione unica" per le opere di salvaguardia, scioglimento del Consorzio Venezia Nuova, il pool di imprese private motore della corruzione, immediata sospensione dei cantieri del Mo.S.E. alle bocche di porto, indipendente e rigorosa verifica tecnico-scientifica delle opere già realizzate e del progetto da realizzare.
Una mobilitazione per affermare che quanto avvenuto a Venezia, e tardivamente portato alla luce dalle inchieste della Magistratura, non è solo un problema di responsabilità penali individuali, le cosiddette "mele marce", ma è il risultato strutturale di un sistema finalizzato all'imposizione delle "grandi opere" sulla testa delle comunità locali.

Ed è questo sistema che deve essere smantellato. Per questa ragione, dopo l'incontro tra la delegazione dei comitati e lo staff di Palazzo Chigi, la mobilitazione è proseguita al ponte di Rialto con l'occupazione della sede del Magistrato alle Acque, il braccio operativo in Laguna del Ministero per le Infrastrutture, l'organismo che doveva dirigere e controllare le attività del Consorzio Venezia Nuova, ma che è in realtà risultato "a libro paga" della lobby di imprese coinvolte nel sistema Mo.S.E.. Ne sono stati smontati e impacchettati gli uffici, per comunicare che è ormai arrivato il momento dello "sfratto esecutivo" per uno dei covi della corruzione. E per ribadire la richiesta che poteri, competenze e risorse per la salvaguardia, finora gestiti dal Magistrato, siano trasferiti alla città di Venezia.

Sempre in mattinata, a Bologna, è stato invece bloccato l'evento tenutosi in Sala Borsa dal titolo "La garanzia giovani parte. Con le imprese", con un intervento di studenti e precari che rifiutano il modello di sviluppo insito nei programmi di Renzi e Poletti, che aumenta precarietà e disoccupazione.

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Quando la corruzione è alto tradimento

  • Venerdì, 06 Giugno 2014 14:11 ,
  • Pubblicato in Flash news
la Repubblica
06 06 2014

A questo siamo arrivati, dover fare di una rinuncia una benemerenza, nel timore di quanto sarebbe potuto accadere.

Se rinunciavamo anche all'Expo milanese era anche meglio. Al Mose no, lì non si poteva, se vogliamo salvare Venezia ammesso che quello strumento possa realmente farlo.

Se la classe dirigente veneziana, destra e sinistra, ha potuto commettere o tollerare un simile scempio, sotto gli occhi del mondo, significa che il male è davvero incurabile. ...

Il Manifesto
05 06 2014

Consorzio Venezia Nuova. Uno scandalo nazionale denunciato da anni, reso possibile da una convergenza politica antica e trasversale, con complicità ai più alti livelli della pubblica amministrazione e degli organismi di controllo

Non è come Tangentopoli, è peggio. Allora corruzione e concussione stringevano politici, imprenditori e affaristi in un patto di reciproche convenienze e ricatti. Qui, nel quadro rivelato dalla sacrosanta e benvenuta indagine intorno al Mose, il sistema vede direttamente partecipi anche importanti pezzi dello stato. Fanno scalpore i nomi più eclatanti: ex ministri, consiglieri e assessori regionali, il sindaco. Ma ciò che dà i brividi a chi conosce meglio come funziona la pubblica amministrazione è ritrovare a libro paga del «sistema» funzionari che dovrebbero essere i garanti della liceità di procedure e meccanismi.

Nell’ordinanza il Gip di Venezia scrive, a proposito dell’ex presidente della Regione Veneto Galan, dell’ex generale della Guardia di Finanza Vincenzo Spaziante, dei dirigenti del Magistrato alle Acque (che sovrintende a quasi ogni opera in laguna e dipende dal governo) Cuccioletta e Piva, dell’assessore regionale alle infrastrut­ture Chisso: «Ciascuno di essi, per anni e anni, ha asservito totalmente l’ufficio pubblico che avrebbe dovuto tutelare, agli interessi del gruppo economico criminale, lucrando una serie impressionante di benefici perso­nali di svariato genere».

Diversa la posizione del sindaco Orsoni, accusato di «illecito finanziamento ai partiti» per non aver dichiarato una parte dei contributi elettorali ricevuti in occasione delle amministrative del 2010. Un reato grave ovviamente, se provato, ma di altra natura, anche se a sua volta rivela la capacità di coinvolgimento dei soggetti istituzionali locali nella propria rete da parte del vero motore di tale «sistema» e cioè il Consorzio Venezia Nuova.

