DINAMO PRESS

Un primo passo per conquistare ciò che ci spetta

Dinamo Press
28 09 2015

Manifestazione delle lavoratrici e del lavoratori della Cooperativa “Un sorriso” che incontrano l'Assessorato alle Politiche sociali. La mobilitazione costruita assieme alle Camere del Lavoro Autonomo e Precario.

Una prima importante mobilitazione, quella che ci ha visto protagonisti questa mattina. Dopo mesi di prestazioni lavorative non retribuite, abbiamo deciso di rompere il silenzio e di pretendere con forza i nostri diritti. Mentre il presidio si è svolto a partire dalle 10 e fino alle 13, una nostra delegazione è stata accolta dal Capo segreteria dell'Assessorato alle Politiche sociali, Mario De Luca, e da Ruggero Ferreri, dello staff dell'Assessora Francesca Danese.

Nell'incontro, durato circa due ore, abbiamo avuto modo di raccontare nel dettaglio le condizioni drammatiche nelle quali versano lavoratori, utenti e infrastrutture della Coopertativa “Un sorriso” e dei suoi diversi progetti: Sprar; “La Casa delle Mamme”; “Astra”; unità mobile. Non solo stipendi non pagati per 6-7 mesi, ma anche edifici fatiscenti, a volte privi di corrente e riscaldamento. Una storia che pochi conoscono, per quanto la Cooperativa “Un sorriso” abbia più volte, in questi mesi, conquistato gli “onori” delle cronache.

Mario De Luca e Ruggero Ferreri ci hanno illustrato lo stato dei pagamenti dell'amministrazione nei confronti della Cooperativa, chiarendo come spesso al saldo delle fatture non abbia fatto seguito il doveroso pagamento di lavoratrici e lavoratori. Hanno inoltre affermato la piena disponibilità dell'Assessorato a risolvere il problema. Per approfondire la situazione debitoria della Cooperativa, le inadempienze relative ai servizi, un nuovo incontro è stato fissato per lunedì 28 settembre alle ore 15. In quell'occasione sarà presente anche il Direttore di Direzione Accoglienza e Inclusione Antonio De Cinti.

La mobilitazione di oggi è stata solo un primo passo. Vogliamo arrivare fino in fondo, per avere ciò che ci spetta, ovvero le retribuzioni per il lavoro svolto, per il diritto degli utenti ad avere un'accoglienza degna all'interno di strutture efficienti.


Lavoratrici e lavoratori della Cooperativa “Un sorriso”

CLAP – Camere del Lavoro Autonomo e Precario

Dinamo Press
28 09 2015

La carovana ha attraversato (leggi la cronaca multimediale ) alcuni degli snodi principali della rotta balcanica dei migranti, constatando da vicino come l'attuale flusso, proveniente principalmente dalla Siria, ha fatto saltare alcuni dispositivi della governance europea delle migrazioni.

Sebbene la situazione sia in costante evoluzione e può cambiare rapidamente, la rotta verso i paesi del Nord Europa e, soprattutto, verso la Germania, al momento non conosce blocchi, ma soltanto deviazioni e rallentamenti. La Slovenia, che sabato scorso era stata costretta da una mobilitazione dei rifugiati a permettere il transito attraverso il suo territorio, non è attualmente lambita dal flusso (per evitarlo ha interrotto i collegamenti ferroviari con la Croazia e chiuso alcuni punti di frontiera). Dal sud-est della Croazia, i rifugiati vengono fatti salire su treni speciali, diretti verso nord, vicino al confine con l'Ungheria. Qui, sono costretti a percorrere diversi chilometri a piedi in condizioni molto difficili (al buio, senza alcun tipo di assistenza medica, con l'acqua e il cibo che solo a volte i volontari riescono a dare loro) per raggiungere un varco aperto nella recinzione che separa i due Stati. Da lì, le persone continuano a camminare verso la vicina stazione dei treni e, violenze della polizia ungherese permettendo, cercano di raggiungere l'Austria.

Grazie alla pressione esercitata dai rifugiati, il sistema di controllo delle fontiere esterne e di regolazione dei flussi migratori (costruito attraverso gli accordi di Schengen e il regolamento di Dublino) è parzialmente saltato. I diversi paesi che si trovano sulla rotta balcanica sono stati in qualche modo, e con diverse modalità, costretti a far passare le persone, in alcuni casi persino facilitandone il transito. Resta da capire come i vari governi si muoveranno nelle prossime settimane e quali nuovi ostacoli verranno imposti alla libera circolazione dei migranti.

L'attuale flusso migratorio ha come altro effetto quello di inserirsi in uno scenario di instabilità politica, sia interna che esterna. Per un verso, infatti, forze razziste e di estrema destra tentano di guadagnare consenso attraverso retoriche xenofobe e favorevoli al controllo e alla chiusura delle frontiere. Per un altro, si stanno riacuendo vecchie tensioni tra i diversi Stati, che tentano di scaricarsi l'un l'altro i rifugiati attraverso ricatti e forzature reciproche che hanno poco a che vedere con il fenomeno in questione, e riguardano invece rivalità mai del tutto risolte che affondano le proprie radici nella storia più recente.


L'azione della Carovana si è inserita in questo specifico scenario. Venerdì pomeriggio diverse decine di attiviste e attivisti europei hanno partecipato alla piazza antifascista chiamata dal “Fronte anti-razzista sloveno”, per evitare il concentramento di gruppi neonazisti convocatisi sullo slogan “Difendiamo le nostre frontiere”, poi spostato altrove. Sabato, dopo una partecipatissima assemblea al centro sociale Rog di Ljubljana, oltre 200 persone provenienti da Italia, Svizzera, Germania, Austria, Slovenia e Croazia si sono mosse verso Botovo, al confine tra Croazia e Ungheria. Come accennato in precedenza, in questi giorni il passaggio non viene impedito, ma soltanto reso estremamente difficile, soprattutto per anziani e bambini, dall'interruzione della linea ferroviaria internazionale.

Gli attivisti della carovana hanno così potuto incontrare più di un migliaio di rifugiati che scendevano dai treni, senza neanche sapere dove si trovavano e molto preoccupati per quello che li avrebbe attesi al di là del confine ungherese. Sono stati consegnati loro acqua, cibo e beni di prima necessità, raccolti dai diversi network solidali delle città di provenienza: da Roma abbiamo portato gli aiuti raccolti dalla Libera Repubblica di San Lorenzo. Altri pezzi della Carovana, invece, si sono diretti al confine sloveno-croato e, il giorno successivo, a Babzka, tra Croazia e Slovenia, consegnando altri beni di prima necessità e, in alcuni casi, offrendo un passaggio ai rifugiati verso i paesi di destinazione.

