La beffa Isee: addio borse di studio e assegni

  • Lunedì, 26 Ottobre 2015 16:45 ,
  • Pubblicato in Flash news
Il Fatto Quotidiano
25 10 2015

Mi dispiace, lei non ha più diritto alla borsa di studio". "Ma perché se ho lo stesso reddito dell'anno scorso?". "Perché la borsa di studio che le abbiamo dato le alza il reddito e di fatto la esclude dal prendere la borsa". Se pensate che questa conversazione surreale possa svolgersi solo su Marte, vi sbagliate. È quanto sta accadendo in questi mesi a tutti coloro che, attraverso il parametro dell'Isee (Indicatore della Situazione Economica Equivalente), si trovano afar richieste di borse, assegni di accompagnamento, sussidi, sconti per gli asili. ...

Elisabetta Ambrosi

Stranieri intra-Ue, welfare limitato

Le prestazioni di carattere sociale possono essere negate a cittadini Ue che non hanno più un lavoro in un altro Stato membro. E questo anche quando simili prestazioni sono concesse ai propri cittadini.
Marina Castellaneta, Sole 24 ore ...

Il congedo parentale? Parli con il preside

  • Martedì, 04 Agosto 2015 10:02 ,
  • Pubblicato in COMUNE INFO

Comune - info
04 08 2015

di Pietro Ratto

Buongiorno, volevo chiedere un congedo parentale. So che ne ho diritto per un massimo di trenta giorni, interamente retribuiti. Così, tanto per stare un po’ di più con mia figlia.

La segretaria guarda il professore con sospetto: quanti anni ha sua figlia? Tre. Tre già compiuti? Si, da qualche giorno. Allora no, non può. Il Ministero della Pubblica Istruzione le riconosce la retribuzione intera solo fino al terzo anno di età del figlio. Che strano!, pensa il professore. Che abbia letto male? Così ringrazia ed esce dall’Ufficio del personale. Tornato a casa, va a leggere bene. Dunque.. Decreto Legislativo 26.03.2001, n. 151 … Uhm, sì: è vero.. un massimo di trenta giorni di congedo parentale interamente retribuiti, solo fino al terzo anno di età del figlio… Ma non c’è anche un Contratto? Cerchiamo.. Eccolo, il CCNL per il comparto scuola.. Vedi? Non mi sbagliavo mica: l’articolo 12 estende il diritto fino agli otto anni di vita del bimbo..

La mattina dopo l’insegnante-genitore torna alla carica. Spiega cos’ha trovato, sommerge la segretaria di articoli e normative. Le conviene parlare col Preside, sa? Non so mica se lui sia disposto a concederglielo.. Non sa “se sia disposto a concedermelo”? Ma cos’è, un regalo? In un attimo il prof è in Presidenza. E in effetti le cose stanno così. Il Dirigente Scolastico ha ben presente il suo diritto, ma c’è un piccolo problema: non può concedermelo. Il Ministero non glielo permette. Il Ministero deve risparmiare, e questo genere di diritti non li riconosce. Entro i tre anni di vita, altrimenti il congedo non è pagato; punto e basta!

L’insegnante-genitore-allibito non demorde. Ah sì? Bene, allora vado di là e questo cavolo di congedo lo chiedo subito. Così, se poi mi viene negato faccio ricorso. Benissimo, faccia pure.

L’insegnante-genitore-allibito-incazzato “fa pure”! Entra, compila, firma. Tre giorni di congedo parentale per la bimba di tre anni e qualche giorno, prego. Dal 3 al 5 aprile 2013. Non le conviene chiederlo per l’altra figlia, professore? Quella che ha solo qualche mese, no? Così il permesso glielo accordano di sicuro. No, no. E’ una questione di principio.

Qualche giorno dopo, ecco il provvedimento del Dirigente, che gelidamente nega la pur dovuta retribuzione del congedo richiesto.

Col fogliaccio in mano, l’insegnante-genitore-allibito-incazzato-agguerrito va in cerca di sindacalisti. Tutti la stessa solfa: ma non ha detto che ha una bimba più piccola, di qualche mese? E lo chieda per lei ‘sto congedo, no? Visto che ha questa fortuna..! Roba da pazzi. Roba da pazzi!

