Atlasweb
27 11 2013
l governo afghano sta prendendo in considerazione la possibilità di reintrodurre nel paese la lapidazione per punire il “reato morale” di adulterio.afghanistandonne
La denuncia parte dall’Ong per i diritti umani Human Rights Watch (Hrw), secondo cui la bozza del nuovo codice penale che sta preparando il ministero della Giustizia stabilisce che se un uomo o una donna sposati vengono scoperti ad avere una relazione sessuale, saranno entrambi condannati alla lapidazione pubblica.
Inoltre, nel caso in cui la coppia trovata ad avere una relazione sessuale non è sposata, la punizione sarà di cento frustate.
La lapidazione pubblica è stata utilizzata come punizione durante il regime dei talebani tra la metà degli anni novanta e il 2001, quando gli Stati Uniti e i loro alleati hanno fatto il loro ingresso in Afghanistan.
L’attuale codice penale afghano, risalente al 1976, non prevede la lapidazione.
Osservatorio Afghanistan
20 11 2013
Il Fatto Quotidiano – 19 novembre 2013
di Toni De Marchi
Dovremmo essere tutti grati alle agenzie di stampa per il lavoro oscuro che fanno. Senza di loro, per esempio, non avremmo mai saputo che il generale Roberta Pinotti (utilizzando il suo consueto incarico di copertura di sottosegretario-senatore Pd) ha salutato “l’efficientamento operativo della flotta dei C-27J”. Persino il correttore ortografico mi segnala un errore alla parola efficientamento. Solo la Pinotti o chi le scrive i comunicati non lo sa. Ma transeat, fosse tutto qui. Il bello viene mezza riga prima, quando l’indefettibile generalessa mette questo efficientamento nel “quadro del contenimento dei budget della difesa”. Un momento, rileggiamo con calma. Macché, dice proprio così: nel quadro del contenimento. È la prima volta nella storia dell’umanità che qualcuno dice che vuol spendere un centinaio di milioni di euro in armi (a tanto stima il costo dell’operazione la rivista Analisi Difesa) per “contenere” il bilancio militare. D’altronde non c’è la spending review di Cottarelli?
Alle giravolte logiche, sintattiche e dialettiche degli sponsor italioti dell’armiamoci e partite siamo abituati. Senza sprofondare negli abissi degli F-35 “elicotteri con cui si spengono incendi, trasportano malati” (copyright Francesco Boccia, più noto per essere il marito di Nunzia De Girolamo), tutti i giorni sentiamo parlare di portaerei per la protezione civile (ammiraglio De Giorgi), missili per difendere obiettivi civili (ancora Pinotti) e altre amenità al fulmicotone come queste. Ma qui, davvero, il politically correct raggiunge il suo apice. Speriamo che una risata vi seppellisca.
Purtroppo, all’involontaria comicità della generalessa Pinotti fa riscontro la drammatica realtà di uno Stato con le pezze al culo che si compra sei cannoniere volanti spendendo cento milioni di euro (senza contare il costo degli aerei, naturalmente: quelli li abbiamo già). A parte gli Stati Uniti, nessuno al mondo ha o ha mai avuto in servizio delle cannoniere volanti. I meno giovani ricorderanno l’uso smodato che ne fecero gli americani nel Vietnam. The Awesome Power of USAF Gunships, la meravigliosa potenza della cannoniere, si intitola un articolo del 1999 pubblicato dalla rivista ufficiale dell’Usaf. Ma le hanno impiegate poi praticamente in tutte le loro guerre, da Grenada, a Panama, alla Somalia, all’Iraq, all’Afghanistan e alla Libia. Naturalmente tutte le guerre dove il nemico è uno straccione o poco più perché nulla potrebbero contro un avversario ben armato di aerei e missili. Gli americani spendono però 530 miliardi di dollari per le loro Forze armate, cioè più di quanto non spendano tutti gli altri Paesi del mondo messi insieme. Hanno anche reparti di delfini e leoni marini (non è uno scherzo, è vero: si chiama US Navy Marine Mammal Program). Che dovremmo fare: costituire battaglioni di cozze per non essere da meno?
La notizia dell’acquisto da parte italiana di sei cannoniere volanti MC-27J Praetorian è stata data ieri al salone dell’aeronautica di Dubai. Si tratta di aerei da trasporto trasformati imbarcando una suite elettronica di sorveglianza e comunicazione e un micidiale cannone ATK GAU-23 Bushmaster da 30 millimetri capace di spazzare con i suoi colpi un’area grande quanto un campo da calcio. Inoltre l’Alenia-Aermacchi sta lavorando per l’integrazione nel sistema d’arma di bombe plananti GBU-44/B Viper Strike guidate dal GPS o bombe razzo di precisione AGM-176 Griffin.