La Open Borders Caravan è stato un importante momento di incontro tra chi, in Europa, sta incrociando in punti diversi lo stesso flusso migratorio e sta combattendo una battaglia comune per l'apertura delle frontiere, per percorsi di transito sicuri e per un'accoglienza dignitosa. Crediamo che i tentativi di organizzazione transnazionale di lotte e reti solidali sul tema dell'apertura delle frontiere vadano moltiplicati, migliorando le connessioni reciproche e la capacità organizzativa comune.

Come Resistenze Meticce esprimiamo la nostra solidarietà a tutte le persone che stanno combattendo la stessa battaglia per l'apertura delle frontiere a Ventimiglia, a chi è bloccato lì da settimane, a chi in questi giorni ha ricevuto un foglio di via e a chi, proprio ieri, è stato vigliaccamente caricato dalla polizia italiana.

di Resistenze Meticce


Ingrao: elegia per uno sconfitto

Dinamo Press
28 09 2015

Muore a all'età di 100 anni Piero Ingrao. Dirigente del PCI, spesso dissidente, aperto ai movimenti. Se ne va uno dei protagonisti della storia politica del Novecento italiano.

Rabbrividisco al pensare cosa stanno scrivendo di lui l’Unità o il circo leopoldo, sono fraternamente vicino alle figlie, nipoti, amici che devono ascoltare ipocrite o distratte condoglianze, resto perplesso anche per molti sinceri elogi che rivendicano continuità con l’opera di Pietro Ingrao. La sua grandezza si colloca in un’interruzione, dove è precipitato tutto un pezzo della nostra militanza e giovinezza (che oggi con lui, disfatti, commemoriamo).

Chiediamoci allora piuttosto cosa può tramandare a generazioni viventi il leader centenario di un partito estinto. Un percorso esemplare di vita, certo, dalla lotta partigiana al crepuscolo poetico, lo schietto impegno politico, giornalistico e istituzionale, ma soprattutto avere combattuto e perso, dentro una grande formazione riformista, la battaglia per cambiare l’Italia, senza essersi piegato alla sconfitta e senza collaborare alla gestione del disastro, con il coraggio (tardivo) di rompere nel 1993 con la lunga agonia dell’ultimo partito di massa – che oggi è inutile rimpiangere o riesumare in forme parodistiche.

Nel pieno del centrosinistra e della matura modernizzazione fordista, dopo la morte di Togliatti nel 1964 si era aperto uno spiraglio all’interno del Pci in cui si misurarono per la prima e l’ultima volta delle grandi alternative strategiche di fase, sull’onda di un imponente ciclo di lotte di massa (il rovesciamento del governo Tambroni nel luglio 1960), ripresa operaia (1961-62), innovazione teorica (i “Quaderni rossi” dal 1962) e pratica autonoma di rivolta (piazza Statuto, 1962).

Contro lo stanco centrismo post-togliattiano di Longo e contro la proposta socialdemocratica di Amendola e del suo reggicoda Napolitano (integrata peraltro da un’ottusa fedeltà all’Urss brežneviana e da un ferreo divieto di ogni frazionismo), Ingrao si batté accanitamente nel 1965-66 per stabilire un confronto democratico all’interno del Partito, per prendere atto della novità del neo-capitalismo italiano (o pieno fordismo) e per contrastarlo con una strategia più incisiva (le “riforme di struttura”) che facesse leva sul risveglio operaio e la mobilitazione di una società civile in rapida trasformazione. Fu sconfitto ed emarginato all’XI congresso e il Pci perse un’occasione, pur confusa e velleitaria per molti aspetti, di rinnovamento e di sintonizzazione con i mutamenti che stavano intervenendo su scala italiana e internazionale (si pensi al movimento anticoloniale, a Cuba, a quanto maturava a Berkeley o Watts).

Da allora il contrasto di classe cominciò a manifestarsi fuori dal Pci e in parte del sindacato, sebbene con ambigue rispondenze e intrecci: è la stagione del 1967-68 e poi dell’autunno caldo del 1969. Ingrao li seguì con simpatia e intelligenza, ma senza porsi alla testa di una rottura che avrebbe rappresentato l’ultima occasione di saldatura fra tradizione comunista (riformista) e nuovi movimenti (anch’essi, per molti aspetti, di radicale riformismo). Subì invece disciplinatamente la diaspora degli ingraiani e la cacciata del gruppo del Manifesto nel 1969. Le conseguenze furono negative e iniziò un lento scollamento che ben presto, con lo smantellamento del fordismo e la crescita di un’ideologia e di una pratica operaista inassimilabile ai vecchi schemi, si fece aperta frattura.

A partire dagli anni ’70 il Pci divenne l’argine principale contro una terminale stagione di lotte operaie fordiste e di incipienti battaglie post-fordiste e Berlinguer, con la sua parola d’ordine dell’austerità e la gestione dell’unità nazionale contro il terrorismo, ne fu il protagonista, salvo a piangere sulle conseguenze, opporre il rigore morale al primo neo-liberismo craxiano e celebrare i funerali dell’occupazione alla Fiat e della scala mobile. In quegli anni Ingrao, relegato alla prestigiosa ma solo simbolica presidenza della Camera dal 1976 al 1979, non fu complice – va detto a suo onore – ma la storia ormai passava da un’altra parte, vittorie e sconfitte si giocavano su un terreno diverso dalla I Repubblica, dall’emancipazione del lavoro e dalla democrazia dei partiti di massa. La stessa resistenza di Ingrao allo scioglimento del Pci con la Bolognina di Occhetto (che del resto era il più brillante e ondivago suo allievo) era una battaglia di retroguardia, che si completerà con una dignitosa fuoriuscita dal Pds negli anni successivi.

La grandezza di Ingrao fu dunque nella sua sconfitta al culmine delle possibilità di scelta del Pci, quando la biforcazione si chiuse e subentrò un buco nero che gradualmente inghiottì il partito di massa e ne trasformò l’identità da riformista (che rivoluzionario non lo era più dal 1944) a reazionario: prima difensore cieco della repressione fordista, poi ilare avanguardia del neo-liberalismo.

Oggi, che la stessa esistenza e storia del Pci e del “comunismo” italiano è oggetto o di diffamazione prezzolata o di sterile nostalgia, vale la pena di riflettere, al di là di celebrazioni e personale rispettabilità, su una figura singolare di resistenza, che non è immediatamente spendibile sul piano delle strategie politiche (e questo vale per tutto il patrimonio morale di una generazione sconfitta e in via di sparizione, la generazione di chi scrive) ma forse merita un ricordo. La traccia di un cataclisma è sempre istruttiva per il futuro.

di Augusto Illuminati

Politica immobilitàTheodoros Karyotis, Dinamo Press
26 Settembre 2015

Astensione alle stelle, smobilitazione sociale e un''onda imminente di dure misure di austerità richiedono una riflessione critica dopo la vittoria di Syriza. Un contributo da autonomias.net
Non c'è nulla da festeggiare, davvero.