Che si fa? Che facciamo? Com’è più che diceva mia madre? La dignità al primo posto! Cos’è che consiglia mia moglie? E’ una questione di principio, bisogna lottare! Niente da fare: il segreto della felicità è circondarsi di donne in gamba.

Quindi, eccolo dall’avvocato. Che gli fa anticipare una cifra esattamente doppia rispetto a quanto la scuola non gli ha pagato per quei dannati tre giorni di permesso. Ma è una questione di principio, no? E allora cacciamo i soldi. Bisognerà pur ricominciare a insegnare le questioni di principio, ai nostri giovani. Mica vogliamo che vengan su come la gentaglia che ci governa.. E le questioni di principio si insegnano con gli esempi concreti, quelli che viviamo sulla nostra pelle.. Non certo con la teoria.

Così, viene redatto il ricorso, super dettagliato, a cui l’Aran (l’Agenzia per la Rappresentanza negoziale delle Pubbliche Amministrazioni) controbatte con una smilza “interpretazione” delle norme in questione, fornita dal ministero. Da una parte tutto un ragionamento basato sull’evidenza della legge, dall’altro una semplice “interpretazione” ministeriale. Che naturalmente dovrebbe bastare a cancellare un diritto, stile ventennio fascista. Il piccolo docente contro la gigantesca macchina del ministero. L’apoteosi della burocrazia.

Alla prima udienza, il 2 ottobre 2014, il Giudice del lavoro straluna. Non ne ha mai sentito parlare. Dice di volersi prima documentare. E’ logico: sono anni e anni che quando un docente si sente negare un diritto, piuttosto che rimetterci qualche soldo da un avvocato si tira indietro. E non capita solo agli insegnanti, probabilmente. Quindi? Se ne riparla a dicembre. Il 10 di dicembre, per l’esattezza, quando il Giudice annuncia che non intende ancora andare a sentenza. Dice che la cosa non è chiara, che non ha senso che un ministero firmi con i sindacati contratti collettivi che prevedono certi diritti, per poi fornire interpretazioni che li negano. Vuol capire meglio, il Giudice. E dà due mesi di tempo all’ARAN per incontrare i sindacati e dirimere la questione. Lo fa ai sensi dell’art. 64 del D.Lgs. 165/2001. Un’occasione mica da poco, insomma, che trasforma tutto l’ambaradan in un vero e proprio processo-pilota. Dal singolo caso di un insegnante-genitore-allibito-incazzato-agguerrito-fierodisé ci si proietta in un lampo a un diritto di tutti gli insegnanti-genitori italiani.

Ma l’ARAN se ne frega, in quei due mesi non convoca proprio nessun sindacato e ribadisce, lapidario, la sua “interpretazione”. Il 30 aprile, così, il Giudice va a sentenza. E condanna il Ministero.

L’iter processuale che è stato intrapreso, però, è molto particolare. Così, la sentenza è ancora da considerarsi “provvisoria”: in pratica, si dà al Ministero l’ulteriore possibilità di ricorrere entro due mesi. E non in Appello: in Cassazione. Due gradi di giudizio invece che i soliti tre, insomma.
Il 28 luglio 2014, il Giudice del lavoro riconvoca le parti, e sbigottisce. L’avvocato del Ministero ammette che l’ARAN non ha provveduto ad effettuare ricorso perché “se l’è dimenticato”. Quasi risentito, il magistrato rende definitiva la sua condanna nei confronti del Ministero e di quell’istituto che non ha retribuito l’insegnante-genitore-soddisfatto. Quel liceo dovrà pagare i tre giorni di permesso, sì, ma anche tutte le spese legali. Duemila euro, per la precisione.
Non li pagherà mica il preside, quei duemila euro, no. I presidi possono negar diritti senza perderci nulla. Se un tribunale condanna il loro comportamento, paga la scuola. Paga l’amministrazione pubblica. Paghiamo tutti noi, insomma. In questo caso, poi, a rimetterci sono soprattutto gli studenti di quella specifica scuola, perché i soldi che finiranno nelle tasche degli avvocati sono gli stessi con cui si sarebbero potute riparar lavagne, comprar carta igienica, cambiar toner alle fotocopiatrici… Tutte cose che non si fanno perché “non ci sono i fondi”. Quegli stessi fondi che, invece, quando li si butta in spese legali per riparare alle decisioni illegittime di un Dirigente, ci sono eccome.