Naturalmente a nessuno è venuto in mente di chiedere il parere alle Camere, come la legge impone. Presenteranno il parere tra qualche mese e lo giustificheranno con il solito ritardo delle poste. Tanto questi comprano gli F-35 come fossero confetti, figurati se fanno resistenza per cento milioncini.
La prima di queste cannoniere volanti sarà consegnata, dice il comunicato dell’Alenia-Aermacchi che le costruisce, il 31 marzo 2014. In tempo per essere “testata in scenario operativo nel primo semestre del 2014” (sono parole del comunicato, non mie). Come si capisce, bisogna fare in fretta. Per avere un teatro operativo bello fresco sotto mano bisogna andare in Afghanistan prima che le truppe si ritirino, alla fine del prossimo anno. Altrimenti dove trovare tanti cattivi talebani contro cui sparare con la suprema giustificazione di difendere qualche inalienabile diritto umano come il diritto all’oppio, ad esempio, la cui produzione oltre il passo Kyber si è moltiplicata dopo l’inizio della guerra (nella provincia di Helmand nel 2012 si è prodotto il triplo dell’oppio del 2006)? Alla fine cento milioni cosa sono se vogliamo efficientare la flotta e soprattutto contenere il budget. Peccato che non ci si possa mettere anche la protezione civile. Ma non si sa mai: qualcosa da fare gliela troviamo anche quiI
Osservatorio Afghanistan
11 11 2013
Il numero di attentati subiti da Malalai Joya riportato dai media è molto spesso impreciso – la cifra esatta infatti è sette, non sei; senza considerare poi che questo numero si riferisce solo ai tentativi scoperti.
Nel 2007, Joya, giovane parlamentare afghana, venne espulsa dal governo per aver denunciato la presenza di signori della guerra in Parlamento. L’allora ventottenne Joya, attivista per i diritti delle donne, denunciò l’occupazione delle truppe americane in Afghanistan, i loro ufficiali fantocci, e definì i talebani retrogradi e medievali. Da quel giorno le minacce di morte si sono moltiplicate, così come gli attentati per mano dei talebani.
Dopo essere stata cacciata dal parlamento afghano, Joya è stata definita una ‘mafiosa antidemocratica’ e la sua impopolarità, già molto diffusa nel paese, si è estesa anche all’estero. Nel 2011 la richiesta di visto per gli Stati Uniti, dove avrebbe dovuto promuovere il suo nuovo libro, Finché avrò voce, e denunciare in una serie di incontri pubblici l’occupazione americana e le devastanti conseguenze per il popolo afghano, venne rifiutata dal Dipartimento di Stato americano in quanto ‘disoccupata’ e ‘attivista clandestina’. Alla fine, l’ondata di proteste pubbliche e una petizione con oltre 3000 firme – inclusa quella di Noam Chomsky – costrinsero il Dipartimento di Stato americano a rivedere e quindi accogliere la sua richiesta di visto.
Joya, che il mese scorso si trovava a New York per una serie di conferenze, viene spesso confusa con un’altra giovane attivista, anch’essa impegnata nella difesa dei diritti delle donne: la quattordicenne pakistana Malala Yousafzai, sopravvissuta ad un attentato da parte dei talebani e che, a differenza di Joya, è stata molto ben accolta negli Stati Uniti.
Mentre la quattordicenne Yousafzai ha ricevuto una grandissima attenzione da parte dei media americani, la visita di Joya negli Stati Uniti è stata a malapena pubblicizzata. Dei due visti concessi dal Dipartimento di Stato americano, solo uno è stato utilizzato per giustificare l’intervento militare in Afghanistan volto a liberare tutte le donne musulmane oppresse nel mondo.
Joya non ha mai accettato i discorsi imperialisti che vedono gli Stati Uniti come i liberatori del popolo afghano. Joya si è sempre rifiutata di diventare l’ennesimo prodotto mediatico utilizzato per giustificare interventi militari aventi come pretesto la liberazione del popolo afghano e non ha mai esitato a paragonare le violenze e i crimini contro le donne commessi delle truppe americane e Nato a quelli perpetrati dai talebani e dai signori della guerra.