"We are not going back".

Dinamo Press
23 09 2015

ai migranti del presidio NoBorder di Ventimiglia un appello in quattro lingue alle istituzioni europee, all'opinione pubblica e alla stampa: "Non torneremo indietro, aprite le frontiere!"

A giugno il governo francese decide di chiudere le frontiere con l’Italia. In risposta a questo blocco tra Ventimiglia e Mentone un gruppo di noi ha deciso di resistere sugli scogli, manifestando la volontà di non fermarsi, di rivendicare la libertà di movimento e l’apertura delle frontiere.

Alla protesta si uniscono molte persone provenienti da tutta Europa. Da qui nasce il Presidio NoBorders, spazio di resistenza ed autogestione, in cui migranti e solidali vivono insieme ed insieme lottano contro la violenza del confine.

Da giugno la protesta non si è fermata: ogni settimana il Presidio NoBorders manifesta davanti alla frontiera contro gli abusi della polizia di confine e le violente pratiche di respingimento. Rastrellamenti, fermi, detenzioni estenuanti sono all’ordine del giorno sulla frontiera franco-italiana. Quotidianamente alla stazione di Menton Garavan molte persone vengono fatte scendere dai treni, sulla base del colore della pelle e deportate alla stazione di polizia di Frontiera (Paf). Qui attendono per ore, chiuse in containers, senza ricevere informazioni, acqua e cibo. Arbitrariamente la polizia decide se rilasciarli in Francia o respingerli in Italia, dando luogo ad un assurdo “ping-pong” umano.

Siamo fuggiti dalla repressione dei nostri paesi verso l’Europa in cerca di una libertà che ancora una volta ci viene negata. Quel che accade alla frontiera francese è solo una parte di un percorso ad ostacoli che inizia sulle coste del Mediterraneo, dove sin da subito il mito dell’Europa “terra dei diritti” svela il suo volto ipocrita e repressivo. Dov’è la libertà di cui l’Europa si fa vanto quando innalza barriere di filo spinato e indifferenza? Quale attenzione ai diritti umani se la risposta alla domanda d’asilo è il respingimento? Fuggiamo dai campi profughi del nostro paese, nel quale ci viene negata la libertà di movimento, per approdare in un’Europa che ci riserva lo stesso trattamento.

La maggior parte di noi fugge dal Sudan, paese lacerato da una guerra civile in cui dittatori corrotti hanno fomentato conflitti tra etnie, dividendo così la popolazione e perpetuando i loro abusi di potere. In Sudan un partito unico governa da 26 anni; il diritto all’istruzione, alla sanità e ad una vita degna è garantito solo ad una piccola élite. Ogni forma di dissenso è duramente repressa, ma anche la quotidianità è pervasa dal terrore. Rapimenti, carcere, torture, stupri sono gli strumenti di cui il governo si serve per esercitare il controllo ed arginare ogni forma di opposizione. L’accesso all’istruzione è appannaggio di chi si dichiara filogovernativo; la corruzione è così radicata per cui anche curarsi diventa impossibile per chi non ha i mezzi.

Anche in Eritrea si vive nella paura costante dei mercenari armati del governo, che obbliga alla leva militare sin dai 14 anni. La nostra storia è comune a tante altre persone, africane e non , che vedono nell’Europa un rifugio sicuro e la garanzia di una vita degna. Invece, con il suo silenzio complice, l’Europa non solo alimenta e asseconda regimi dittatoriali corrotti nei nostri paesi d’origine, ma chiude le porte a chi da questi regimi cerca di fuggire.

Ed è a quest’Europa che, dal presidio No Borders di Ventimiglia, chiediamo:


-l’immediata apertura della frontiera franco-italiana e la libera circolazione all’interno degli stati europei anche per chi non è cittadino comunitario. Perché i cittadini europei possono circolare liberamente nei nostri paesi, mentre noi qui incontriamo solo confini invalicabili?

– agli stati europei di ammettere le loro responsabilità coloniali nell’aver reso l’Africa un campo di battaglia per lotte intestine favorite da leaders corrotti e facciamo appello all’opinione pubblica affinchè faccia pressione sui propri governi per porre fine al suo silenzio e smetterla di alimentare con armi e finanziamenti regimi dittatoriali

– la revisione del trattato di Dublino III che vincola la domanda di asilo al paese di arrivo, in cui spesso veniamo costretti anche con la forza a rilasciare le impronte digitali. Molti di noi hanno parenti ed amici in paesi che questa legislazione ci impedisce di raggiungere.

– il rispetto del trattato di Ginevra e la garanzia che ci vengano riconosciuti quei diritti di cui l’Europa si fa portavoce

– chiediamo ai governi europei, dal momento che fanno continuamente appello alla tanto decantata “legalità” di rispondere del trattamento violento e repressivoche la polizia ci riserva: sono “legali” le identificazioni forzate, i maltrattamenti? Sono legali le minacce, le percosse della polizia? È legale il continuo processo di criminalizzazione a cui veniamo soggetti appena sbarcati in Europa?

– ai giornalisti di dare voce alle nostre storie oltre gli stereotipi e di denunciare le condizioni disumane in cui viaggiamo anche all’interno della stessa Europa.


L’accoglienza che ci aspettavamo dall’Europa l’abbiamo trovata nelle singole persone, non nei governi. Insieme ai fratelli e alle sorelle del presidio No Borders rivendichiamo la libertà di movimento e l’apertura di ogni frontiera.

WE ARE NOT GOING BACK!

I Migranti del Presidio No Borders Ventimiglia

(EN)

In June 2015 the French government decided to close its borders with Italy. In response to this closure, between Menton and Ventimiglia, some of us chose to resist on the rocks near the border, showing the will not to stop, claiming freedom of movement and demanding the opening of the border. Many people from all over Europe joined our struggle and in this way the Presidio No Border was born, a space where migrants and activists live together and resist the violence of the border. Since June the struggle keeps on going, every week the Presidio demonstrates at the border against the violent practice of denial of entry to France.

Frequent controls, stopping and detention of people are now every day practice at the italian-french border. Every day in the train station of Menton Garavan many people coming from Italy are being stopped and forced to leave the train according to their colour of skin and are deported to border police station. Here they could wait for hours without access to food and water and without being given any further information. Randomly the police chooses either to release those people into France, or to push them back to Italy, creating an absurd human ping pong game.

We escaped from the repression in our own countries to go to Europe, looking for freedom which is denied to us once more. What happens at the French border is just one step of a troubled path which starts at the Mediteranean coast. Here on this coast we experience very soon that the myth of Europe as a “land of human right and freedom” shows its hypocrite and repressive side.