L’avventura dell’insegnante-genitore-retribuito è così finita. Potrà servire a incoraggiare altri docenti a far valere di più i propri diritti? Non lo so. Sinceramente non lo so. Ma una cosa, con un pizzico di orgoglio, ve la voglio proprio confidare.

Quell’insegnante sono io.

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Questo articolo è tratto da Bosco Ceduo, l’ottimo blog di Pietro Ratto, che ringraziamo. Lo abbiamo visto pubblicato però su un altro blog con cui siamo sempre strafelici di scambiare le “figurine” del nostro racconto sociale, la Bottega del Barbieri. Per esigenze grafiche, abbiamo dovuto leggermente modificare il titolo originale, che era Il congedo
Tags:diritti, educare, scuola

I tagli alla sanità che aprono la strada ai privati

  • Mercoledì, 29 Luglio 2015 12:05 ,
  • Pubblicato in DINAMO PRESS

Dinamo Press
29 07 2015

Oggi in aula si discute su manovre di spending review: 2,3 mld di euro annui in meno nella Sanità per i prossimi 3 anni. “Non vi preoccupate non sono tagli lineari, sono razionalizzazioni!” questo il mantra giustificatorio.

Va da sé che per essere una razionalizzazione i soldi risparmiati debbano essere reinvestiti nel SSN e non per pagare debiti, né per abbassare le tasse. E così, stando alle parole di Gutgeld (il commissario alla revisione della spesa pubblica), non è. Dunque chiariamo subito che non si tratta di una razionalizzazione, bensì di ulteriori tagli. Analizziamo dunque la situazione del sistema sanitario nazionale: Dal 2011 ad oggi sono stati tagliati 24 miliardi, con questi si arriverebbe a più di 30! La percentuale del PIL spesa per la sanità è il 7%. Negli USA (quelli di John Q e della sanità solo a chi può permettersela) è all'8,5% dopo le manovre di Obama (Medicare, Medicaid, etc.)

I LEA sono i livelli essenziali di assistenza sono quei servizi dichiarati base dal nostro ministero, sono quei servizi a cui tutti dovrebbero avere accesso gratuitamente. Questi servizi sono garantiti solo in alcune regioni. Nel 2014 il 9,5% della popolazione ha rinunciato alle cure mediche per motivi economici. Entriamo nel merito di questa manovra: i campi da cui dovrebbero saltar fuori questi soldi sono soprattutto il taglio delle prestazioni specialistiche, del 15%, a breve verrà stilata una lista delle situazioni e delle patologie dove analisi e approfondimenti sono necessari, altrimenti si pagherà di tasca propria. Verranno tagliati gli stipendi ai medici che prescrivono esami “inutili”.

Si potrebbe commentare che molto difficilmente riusciranno a stilare protocolli così ampi in così poco tempo che abbiano validità scientifica. Si potrebbe commentare che se si riesce a studiare protocolli che facciano rientrare tutte le situazioni possibili, perchè spendiamo così tanti soldi nella formazione di nuovi medici? basterebbe un software che applica i protocolli prestabiliti. L'evidenza è che questo punto sia palesemente un nuovo superticket che farà ricadere sul paziente un ulteriore parte dei servizi che ora il SSN eroga. Altri soldi verranno risparmiati sul controllo delle strutture in rosso, il taglio della rete ospedaliera: 5% di beni e servizi (dunque strutture e personale in meno), la riduzione della degenza media e del tasso di ospedalizzazione. Solita solfa.

Stante quello che è trapelato su questa manovra non ci sono dubbi nell'affermare che si tratti di un ulteriore scellerato taglio su un sistema al collasso che non riesce più a sopperire ai bisogni della popolazione. E' tra l'altro indubbio il bisogno che questo sistema ha di diventare più efficiente, ed è anche indubbia la strada che si dovrebbe intraprendere: basterebbe seguire il tragitto segnato dalle regioni più virtuose, come la Toscana e l'Emilia Romagna. Qui l'investimento è stato sulle case della salute, dunque piccoli centri sparsi sul territorio che lavorano sull'assistenza di base e la prevenzione, riducendo il tasso di ospedalizzazione a monte, non a valle.