Dai tassisti afghani ai signori della guerra al potere, il nome di Joya echeggia in tutto il paese suscitando derisione, timore ma anche speranza. E mentre la sua campagna per i diritti delle donne e contro la violenza di genere non si ferma, Joya continua a ricevere minacce di morte mentre il numero di vittime di stupro e parenti che si rivolgono a lei in cerca di supporto è in continuo aumento. Dopo aver denunciato la misoginia e il patriarchia dilagante nel governo afghano e tra i fondamentalisti religiosi, Joya continua coraggiosamente la sua battaglia rischiando ogni giorno la propria vita.
Nonostante le atrocità commesse dai talebani, una guerra che ormai dura da dodici anni e le campagne in difesa delle donne, Joya ha accettato di rivelarmi i motivi che la spingono a non arrendersi e a continuare la propria battaglia per la liberazione del suo paese.
Hai sempre chiesto a gran voce la ritirata delle truppe americane dall’Afghanistan, dichiarando che solo il popolo può liberare il proprio paese dagli oppressori. Pensi che una vera rivoluzione democratica in Afghanistan sia possibile?
Nel mio Paese ci vuole tempo, ma grazie alla resistenza del popolo afghano, di studenti universitari, di intellettuali democratici e alcuni partiti politici che si oppongo con tenacia al regime fascista instaurato dalle truppe americane e Nato ed i loro lacché, signori della guerra e talebani – le persone che stanno alzando la propria voce sono sempre di più. Ci vorrà del tempo perché tutt’oggi milioni di afghani – più dell’ 80 per cento della popolazione – vive sotto la soglia di povertà. Il popolo afghano è oppresso da ingiustizie, disoccupazione, corruzione, povertà. Anche la mancanza di educazione è un grande elemento di oppressione per il popolo afghano, specialmente per le donne, le quali sono ancora una volta le principali vittime di violenze e ingiustizie.
Molti esempi dimostrano che è necessario del tempo perché avvenga un cambiamento radicale, specialmente se si considera che oggi al governo in Afghanistan vi sono terroristi reazionari, personaggi misogini, signori della guerra e indirettamente, anche i talebani. Questi rappresentano un grande ostacolo, specialmente per gli attivisti democratici il cui ruolo nella società è fondamentale. Nonostante tutti i rischi, le sfide e le difficoltà, noi attivisti siamo molto determinati e non ci fermeremo finché non avremmo ottenuto dei cambiamenti positivi per il nostro paese, soprattutto nel campo dei diritti umani, diritti delle donne e della democrazia. Al momento in Afghanistan non c’è nemmeno l’ombra di una democrazia.
Un popolo che si ribella è fonte di speranza…l’unico desiderio degli afghani è la giustizia. Il popolo afghano vuole giustizia. Ma è oppresso dalle forze americane e Nato che occupano il paese. La gente è stanca, ferita e l’odio verso questi terroristi è in forte crescita. Nonostante tutto, la loro battaglia non si ferma.
Il tuo coraggio nel denunciare la violenza sulle donne e la loro oppressione ha avuto un grande impatto in tutto il mondo. Conosci altre donne che sono state incoraggiate dalla tua forza a denunciare queste violenze o pensi che ci sia ancora un forte timore nel denunciare questi abusi a causa delle minacce che hai subito?
Entrambe le cose: quando dieci anni fa, nel 2003, decisi di far sentire la mia voce, denunciai pubblicamente la presenza di criminali tra le file del parlamento afghano. All’epoca rischiai più volte la vita, ma allo stesso tempo ricevetti il sostegno di milioni di afghani vittime di questi criminali. Oggi anche loro riconoscono la necessità di denunciare i crimini subiti e a distanza di dieci anni, le mie parole hanno trovato conferma: il muro di silenzio è crollato, la gente mi incoraggia ad andare avanti con la mia battaglia, cosa che pochi osano fare.
Fortunatamente le persone che denunciano pubblicamente la corruzione dilagante in Afghanistan sono sempre di più e la loro voce echeggia in tutto il mondo. Quello che dicevo io dieci anni fa, ora lo dicono anche loro. Questa è la nostra speranza per il futuro.
Vorrei inoltre precisare che la mia non è l’unica voce che incita il popolo a ribellarsi. Come me ci sono molti altri coraggiosi attivisti che rischiano la vita quotidianamente per incoraggiare il proprio popolo. Io faccio la mia parte, proprio come loro.
Quest’anno il parlamento afghano ha ridotto il numero di seggi riservati alle donne, dal 25 al 20 per cento. Ritieni che le donne nel tuo paese abbiano un ruolo politico rilevante?