Where is the freedom that Europe is so proud of, when actually it is constructing fences of iron and indifference? What happened to the human rights if the only answer to the asylum seekers is the refusal of their demands?

We escaped from refugee camps in our home countries where we were denied freedom of movement in order to reach Europe which, now, treats us in the same way that we were treated at home.

Many of us escaped from Sudan, where the civil war is still going on, where corrupt dictators have fed ethnic conflicts, have separated the population and go on abusing us. There is only one political party in Sudan which is reigning the country for 26 years; education and access to health care are available to only a small percentage of the population. Each form of opposition is brutally repressed, but also our daily life is full of terror: kidnapping, random jail sentences, torture and rape are tools that our government uses to control and repress us. Education is available only to those who are friend with the government and corruption is so strongly rooted in daily life that even for accessing the health care system you have to pay bribes.

In Eritrea people live in common fear of armed government forces. Military service in Eritrea is compulsory for both, women and men, at the age of 14. Our experience is shared by many other people, Africans and non-Africans, who are seeing in Europe a save shelter and a guarantee of a decent life. Opposing to this, Europe is contributing to the situation in our home countries by staying silent and in this way supporting our corrupt government and in the same time closing its doors for those who want to escape from these regimes.

To this Europe we are demanding from the No Borders camp in Ventimigla:


– the opening of the French-Italian border and freedom of movement within Europe for everyone, both Europeans and non-European citizens. Why can Europeans easily come to our countries when in the same time we find our limits even at the inner-european borders?

– We are appealing to the public opinion of Europena countries- which have colonized Africa, making it a battlefield full of internal struggle, fed by corrupt leaders- to pressure their governments in order to stop the silence and the support of our governments by arms and weapons.

– We are demanding the revision of Dublin III to dislink the process of asylum seekers with their first country of arrival in the EU. In the country of arrival we are often forced to give our fingerprints, which ties our asylum seeking process to this country. Many of us have parents, family and friends in other European countries and we can not reach them according to this treaty.

– the treaty of Geneva will be respected and the guarantee of human rights that Europe is so proud of.

– we are asking to European governments since they are always talking about legality: is the violent and repressive behaviour of the border police legal? Are forced identification, mistreatment, blackmail, physical violence legal? Is the ongoing criminalization of us, that we encounter since we are in Europe, legal?

– we ask journalists to report our stories without stereotypes, to report the unhuman condition that we are forced to travel whithin Europe, and to report the brutal practices at the inner-european borders.


The welcoming that we expected from Europe we can only find in individuals, but not in governments. Together with the brothers and sisters of the No Border camp we claim freedom of movement and the opening of all the borders.

We are not going back!

Migrants of the No Border camp in Ventimiglia.

(FR)

En juin le gouvernement français a decide de fermer la frontiere avec l’Italie. Pour protester contre ce blocage entre Menton et Ventimille, nous sommes restes sur les rochers a quelques unEs, demontrant notre volonte de poursuivre et revendicant la liberte de circulation et l ouverture des frontieres. Cette protestation a rallie des personnes venant de toute l’Europe.

C’est comme cela qu est né le Presidio No Border. C’est un espace de resistance autogeré dans lequel migrants et activistes vivent et luttent ensemble contre la violence des frontieres. Depuis juin, cette lutte se continue et chaque semaine le Presidio no Border manifeste devant la frontiere, face à la police contre les éxpulsions. Controles de police, arrestations, detentions extenuantes sont notre quotidien à la frontiere franco-italienne. Chaque jour, à la gare de Menton Garavan des personnes sont sorties du train au regard de la couleur de leur peau et déportées au poste de la Police aux frontiéres. Une fois là bas, ils elles sont enfermè-e-s dans des conteneurs sans eau ni nourriture ni informations sur leur situation. La Police dècide alors arbitrairement de les relacher en France ou de les renvoyer en Italie, créant un étrange “ping pong humain”.

Nous avons fui la répression de notre propre pays, recherchant une liberté qui nous est refusée une fois encore. Ce qui ce passe ici à la frontière franco-italienne est un autre obstacle mis sur notre chemin commencé sur les cotes Méditerranéennes. C’est là où le mythe de l’Europe, terre des droits de l’Homme est apparu dans toute son hypocrisie.

Où est la liberté dont l’Europe est si fiere quand elle erige des barrieres d’acier et d’indifférence? Qu’est-il advenu des droits de l’homme si la seule réponse aux demandeurs d’asile est leur expulsion?

On s’est échappé des camps de refugiés dans nos pays où nous n’avons aucune liberté de mouvement. Nous nous retrouvons maintenant en Europe où nous sommes traités de la meme maniere.

Nous avons fui, pour beaucoup, le Soudan où la Guerre Civile fait toujours rage, où des dictateurs corrompus fomentent des conflits ethniques, divisent le peuple et nous abusent encore et toujours.

Au Soudan il n’y a qu’un parti politique qui régit le pays depuis 26 ans. L’accès à l’education et à la santé ne sont réservés qu’à un trés faible pourcentage de la population. Chaque mouvement d’opposition est reprimé violemment et nous vivons notre quotidien dans la terreur. L’education n’est ouverte qu’aux proches du governement et la corruption est tellement monnaie courante que pour accéder aux soins on doit payer des bakshich.

En Erytrée le peuple vit dans la peur constante de la violence des forces armés du Governement. Le service militaire y est obligatoire pour garçons et filles à l’age de 14 ans.

Notre expérience est partagée par de nombreuses personnes, africaines et non africaines, qui toutes voient en l’Europe un refuge et la garantie d’une vie décente. Face à cela, l’Europe garde le silence supportant de fait les gouvernements corrompus et contribuant donc aux situations locales. Elle ferme, dans le meme temps, ses portes a ceux-celles qui tentent de fuir ces regimes.

Depuis le camp No Border aVentimiglia, nous demandons a cette Europe:


– l’ouverture de la frontiere franco-italienne et la liberté de mouvement en Europe pour tous et toutes europeens ou non. Comment cela se fait-il que les europeens-ennes puissent entrer facilement dans nos pays quand nous ne pouvons meme pas passer une frontiere interne de l Europe.


– Aux pays europeens qui ont colonises l’Afrique, qui en ont fait un champ de bataille, rempli de conflits internes, nourris par des chefs corrompus, a l’opinion publique de ceux-la: faites pression sur les gouvernements afin de briser le silence et d’arreter le soutien a nos gouvernements par l’approvisionnement en armes.