Il Consorzio, che raggruppa alcune fra le maggiori imprese italiane e la cui creazione è stata favorita da ambienti politici e imprenditoriali cruciali nella prima Repubblica, avrebbe dovuto essere lo strumento per risolvere il problema della salvaguardia di Venezia dalle acque alte.

La questione, antica, riemersa drammaticamente dopo l’alluvione del novembre 1966, è stata fronteggiata dallo stato approvando un paio di leggi speciali e, appunto, favorendo la costituzione del Consorzio al quale, senza gara né interna né europea, ha affidato direttamente la progettazione e la realizzazione del Mose (opera infine scelta senza nessun vero confronto con progetti alternativi e altresì agevolata dall’inserimento in Legge Obiettivo e oggi realizzata all’80 %). La convergenza politica attorno al Mose è stata trasversale, favorita anche dalla capacità persuasoria del Consorzio, ricchissimo di mezzi per consulenze, studi, uffici comunicazione. Quando ciò non bastava, secondo la magistratura, ci pensava il «sistema» oggi rivelato nei dettagli ma da tempo denunciato dagli oppositori (che oggi ne paventano il riprodursi sulla questione delle Grandi Navi, così come, nella regione, si è riprodotto in tutte le opere pubbliche più significative).

Questo di Venezia, esploso intorno a una delle più grandi e controverse opere pubbliche di sempre, è uno scandalo nazionale, per l’intreccio con cruciali poteri dello stato e per il livello delle connivenze politiche e imprenditoriali, mentre localmente ha inquinato partiti, istituzioni politiche, culturali e scientifiche, nonché l’economia del territorio.

In un giorno di amarezza e indigna­zione, chi ha sempre combattuto quest’opera, nel merito e nel metodo, può almeno veder riconosciuto il valore del proprio impegno, la verità della propria precoce denuncia (a volte costata pesanti querele e denuncie), e fare di questa maggiore consapevolezza pubblica la base di partenza per un’altra città, per un altro paese.

Gianfranco Bettin
* Assessore all’ambiente del comune di Venezia

Il Fatto Quotidiano
11 11 2013

L’omicida non può pagare, lo faccia la Presidenza del Consiglio. Così ha deciso il giudice civile di Roma in merito alla vicenda di Jennifer Zacconi, la ragazza 22enne uccisa nel 2006 dal padre del bambino che portava in grembo. Palazzo Chigi dovrà risarcire con 80mila euro la madre della vittima: lo Stato si è dimostrato inadempiente rispetto a una direttiva europea che lo obbligava a pagare l’indennizzo nel caso il colpevole del reato non possa sostenere il risarcimento.

Jennifer Zacconi, 22 anni, di Olmo di Martellago (Venezia), era stata uccisa al nono mese di gravidanza da Lucio Niero, un uomo sposato che aveva avuto una relazione con la ragazza. L’uomo l’aveva aggredita a calci e pugni e aveva tentato di strangolarla. Poi aveva buttato la giovane, ancora viva, in una buca e l’aveva coperta di terra: secondo i risultati dell’autopsia, la giovane era morta per avere respirato una grande quantità di fango. Niero era stato condannato a 30 anni di carcere e a pagare una provvisionale di 80mila euro alla madre di Jessica, Anna Maria Giannone, e di 85mila euro ad altri suoi congiunti.

Anche dall’ammissione di Niero al gratuito patrocinio era, però, emersa la sua impossibilità di liquidare la somma. Da qui la richiesta della madre e del nonno di Jessica, assistiti dagli avvocati Claudio Defilippi e Debora Bosi, di condannare la Presidenza del Consiglio e il ministero della Giustizia per la mancata attuazione della direttiva europea 80 del 2004 che conferisce “alle singole vittime di reati intenzionali violenti, alle quali non sia stato possibile conseguire il risarcimento del danno del reo, il diritto a percepire dallo Stato membro di residenza l’indennizzo equo e adeguato”. Il risarcimento è stato concesso alla madre di Jessica, non al nonno, mentre la Presidenza del Consiglio, non il ministero, è tenuta al risarcimento perché gli spetta “la responsabilità per l’attuazione degli impegni assunti nell’ambito dell’Unione europea”.

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