Le donne che oggi siedono in parlamento hanno del potere ma sfortunatamente non lo usano nel modo giusto. La maggior parte dei seggi è riservata a signori della guerra, trafficanti di droga, criminali, persino talebani e solo il 20 per cento spetta alle donne, la maggior parte delle quali ha un ruolo puramente simbolico – appoggiano infatti i signori della guerra e l’occupazione americana. Queste donne non potranno mai essere vere protavoci del popolo afghano. Ricordo che quando ero in parlamento, una donna fondamentalista mi minacciò, dicendo che se avessi continuato a parlare mi avrebbe fatto cose che nessun uomo oserebbe fare.
Come rispondi a coloro che dicono che la tua battaglia ha influito negativamente sulla condizione dell donne in Afghanistan, addirittura peggiorandola? Ad esempio, la decisione del parlamento di ridurre il numero di seggi destinati alle donne potrebbe essere vista come una conseguenza del fatto che un numero sempre maggiore di donne sta denunciando le violenze subite.
No, non sono mai stata d’accordo con questo tipo di propaganda, perlopiù alimentata da personaggi conservatori quali signori della guerra, e sostenitori dell’occupazione americana. Hanno detto di tutto, che sono interessata solo alla fama, che intimorisco le donne, ecc. E’ la debolezza politica che alimenta questa propaganda. Da quando ho denunciato i criminali in parlamento, moltissime persone si sono schierate al mio fianco, la maggior parte di queste sono donne. Dal momento che sono costretta a vivere in clandestinità, mi chiedono come posso fare a far sentire la propria voce.
Un esempio è il caso della sedicenne Shekila, brutalmente violentata da alcuni signori della guerra – tra i quali un membro del consiglio provinciale – e uccisa con un colpo di arma da fuoco. Ebbene, tre parlamentari cercarono di falsificare il rapporto medico effettuato sul corpo della ragazzina. La famiglia della vittima è venuta da me per chiedere aiuto morale – per far sentire il proprio grido di indignazione – e finanziario – non potendo permettersi un avvocato. Un’altra ragazzina vittima di stupro è venuta da me per chiedere il mio sostegno e una delle mie guardie di sicurezza le ha salvato la vita. Ho seguito personalmente il suo caso, e molti altri ancora, non solo casi di stupro, ma anche casi di parenti che hanno perso i propri cari nei bombardamenti delle forze occupanti o per mano dei talebani o dei signori della guerra. Moltissimi di loro sono venuti da me chiedendomi di aiutarli a denunciare questi crimini e far sentire la loro voce in tutto il mondo, Afghanistan compreso.
Nonostante l’occupazione americana, la crescente misoginia, la corruzione, la presenza di signori della guerra e talebani in parlamento, cos’è che ti dà speranza e la forza per continuare la tua battaglia?
Sono molte le ragioni che mi danno speranza: per prima cosa, il nostro orgoglio. In passato il nostro paese non ha mai accettato l’occupazione di forze straniere e questo ci rende molto fieri. E poi la resistenza del popolo afghano, studenti universitari e partiti democratici come il Partito della Solidarietà Afghano, Hambastagi, che organizza manifestazioni di protesta contro l’occupazione, contro il regime dittatoriale in Iran, ma anche contro talebani, terroristi e signori della guerra, alle quali partecipano centinaia di migliaia di persone. E’ questo che ci dà speranza.
E le persone straordinarie che lavorano per il governo o l’esercito americano, come Bradley Manning, Edward Snowden, o molti altri che come loro trovano il coraggio di denunciare i crimini di guerra del loro governo – anche loro ci danno ragione di sperare. Sono la speranza di milioni di persone oppresse in tutto il mondo.
Anche tutti coloro che si battono per la giustizia nel mondo, inclusi gli Stati Uniti, contro la crisi economica, contro gli interventi militari, anche loro sono una grande fonte di speranza. In questo decennio di guerra, abbiamo perso praticamente tutto, ma c’è una cosa positiva che abbiamo conquistato, ed è la consapevolezza politica della maggioranza del popolo afghano che vive in condizioni di povertà estrema e senza educazione; questa consapevolezza è la nostra speranza.
Questo è il mio messaggio a tutti coloro che si battono per la giustizia nel mondo: è il coraggio del mio popolo, di questi giovani, di tutte le vittime di stupro, dei loro familiari, di tutti coloro che non vogliono più rimanere in silenzio e che stanno alzando la propria voce nonostante le continue minacce. Sono loro la nostra speranza.