– Nous demandons la revision du traite de Dublin III. Nous reclamons l’arret du lien systematique entre le 1er pays d’arrivee et le processus de demande d’asile. On nous demande trés souvent nos empreintes digitales a l’arrivée [afin de commencer la procedure]. Mais beaucoup d’entre nous avons des parents ou amis qui vivent dans un autre pays, pays que nous ne pouvons donc pas atteindre au regard de ce traite.

– Le respect du traité de Geneve et la garantie des droits de l Homme dont l Europe est tellement fiere.

– Nous demandons aux gouvernements européens qui rappellent toujours le droit et la legalité: est ce que les comportements violents et repressifs de la police sont legaux? Les identifications forcees, les mauvais traitements, les menaces, les coups et autres violences physiques sont-ils legaux? Est- ce-que le processus de criminalisation que nous subissons depuis notre arrivee est legal?

– Nous demandons aux journalistes de rapporter nos histoires sans stereotypes et nos conditions de voyage inhumaines auxquelles nous sommes reduit-e-s en Europe.


>
L’accueil que nous esperions de la part de l’Europe ne se retrouve que dans quelques individu-e-s, mais certainement pas de la part des gouvernements. Ensemble avec les soeurs et les freres du camp no Border, nous reclamons la liberté de circulation et l’ouverture de toutes les frontieres.

“WE ARE NOT GOING BACK”

Les migrant-e-s du campement No Border de Ventimiglia.

[AR]

لن نعود إلى الوراء

في شهر حزيران قررت الحكومة الفرنسية اغلاق الحدود مع ايطاليا مخالفة بذالك اتفاقية “الشنغن”الاروبية. ردا على هذا الاغلاق بين “فينتيميليا” و “مينتون” (على الحدود الفرنسية الايطالية) قررت مجموعة منا المقاومة على الصخور البحرية (على الحدود). باظهار القدرة على عدم الاستسلام و البقاء على مبادئ الحركة و فتح الحدود. في التظاهرة تجمع افراد من كل انحاء اوروبا. من هنا نشأت مجموعة “بلا حدود”، مساحة المقاومة و التنظيم الذاتي. و من هنا بدأ المهاجرين و المتضامنون بالعيش سويا. و معا يناضلون ضد الانتهاكات على الحدود.

من شهر حزيران التظاهرة لم تتوقف : كل اسبوع تظهر مجموعة بلا حدود امام الحاجز الحدودي ضد الشرطة الحدودية و ضد الرد العنيف من قبلهم لمنع الدخول (بدفعهم) ويتم ايقافهم بالحجز لفترات طويلة و مرهقة، و يحصل هذا الامر بكثرة في الحياة اليومية على الحدود الإيطالية الفرنسية بشكل يومي في محطة القطار في مدينة مينتون (محطة مينتون غارافان) الكثير من الناس يتم انزالهم من القطارات على اساس عرقي مبني على لون البشرة ويتم ترحيلهم الى مقرات الشرطة الحدودية وفي مقرات الشرطة الحدودية يتم احتجازهم لساعات، في كونتينرات مغلقة بدون ان يحصلوا على اي معلومة او حتى طعام، اعطباطيا و بدون اي خلفية قانونية او رسمية، الشرطة تقرر إن تركهم في فرنسا او تعيدهم الى ايطاليا. وبذالك اخترعوا لعبة البينغ بونغ البشري. لقد هربنا (اللاجئين) من الظلم والاضتهاد في بلادنا الى اوروبا بحثا عن الحرية حتى نجد امامنا المزيد من الظلم والاضتهاد ضدنا. ما حدث غلى الحدود الفرنسية الايطالية ما هو الا جزء بسيط من الرحلة مليئة بالمطبات و العثرات والتي بدأت على شواطئ البحر الابيض المتوسط، ومنذ البداية تحولت فكرة اوروبا و أسطورة ارض الحريات و ارض الحقوق و اظهرت جانبها المنافق و الكابت للحريات.

اين هي الحريات التي تزعم اوروبا دعمها و حمايتها واوروبا ذاتها تبني الاسوار والحواجز الشائكة بدون تفرقة؟ اين هي حقوق الانسان والحريات عندما تطرد اوروبا الطالبين اللجوء الانساني بدلا من استقبالهم؟

هربنا من مخيمات اللاجئين في بلادنا التي تمنع فيها الحريات اساسا ومنها حرية الحركة، حتى نذهب الى اوروبا التي تعاملنا بنفس الاسلوب. الجزء الاكبر منا لجأ وهرب من السودان بلد تمزقه الحرب الاهلية، واستفاد القادة الديكتاتوريين من النزعات الطائفية لتغذية الحرب ومصالحهم، وقد قسموا الشعب واستمروا باستغلال قوتهم وصلاحيتهم.

في السودان هناك حزب حاكم واحد يحكم منذ 26 عام، و قد اصبح التعليم و الصحة و الحياة الكريمة حصرا على جزء بسيط من النخبة. كل اشكال المقاومة يتم قمعها بالقوة وحتى الحياة اليومية اصبحت مليئة بالرعب والارهاب. خطف، سجن، تعذيب: واغتصاب هي الادوات والوسائل التي تستخدم من قبل الحكومة والدولة للتحكم والسيطرة على اي نوع من انواع المعارضة. حتى في إيريتريا نعيش نفس الوضعية، حياة مليئة بمخاطر مرتزقة الأسلحة، حيث يجبروننا منذ سن 14 على تقديم الخدمة العسكرية. وضعياتنا تتشابه إفريقيين او غير كنا، يرونا في أروبا شاطئ الأمان.

ومن مقر إعتصام “لا للحدود” بفنتيميليا، نطالب من أوروبا:

بالفتح الفوري للحدود الإيطالية-الفرنسية و حرية التنقل في داخل الفضاء الأوروبي لمن يحمل جنسية مغايرة للمنظومة الدول الأوروبية. لأن الأوروبيون يتنقلون بحرية في بلداننا. على الدول الاوروبيه تحمل مسؤوليتهم الإستعمارية حيث حولو الأراضي الإفريقية إلى ساحات حرب بإشعال الحروب الداخليه التي هم سبب فيها والمواصلة في إفتعال هذه الحروب بدعم الحكام الدكتاتوريين وتسليحهم. كم نتوجه إلى الرأي العام بالضغط على حكوماتهم للتحرك الفعلي.

نطالب بإعادة النظر في معاهدة دبلن3 التي تعرقل الحصول على حق اللجوء حيث لا يمكن طلب حق اللجوء إلا عند اول بلد وقع الوصول فيه، كما الكف عن إجبارنا بأخذ البصمات بطريقة غير إرادية وحيث تنص المعاهدة على إعطاء البصمات في أول بلد أوربي وصلت إليها ويترتب على ذلك عجزك عن اللحاق بالأهل في البلدان الأوربية الأخرى. نطالب باحترام معاهدة جنيف وضمان الحقوق التي تتدعي أوروبا مناصرة لها. نسأل الحكومات الأوربية ، في الوقت الذي يطالبون فيه بالشرعية ، الإجابة عن المعاملات التعسفية والقمعية التي قامت بها قوات الأمن منها، سوء العاملة، التهديدات، الضرب، إستمرار تجريم اللاجئين الجدد.

