di Luca Cardin
La festa del 1° Maggio 1945 assume un significato emblematico per il popolo italiano che festeggia quel giorno, contemporaneamente, la Festa del Lavoro e quella della Liberazione. In questo contesto festoso in ogni città del Nord si assiste al tripudio dei partigiani, che sfilano in mezzo alla folla esultante. Bandiere dei partiti antifascisti vengono esposte alle finestre; anche le donne con fazzoletti rossi o verdi si uniscono alla festa, cantando e ballando i motivi americani, in voga.
Ma le donne non sfilano insieme ai partigiani.
"C'è, nei confronti delle donne che hanno partecipato alla Resistenza, un misto di curiosità e di sospetto… E' comprensibile … che una donna abbia offerto assistenza a un prigioniero, a un disperso, a uno sbandato, tanto più se costui è un fidanzato, un padre, un fratello… L'ammirazione e la comprensione diminuiscono, quando l'attività della donna sia stata più impegnativa e determinata da un a scelta individuale, non giustificata da affetti e solidarietà familiari. Per ogni passaggio trasgressivo, la solidarietà diminuisce, fino a giungere all'aperto sospetto e al dileggio."
Così scrive MIRIAM MAFAI nel noto volume Pane nero, più volte ristampato (ora in Oscar Mondadori, p. 263).
Recenti studi storici hanno saputo conferire il dovuto risalto a quello che impropriamente viene definito "ruolo", "contributo", "partecipazione femminile" nella Resistenza Italiana.
Note storiche, quali Mirella Alloisio, Giuliana Beltrami, Anna Bravo, Anna Maria Bruzzone, Marina Addis Saba, Victoria De Grazia, Delfina Tromboni, attraverso le loro ricerche, nonché attraverso numerose, preziose interviste a donne, che assunsero parte attiva nella lotta, a fianco dei partigiani, hanno creato un quadro composito ed omogeneo di quella parte della Resistenza, "lungamente taciuta".
Il principio che accomuna i sopramenzionati studi storici si estrinseca nell'analisi a quei vocaboli, propri della storiografia ufficiale, volti a conferire alle donne un ruolo marginale nella guerra partigiana.
Mentre il termine partecipazione rende un po’ più di giustizia, perché in sostanza, significa "prender parte" (ma come sottolinea Anna Bravo, non significa ancora "fare parte"), il termine "contributo", invece, non ha neppure questo connotato.
In fondo chi oserebbe parlare di "contributo maschile" nella Resistenza?
Persiste, dunque, ancora, sul piano linguistico, uno scarto non superato, non risolto: "lo scarto tra ciò che di una donna si pensava potesse fare prima della resistenza e di ciò che si pensa possa fare dopo, per il semplice motivo che l'ha fatto".
Questa è la sintetica, ma efficace interpretazione storico-linguistica che, D. TROMBONI E L. ZAGAGNONI compiono nel loro pregevole Con animo di donna, UDI - Archivio Storico, 1991.
In Partigiane - Tutte le donne della Resistenza, Mursia Editore, Milano, 1998, la storica Marina Addis Saba, precisa che l'impegno femminile, durante la guerra di liberazione, "disconosciuto e poco noto", si orientò verso due direzioni: l'una dettata dalla necessità, fu quella di resistere e di dare assistenza ai partigiani, attraverso molteplici attività materiali, dalla cura ai feriti, al trasporto di armi, munizioni e cibo, anche nelle zone più impervie, nei nascondigli dei partigiani, in mezzo ai monti.
Negli anni del fascismo e dell’occupazione nazista vi furono donne che lasciarono i focolari, le gonne, i rosari, i doveri materni e si unirono alla lotta partigiana. Quella lotta armata combattuta tra i boschi e le montagne, ma anche quella lotta fatta di gesti meno eclatanti, ma altrettanto importanti, ai quali le donne, nascoste proprio dietro la loro condizione femminile, potevano dedicarsi sommessamente.
Il loro apporto fu massiccio sin dai primi momenti della lotta partigiana arrivando fino agli ultimi giorni dell’aprile 1945, con la completa liberazione del Paese. Non è possibile citare cifre che descrivano esattamente quante donne aderirono e si sacrificarono per la Resistenza perché molte di loro, appena conclusa la lotta, ritornarono in pieno alla loro vita familiare e di lavoro, scegliendo l’anonimato. Stando però ai calcoli di esperti militari si può affermare che le donne che furono impegnate in compiti ausiliari nella Resistenza italiana non furono meno di un milione, mentre, secondo le statistiche ufficiali, le cosiddette ‘partigiane combattenti’ furono circa 35 mila.
Un dato considerevole, secondo il quale ben il venti per cento dei combattenti furono donne.
I ruoli che ricoprirono furono molteplici: dalla partecipazione alle agitazioni nelle piazze, alla pericolosa attività di spola nell’Italia allora divisa in due dalla ‘Linea Gotica’, dal rifocillamento dei feriti, alla raccolta di armi, munizioni e indumenti e, infine, alla dura e spesso sanguinosa lotta sulle montagne.
Inoltre, la Resistenza fu anche il metaforico crogiuolo che vide nascere tesi di emancipazione femminile che avrebbero costituito il presupposto per l’inserimento della donna nella società e l’ampliamento dei suoi diritti civili, politici e sociali.