E' però vero che questo modello non risponde ai criteri richiesti, fare cassa e farla subito, sono politiche più a lungo corso, ma la tornata elettorale si avvicina e i diktat vanno rispettati, ecco perchè si opta per queste “scorciatoie”. La prospettiva è dunque un progressivo smantellamento del mondo assistenziale pubblico a favore della sanità privata, campo in cui abbiamo una delle spese maggiori d'Europa.

Non si può dunque non pensare a quelle piccole sacche di resistenza sanitaria che stanno nascendo in giro per l'Italia: l'ambulatorio popolare napoletano tra le mura di Zero81, quello romano di Strike “Ambu Lanti” e quello milanese. Queste esperienze vedono la sanità come un bene comune, non dunque l'ennesimo salvadanaio per la spending review o il barone di turno, ma un bene gestito in comunione tra operatori della salute ed utenza, così come è stata difesa la struttura del Ce.F.I. Riuscendo a portare ai vari presidi sotto la regione non solo i lavoratori che avrebbero perso il lavoro, ma anche quelle famiglie che avrebbero dovuto fare 30 km 2 volte a settimana per lo stesso servizio, perchè a tale distanza era il più vicino centro di logopedia per bambini (leggi anche Il sindacalismo sociale vince a Roma) si è riusciti ad impedire la chiusura della struttura. Perchè se tagliano sulla sanità tagliano sulla salute di tutt*.

Le proposte dei freelance per un Welfare solidale

  • Mercoledì, 24 Giugno 2015 09:14 ,
  • Pubblicato in IL MANIFESTO

Il Manifesto
24 06 2015

Quinto Stato. Le ini­zia­tive del movi­mento dei free­lance a Roma il 24 e 25 giu­gno. Lo spea­kers’ cor­ner della coa­li­zione 27 feb­braio al mini­stero del lavoro e la “pro­po­sta decente” per una riforma delle tutele per le par­tite Iva di Acta: «Siamo le spie più sen­si­bili della crisi, vogliamo par­lare a tutti della nostra con­di­zione che anti­cipa la pro­spet­tiva di tutti»

Sono le bar­chette più fra­gili nella tem­pe­sta: i lavo­ra­tori indi­pen­denti, free­lance, par­tite Iva, pre­cari, lavo­ra­tori gio­vani e maturi. Sono sulla bocca di tutti quando si tratta di stra­par­lare di «inno­va­zione sociale», «nuove pro­fes­sioni», «start up» o «imprese per­so­nali». In realtà, non c’è governo che gli abbia alzato le tasse, spre­men­doli come limoni, negando diritti sociali ele­men­tari, l’accesso al wel­fare o a una pre­vi­denza equa. Ad esem­pio, il governo Renzi ha cer­cato di asfal­tarli aumen­tando nella legge di sta­bi­lità l’aliquota della gestione sepa­rata Inps dal 27% al 30%. Con la riforma del regime fiscale age­vo­lato per i gio­vani pro­fes­sio­ni­sti under 35 ha pro­vato a tri­pli­care le tasse a oltre 3 milioni di lavo­ra­tori che for­mano un nuovo pro­le­ta­riato con red­diti da povertà.

Su un cam­pione di 2210 auto­nomi la recente ricerca Cgil «Vite da pro­fes­sio­ni­sti» ha cal­co­lato un red­dito medio da 15 mila euro all’anno per il 57,8%; tra i 15 e i 20 mila euro per il 13,2;, il restante 28,9% più di 20 mila euro. Tutte cifre lorde. I free­lance si sono orga­niz­zati, hanno fatto coa­li­zione e hanno fer­mato il governo. Renzi ha ammesso gli errori, come gli capita sem­pre più spesso, ma negli ultimi sei mesi ha messo il silen­zia­tori sugli impe­gni presi a dicem­bre: riforma della gestione sepa­rata, una delle poche casse Inps in attivo, e riforma dei «regimi dei minimi». Ieri, come oggi, i free­lance con­ti­nuano a navi­gare in una terra di nes­suno: la Naspi non è stata estesa alle par­tite Iva, diver­sa­mente da quanto pro­messo; la Dis-Coll non è stata ero­gata a causa dei ritardi dell’Inps e oggi esclude dot­to­randi e ricer­ca­tori strutturati.