نتوجه للصحافيين بدعوة إيصال صوتنا والتعريف بوضعيتنا والتنديد بالظروف الغير الإنسانية التي نعاني منها حتى في الفضاء الأوروبي.

الترحيب الذي كنا نحلمو به لم يتأتى من الحكومات بل من الأشخاص. بمعية الأخوات والأخوة لإعتصام “لا للحدود” نطالب بحرية التنقل وفتح الحدود.

Dinamo Press
23 09 2015

Esprimiamo solidarietà e vicinanza da Roma ai compagni del Tpo e Labas colpiti da misure cautelari oggi a Bologna, a causa di essersi opposti, assieme a migliaia di persone, alla provocazione nazifascista di Forza Nuova.

Siamo solidali e complici, denunciamo il clima di intimadazione e persecuzione contro gli attivisti dei movimenti sociali e richiediamo libertà immediata pèer Gianmarco, Tommaso, Roberto, Christofer e Domenico! Liberi tutti, liberi subito!

Il comunicato di Tpo e Labas:

Questa mattina sono state notificate ennesime misure restrittive tra arresti domiciliari e obblighi di dimora nei confronti di 5 attivisti del TPO e Labas Occupato. Misure che si vanno ad aggiungere agli arresti domiciliari per Gianmarco, colpito già 3 settimane fa dal divieto di dimora a Bologna.

A Roberto, Christofer e Gianmarco sono stati dati gli arresti domiciliari mentre per Tommaso e Domenico l'obbligo di dimora nei comuni di residenza.

I fatti riguardano la giornata del 18 ottobre 2014, quando centinaia di persone scesero in piazza per manifestare contro la presenza in città dei fascio-nazisti di Forza Nuova.

Consideriamo questo uso politico delle misure cautelari un attacco, non solo alla libertà personale dei nostri compagni, ma a quella parte di città che prova con generosità e mettendosi in gioco a dare delle risposte reali nella crisi sociale e di diritti che stiamo vivendo.

Domani 23 settembre alle ore 12.00 conferenza stampa al TPO!

Dinamo Press
23 09 2015

Giovedì 24 settembre mobilitazione dei lavoratori e delle lavoratrici della coop 'Un Sorriso', sostenuti dalle Camere del Lavoro Autonomo e Precario fuori l'assessorato alle Politiche Sociali di Roma Capitale.

Da quasi un anno sentiamo parlare del malaffare svelato dall’inchiesta di Mafia Capitale. Tuttavia l’amministrazione capitolina, dopo essere stata coinvolta dalla stessa inchiesta ed aver dichiarato di voler prendere le distanze dai meccanismi clientelari finora emersi, non sembra voler affrontare seriamente il tema delle conseguenze che la corruttela ha sia sui destinatari dell’accoglienza, sia su chi ci lavora.

Da diversi mesi i lavoratori e le lavoratrici dell’accoglienza a Roma hanno provato a rompere il silenzio intorno alle condizioni di lavoro inaccettabili che sono costretti a subire e si sono riuniti in un’assemblea cittadina dei lavoratori dell’accoglienza (ALA). A tre mesi di distanza dall’iniziativa di ALA del 1 Luglio nella quale, tra le altre cose, erano state denunciate situazioni di gravi mancanze inerenti i pagamenti degli stipendi dovuti dagli enti appaltanti ai lavoratori, come operatori e operatrici della Cooperativa “Un Sorriso” abbiamo deciso di ribadire all’assessore Danese il persistere delle condizioni di lavoro inaccettabili a cui siamo sottoposti a fronte della mancanza di qualsivoglia provvedimento da parte dell’amministrazione.

Vogliamo denunciare la gravità della situazione odierna, causata dalla gestione scellerata della cooperativa avallata dalle istituzioni e resa emblematica dalla situazione degli stipendi, che sono stati erogati sporadicamente, arbitrariamente e in maniera differita: 4 mesi di arretrati accumulati per “La Casa delle Mamme”, fino a 6 mesi per il servizio Sprar, addirittura nessuna retribuzione corrisposta agli operatori di “Astra”, progetto in cui il Comune di Roma figurava come capofila, revocato ad Aprile dal Ministero dell’Interno per gravi inadempienze. A fronte delle mancate retribuzioni e del silenzio della cooperativa al riguardo, i lavoratori e le lavoratrici hanno comunque continuato a svolgere il proprio lavoro garantendo i servizi alla persona e tutelando i destinatari.

Le stesse mensilità dovute ai lavoratori si sono accumulate in un periodo in cui la suddetta (e sedicente) cooperativa continuava a vincere e gestire progetti per l’accoglienza di migranti in tutto il territorio nazionale distogliendo le risorse destinate al pagamento degli stipendi verso nuovi discutibili investimenti, senza sanare precedenti situazioni debitorie.

Evidente conseguenza di questo è stato l’impatto sulle vite delle persone: in primo luogo sui lavoratori, che in moltissimi casi sono stati incentivati, se non costretti, alle dimissioni; a cascata sugli ospiti, che nel caso del centro Sprar hanno subito la dismissione di alcuni servizi essenziali, come pulizie, scuola interna di italiano, mediazione linguistica ed assistenza psicologica.

La gestione della forza lavoro da parte della Cooperativa Un Sorriso è stata negli anni sempre mirata allo sfruttamento delle risorse umane e accompagnata da pratiche lesive dei diritti: sottomansionamento, tardiva formalizzazione dei rapporti di lavoro, inadeguato riconoscimento del livello contrattuale, rifiuto sistematico di riconoscere le maggiorazioni per i turni notturni e, ultimamente, imposizione unilaterale di tagli al monte orario nel servizio Sprar. Si è arrivati a praticare forme di mobbing verso chi ha provato a far valere i propri diritti.

Da molti anni sappiamo che la realtà di chi lavora nel sociale è al limite dello sfruttamento, ma abbiamo deciso, a partire dalla situazione che stiamo vivendo direttamente, di rompere il muro di silenzio che ha permesso lo svilupparsi delle suddette situazioni, rischiando peraltro di assimilare la posizione di chi lavora in tale sistema, e lo subisce, a quella di chi vi specula.