Nel giugno del ’44 il Comitato nazionale dei Gruppi di Difesa inviò al Comando di Liberazione nazionale dell’Alta Italia una relazione sulla costituzione e sull’opera dei gruppi di Difesa in cui si legge: “All’appello hanno risposto le donne italiane delle fabbriche e delle case, delle città e delle campagne riunendosi e lottando. I Gruppi sono sorti e si sono sviluppati nei grandi come nei piccoli centri. A Milano nelle fabbriche si contano ventiquattro Gruppi con circa due mila aderenti; un ugual numero esiste a Torino e a Genova. […] Sono sorti gruppi di contadine, di massaie, nelle case e nelle scuole; la loro azione viene coordinata dai Comitati femminili di città e di villaggio, regionali e provinciali, attorno alle direttive indicate dal Comitato nazionale.”
Atti di sabotaggio, interruzione delle vie di comunicazione, aiuto ai partigiani, occupazione dei depositi alimentari tedeschi, approntamento di squadre di pronto soccorso furono solo alcuni dei compiti portati avanti con coraggio e tenacia dalle donne, a cui bisogna però aggiungere anche la loro attività di propaganda politica e di informazione. Tra i diversi fogli clandestini, da loro scritti e distribuiti non bisogna dimenticare la nascita di molti giornali femminili in varie regioni.
Tra le migliaia di manifesti che circolavano all’epoca si poteva, tra l’altro, leggere . “ Anche noi siamo scese in campo”, oppure, “ Tutte le donne hanno preso il loro posto di battaglia”.
Il 31 gennaio 1945 il Consiglio dei ministri emanava il decreto, poi diventato noto come decreto De Gasperi – Togliatti, con cui veniva riconosciuto il diritto di voto alle donne che avessero compiuto il ventunesimo anno di età al 31 dicembre 1944. Concretamente, l’iniziativa per il voto alle donne era stata presa dal Pci e dalla Dc nell’estate del 1944, nonostante i molti dubbi dettati per il Partito Comunista dalla paura di un contributo femminile a favore della conservazione e del mondo politico cattolico.
L'altra direzione dell'impegno femminile è stata quella politica.
Numerosissime donne, di ogni estrazione sociale, operaie, studentesse, casalinghe, insegnanti, in città, così come in campagna, organizzarono veri e propri corsi di preparazione politica e tecnica, di specializzazione per l'assistenza sanitaria, per la stampa dei giornali e dei fogli del Comitato di Liberazione Nazionale e per la divulgazione di stampa e volantini di propaganda, a favore della lotta partigiana.
A rafforzare l'impegno politico femminile, durante la Resistenza, è testimonianza un organismo creato nel novembre del 1943 a Milano, da alcune donne appartenenti ai partiti del CLN (Giovanna Barcellona, Giulietta Fibbi e Rina Picolato, comuniste; Laura Conti e Lina Merlin, socialiste; Elena Drehr e Ada Gobetti, azioniste).
Tale organizzazione prende il nome di Gruppo di difesa della donna e per l'assistenza ai combattenti per la libertà". Da una stima effettuata a guerra finita, nei GDD costituitisi in tutta Italia si contano circa 59.000 donne.
In Volontarie della libertà di Mirella Alloisio e Giuliana Beltrami, Mazzotta Edit., 1981, emerge, con chiara evidenza, l'impegno che, attraverso i GDD, le partigiane, iniziano a manifestare. Il loro compito, in primo luogo, consiste nell'allargare la rete delle aderenti, cercando di avvicinare le donne e di spiegare loro quale importanza strategica, può derivare dal coinvolgimento nella guerra di liberazione.
Ancora manca l'abitudine ad affrontare argomenti quali libertà, giustizia, ma il coraggio e la determinazione hanno la meglio.
Non si può affermare, dunque, che sia l'incoscienza o l'ignoranza ad animare moltissime donne, a far correre loro rischi inenarrabili, pur di portare a compimento un'azione, quale può essere la consegna di un messaggio, che informa degli spostamenti dei tedeschi un gruppo di partigiani, altrimenti isolati in zone impervie di montagna o in altri nascondigli pressoché irragiungibili.
E' invece indubitabile che le donne vivono la consapevolezza di combattere per una causa giusta e che in numero considerevole partecipano alla formazione dell'opposizione antifascista, fulcro della guerra di liberazione.
Nell'immediato dopo-guerra, infatti, le donne italiane conseguono il diritto di cittadinanza, attraverso il voto, quale pieno riconoscimento della loro ormai matura coscienza politica.
Solo allora viene affermata l'eguaglianza nei diritti del lavoro e nella famiglia, grazie alla Costituzione repubblicana, "che è il frutto più maturo della Resistenza", come ricorda Marina Addis Saba.
Per concludere, qualche numero può essere utile a comprendere la portata del fenomeno:
- Partigiane: 35.000
- Patriote: 20.000
- Gruppi di difesa: 70.000 iscritte
- Arrestate, torturate: 4.653
- Deportate: 2.750
- Commissarie di guerra: 512
- Medaglie d'oro: 16
- Medaglie d'argento: 17
- Fucilate o cadute in combattimento: 2.900
Fonti:
Il ruolo delle donne nella resistenza, Lotta partigiana e inclusione nei partiti
http://www.instoria.it/home/donne_resistenza.htm
Donne, la Resistenza "taciuta"
http://www.storiaxxisecolo.it/Resistenza/resistenzadonne.htm