Mer­co­ledì 24 e gio­vedì 25 giu­gno a Roma, i free­lance tor­ne­ranno a mobi­li­tarsi in coa­li­zione. In autunno vogliono ria­prire la par­tita, ma sta­volta su basi diverse. Non ci sarà solo la pro­te­sta, ora vogliono met­tere insieme le pro­po­ste che da tempo sono sul tavolo e rilan­ciare un pro­getto di società. La coa­li­zione 27 feb­braio è un ampio schie­ra­mento di asso­cia­zioni e movi­menti del lavoro auto­nomo ordi­ni­stico e ati­pico com­po­sto da avvo­cati, archi­tetti, geo­me­tri e inge­gneri, far­ma­ci­sti e guide turi­sti­che, archi­vi­sti, stu­denti e ricer­ca­tori, il sin­da­cato dei gior­na­li­sti di Stampa Romana o dal labo­ra­to­rio romano dello scio­pero sociale Domat­tina saranno pro­ta­go­ni­sti di uno “spea­kers’ cor­ner” al mini­stero del lavoro in via Vit­to­rio Veneto a Roma dove chie­de­ranno un incon­tro al mini­stro Poletti al quale hanno invi­tato una let­tera con nove riven­di­ca­zioni. Tra le richie­ste è stata avan­zata la pro­po­sta di riforma della Gestione sepa­rata Inps, sulla quale la coa­li­zione ha già avuto un con­fronto con il pre­si­dente dell’Inps Boeri il 24 aprile scorso; il diritto all’indennità di malat­tia per il lavoro auto­nomo; l’estensione della Naspi, una «pen­sione minima di cit­ta­di­nanza» e l’introduzione di un red­dito minimo garan­tito, una pro­po­sta soste­nuta da una larga parte della società ita­liana. «Sono que­ste le pre­messe per ripen­sare i diritti e le pro­te­zioni sociali in un paese dove c’è la disoc­cu­pa­zione di massa, l’impoverimento e il lavoro viene sva­lo­riz­zato» si legge nella lettera.

Temi ana­lo­ghi ritor­nano nella «pro­po­sta decente» che l’associazione dei free­lance Acta, da tempo al cen­tro delle reti dell’auto-organizzazione del lavoro auto­nomo in Ita­lia e asso­ciata anche alla coa­li­zione 27 feb­braio, pre­sen­terà nella due giorni dedi­cata alla «vita dei free­lance» al Scs/Cnos in via mar­sala 42 a Roma. Domani pome­rig­gio, e gio­vedì nell’incontro con l’associazione euro­pea Efip (Euro­pean Forum of Inde­pen­dent Pro­fes­sio­nals), Act aspie­gherà come pas­sare dall’attuale «wel­fare fami­liare» al «nuovo wel­fare soli­dale». Rivolta a tutti i «cit­ta­dini», indi­pen­den­te­mente dal loro essere dipen­denti auto­nomi o pen­sio­nati, la «pro­po­sta decente» pre­vede la sospen­sione imme­diata della legge For­nero che aumenta l’aliquota Inps per gli auto­nomi; la tutela con­tro le malat­tie gravi e di lunga durata per i free­lance, a soste­gno della corag­giosa bat­ta­glia di Daniela Fre­gosi la cui peti­zione per una pro­te­zione uni­ver­sale della salute dei free­lance ha rac­colto 80 mila firme e il soste­gno di molte giunte comu­nali e regio­nali; infine, una «pen­sione equa per tutti» che pre­vede una pen­sione minima equi­pa­rata all’assegno sociale. «Siamo le spie più sen­si­bili della crisi – sosten­gono i free­lance di Acta – vogliamo par­lare a tutti della nostra con­di­zione che anti­cipa la pro­spet­tiva di tutti».

 

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