Riteniamo essenziale che il Comune di Roma in qualità di committente e gestore di fondi destinati all’accoglienza sul suo territorio assuma un ruolo attivo nel superamento di questa fase e si renda direttamente responsabile della buona gestione di tali fondi. A tal fine, appare indispensabile introdurre un meccanismo di monitoraggio chiaro, efficace, efficiente e neutrale, che permetta di intervenire revocando gli appalti qualora un ente si dimostri inadempiente.

Pertanto abbiamo deciso di mobilitarci per chiedere conto all’amministrazione capitolina delle nostre condizioni di lavoro, di provvedere a sbloccare la situazione delle retribuzioni, garantendo la tutela dei lavoratori e delle persone accolte.


Giovedì 24 settembre ore 10.00 presidio di fronte l'Assessorato alle Politiche Sociali (viale Manzoni 16) per esigere risposte chiare dall'amministrazione comunale


I lavoratori e le lavoratrici di Un Sorriso

CLAP – Camere del Lavoro Autonomo e Precario

www.clap-info.net

Un'opinione qualunque

Dinamo Press
23 09 2015

Il voto greco mi ha appassionato. Sento che è in gioco qualcosa che avrà influenza anche su noi. Allo stesso tempo, però, so che è e non è affar nostro, che non possiamo “partecipare” dall’interno, cavalcare la vittoria come fosse nostra o fare le pulci a vincitori e vinti, come se avessimo gareggiato e rischiato.

È indubbiamente un limite dell’internazionalizzazione della resistenza contro un capitale purtroppo invece globale, reticolare e solidale. Però non possiamo aggirarlo facendo un tifo sfrenato per Tsipras prima e/o dopo la vittoria, oppure strillando al tradimento e alla consumazione di una disfatta. Dico subito che la seconda scelta, oltre a essere sbagliata quanto la prima, mi sta pure sul cazzo.

Non riesco a capire del tutto le ragioni tattiche dei pochi mesi del primo governo Tsipras, soprattutto la connessione fra battaglia dell’OXI e accettazione del memorandum: entrambe inaggirabili, ma scombinate fra loro. Le difficoltà strategiche le compartecipo tutte, cioè non mi pare che siamo riusciti ancora a disegnare una forma europea delle lotte che metta in discussione il ruolo attuale dell’euro, che ne prospetti un superamento. Insomma, un’alternativa che possa essere alle prime dolorosa, ma non disastrosa anche a medio periodo.

Ci saranno nuovi tentativi, se non altro in Spagna. Qualcosa, non so bene cosa, lo produrrà in questo campo anche la grande spinta dei rifugiati. E qui potremmo intervenire facendo campagne e non solo solidarietà e complicità – che pure urgono. Cominciando dal cancellare nelle nostre menti e nelle nostre parola e poi nella pratica la distinzione ipocrita fra “migranti” economici (successori, nell’ordine simbolico e di nomenclatura, di “vucumprà”, extracomunitari e clandestini) e migranti “politici”, cioè da guerre o privazione di diritti. Tutti i migranti sono rifugiati, scappano dalla morte che falcia in vari modi, con esplosivi, fame e malattie. E tutti i rifugiati devono aver voce, cioè lavoro, welfare e diritto di voto.

Prima o poi se li prenderanno. Tocca a noi batterci insieme a loro, altrimenti perderemo i nostri diritti sociali e politici e avremo solo qualche capro espiatorio in più. Questo dobbiamo chiedere alla Merkel, ma in primo luogo al governo Renzi (che ancora mantiene la Bossi-Fini e si guarda bene dal normare il diritto d’asilo), e pure al governo Tsipras, che sta collocato in un posto strategico sia geograficamente che politicamente, come cerniera dei flussi migratori e della scala sociale dello sfruttamento.

Che Syriza abbia vinto è meglio che non se avesse perso. Mi trincero dietro questa ovvietà ritenendo in buona fede che aggiungere al ricatto europeo la violenza poliziesca e razzista e l’asservimento completo alla trojka di Nea Democratia sia una cosa infelice. Anche stupida per chi la crede. Ma esiterei a brindare. Aspetterei di vedere cosa farà il secondo governo Tsipras nelle strettoie del programma di risanamento. Se sarà una sinistra di governo o una sinistra al governo (preferendo l’aleatorietà della seconda formula), quanto tempo riuscirà a prendere per frenare il ricatto europeo, se interverranno eventi esterni a scompaginare il blocco dell’austerità. Movimenti, rotture politiche, intendevo, non trattative sull’elettività del Senato o flessibilità dello 0,1%. Per fortuna i Greci sembrano più politicizzati (perfino nell’astensione) degli Italiani.

Un’opinione strettamente personale: meglio parlare a titolo privato che a vanvera.

di Augusto Illuminati

Costruiamo l’Europa, apriamo le frontiere!

Dinamo Press
23 09 2015

Appello per la costruzione di una carovana transnazionale per l'apertura delle frontiere europee. Previste partenze da Italia, Austria, Germania, Svizzera, Slovenia e Croazia. Anche a Roma ci si organizza per partecipare. L'appuntamento è in Slovenia, a Lubiana, questo fine settimana.

L'appello alla mobilitazione:

Nelle ultime due settimane una duplice dinamica sta attirando l’attenzione generale e segnerà la storia d'Europa. Sui confini dell’UE polizie ed eserciti tentano di respingere con violenza i rifugiati, compresi i bambini, che fuggono da povertà e guerre - le stesse che l'Occidente ha causato o incoraggiato -, o di assoggettarli a procedure autoritarie di registrazione, con l'intenzione finale di negare loro il diritto alla vita e alla libertà. Allo stesso tempo, però, l'incredibile resistenza e il coraggio di queste persone, spinte dal desiderio di libertà, e la grande auto-organizzata risposta di solidarietà dal basso, che rende concreta la parola “welcome”, danno forma a una nuova realtà sulle frontiere dell'Unione Europea, sospendendo di fatto il regime della “Fortezza Europa” costruita sulle regole degli accordi di Schengen e del regolamento di Dublino.

Le immagini diffuse dai media fanno pensare a persone bisognose di aiuti umanitari, ma la verità è che si tratta di soggetti che stanno soprattutto lottando per la libertà di movimento, resistendo al regime dei confini e di fatto disobbedendo alle leggi che li escludono e li rendono illegali. Nel loro viaggio verso la libertà e la dignità, rifiutano di essere scaricati e dimenticati nelle strutture detentive o nei campi profughi in località remote, di finire permanentemente intrappolati in terre di nessuno, senza documenti né status legale. Nel farlo, costruiscono e difendono quei legami sociali e personali che li mettono in grado di superare collettivamente i confini e inserirsi nelle società di destinazione, mentre gli Stati cercano renderli individui isolati.

Per fermare questo movimento, le classi dirigenti europee e i governi nazionali stanno costruendo barriere e muri ai confini, dispiegando polizie ed eserciti, criminalizzando la solidarietà, sospendendo i diritti dei rifugiati e dei cittadini, introducendo di fatto uno stato di polizia. L'attacco alla libertà di movimento riguarda tutti coloro che vivono in Europa, compresi i cittadini europei. Infatti, mentre il tentativo di fermare o filtrare l'arrivo di chi fugge da guerre e povertà comporta violenze e sofferenze, in molti Paesi europei si discute l’introduzione di nuovi ostacoli alla libertà di movimento anche per i cittadini europei, consolidando le crescenti diseguaglianze e i meccanismi di esclusione prodotti dalla dittatura dell'austerità.

Ora è il momento di agire, supportando il movimento dei rifugiati, combattendo l’Europa dei tecnocrati e dell’austerità, mettendo fine alla crescita di nazionalismi e fascismi in tutti i Paesi europei. È questo il momento di chiedere un’Europa senza frontiere, un’Europa di diritti sociali, uguaglianza e dignità. È necessario che cittadini e cittadine d'Europa si schierino dalla parte di chi fugge da guerre e povertà, persone che non sono né vittime né criminali, ma ribelli e partigiani.

È il momento di mostrare concreto appoggio alla battaglia di tutte e tutti coloro che aspirano alla libertà di movimento, a prescindere dal loro Paese di origine.

Crediamo sia necessario fare di tutto per aprire le frontiere, per costruire corridoi e passaggi sicuri per approdare in Europa. Per questa ragione lanciamo l'appello per una carovana transnazionale per frontiere aperte.

È un appello rivolto a tutte e tutti gli attivisti, collettivi, gruppi di affinità, iniziative di solidarietà con i migranti e chiunque altr@, in tutta Europa, ad unirsi alla Open Borders Caravan che partirà da Lubiana il 26 Settembre alle 10 del mattino e si dirigerà sulla frontiera dove i migranti staranno combattendo per la libertà di movimento (ovvero dove verranno fermati dalla polizia o dai militari), per creare solidarietà con le persone in fuga dalla guerra e dalla povertà, e agire insieme per aprire le frontiere.

Invitiamo anche chiunque possa a venire a Lubiana un giorno prima, il 25 Settembre alle ore 17 a piazza Prešeren, per partecipare al festival e alla manifestazione per l’apertura delle frontiere per tutti e tutte.

Costruiamo l’European Open Borders Caravan per mostrare che l’Europa può essere una terra di diritti e dignità per tutti, nonostante l’ipocrisia delle istituzioni e la propaganda xenofoba. Contro le politiche dell’UE e dei governi, contro recinti, Frontex, deportazioni e quote di riallocazione, la nostra azione comune vuole aprire passaggi autorizzati perché tutti possano arrivare in sicurezza alla destinazione che hanno scelto, per la piena cittadinanza per tutti e tutte, e per la fine del Regolamento di Dublino.

Uniamoci a questa causa!

Niente può fermare la volontà di vivere e il desiderio di libertà!

Supportiamo assieme le persone migranti, i rifugiati e le rifugiate! Perché la loro lotta è la nostra lotta e il loro futuro è il nostro futuro!

Vai alla pagina facebook: Open Borders Caravan

Elezioni in Grecia: quanto ha pesato l'astensione?

Dinamo Press
22 09 2015

Una serie di appunti utili a capire il risultato elettorale greco, il peso dell'astensione, il calo generalizzato della partecipazione elettorale. La vittoria di Syriza non nasconde una sempre più diffusa sfiducia nel sistema politico ellenico


Questo testo è una raccolta di tweet pubblicati dal profilo @IrateGreek e successivamente raccolti in questa Storify

.
1. L’astensione nelle elezioni greche è stata gonfiata artificialmente dal fatto che le liste elettorali non sono aggiornate.

2. In particolare, il numero degli elettori registrati (9,9m) è lo stesso dei cittadini residenti, in cui sono compresi, ad esempio, i bambini.

3. Ciò è dovuto al fatto che gli elettori deceduti non sono stati rimossi dalle liste, in cui, tra l’altro, sono compresi anche i cittadini emigrati all’estero.

4. Il tasso di astensione nelle elezioni di ieri, quindi, considerato il reale numero degli elettori NON E’ del 43,5%,.

5. Ciò che va osservato, invece, è la variazione dell’astensione tra un’elezione e l’altra, e il numero assoluto dei partecipanti.

6. Nelle #GreekElections di ieri ci sono state circa 780 000 cittadini che hanno scelto di non votare, rispetto alle elezioni di gennaio.

7. Questi 780 000 elettori che si sono astenuti sono elettori “reali”, che hanno partecipato alle scorse elezioni, non persone che esistono solamente sulla carta.

8. Ciò significa che gli elettori che hanno partecipato alle #greekElections di gennaio e si sono astenuti ieri sono il terzo gruppo politico in Grecia.

9. Tutti i partiti che sono entrati in parlamento col voto di ieri hanno perso voti, eccetto l’Unione dei Centristi e il PASOK

10. Nel caso del PASOK, la crescita dei voti è artificiale, dato che si sono presentati in coalizione con Dimar.

11. E’ anche interessante notare che nelle elezioni di Gennaio la coalizione PASOK, Dimar, Kidiso, aveva ottenuto circa 470 000 voti, mentre oggi il PASOK asseme a Dimar ne ha ottenuti solo 340 000.

12. Il partito che ha perso più voti rispetto alle elezioni di Gennaio è Syriza (- 325 000)

13. In termini relative, I partiti che hanno perso più voti sono: Potami (-41%), ANEL (-32%), Syriza (-14%), ND & KKE (-11%), GD (-2%).

14. Probabilmente ciò che ha permesso ai piccoli partiti come ANEL, Potami e i Centristi, di entrare in parlamento, è stata l’astensione.

15. E’ interessante notare, inoltre, la diminuzione dei voti destinati ai partiti che non sono entrati in parlamento (-90 000 pari al -16%).

16. Questo potrebbe stare a significare un’affermazione del voto utile tra coloro che hanno votato ieri in Grecia.

17. Potrebbe anche significare una disillusione nei confronti dei piccoli partiti e/o una deliberata astensione dei loro elettori, come atto di delegittimazione della tornata elettorale.

18. In ogni caso, un calo del 12% degli elettori che hanno scelto di votare alle elezioni di ieri, rappresenta un diffuso rifiuto dell’attuale sistema politico.

19. Il fatto che ogni singolo partito abbia perso voti sta a significare che questo rifiuto è trasversale agli schieramenti politici.

20. La crescita dell’astensione può significare disillusione non solo verso i partiti politici, ma in generale verso la democrazia parlamentare.

21. Siamo in un bel casino.


*Traduzione a cura di Dinamopress

di @IrateGreek*

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