Osservatorio Afghanistan
07 07 2015
Mes Aynak sta benone, porta magnificamente i suoi 5000 anni. L’unico problema è l’habitat che per il futuro può creargli gravi problemi. Ha attorno una delle maggiori miniere di rame dell’Afghanistan finita nelle mani del potente China Metallurgical Group. Dal 2007, prima grazie al presidente Karzai ora al suo sostituto Ghani, la corporation ha ricevuto un’autorizzazione trentennale per lo sfruttamento minerario di quel sito, nella provincia di Logar, distante 40 km sud-est da Kabul. Che nelle vicinanze ci sia anche un’antichissima area archeologica nella quale lavorano e studiano alcune équipe di ricercatori viene considerato dalle autorità afghane e, ovviamente, dai manager della compagnìa un elemento insignificante. Infatti sono state aperte delle cave già sul 10% dell’area Studiosi ritengono che la prosecuzione degli scavi (con fini archeologici) potrà, o potrebbe, riscrivere la storia del Paese e la stessa storia del buddismo. Ma si tratta d’una lotta contro il tempo e contro il business poiché le vestigia di antichi monasteri rischiano la scomparsa definiva. Il gruppo archeologico deve altresì guardarsi dalle incursioni dei taliban, propensi a far fare anche alle statue di Buddha strappate al sottosuolo la fine cruenta riservata ai colossi di Bamiyan nel 2001.
Gli archeologi impegnati in loco, che hanno lanciato un grido d’allarme attraverso una campagna di sostegno e la realizzazione d’un documentario (http://www.savingmesaynak.com/about). Ricordano che la zona interessata è vastissima, 500.000 metri quadrati, e per valore artistico è comparabile alla nostra Pompei e a Machu Picchu. Lì si trovano mura, caverne, grotte, templi con statue di Buddha; una rarissima raffigurante Siddharta è emersa come per magìa. La parte conosciuta del sito è ancora minima, pari al 10% dell’intera estensione, come si trattasse della punta d’un immenso iceberg sommerso, tutto da esplorare. Il gruppo d’indagine esalta la straordinarietà del luogo capace di produrre scoperte sensazionali attorno a quel melting pot di culture del continente asiatico e della sponda mediorientale, irrorato dai continui contatti e scambi che avvenivano tramite i pellegrini.
Se lo sfruttamento minerario dovesse proseguire – e finora nulla è stato fatto dalle autorità afghane interessate solo a incamerare yuan, né da strutture internazionali d’ogni genere, dalle Nazioni Unite all’Unesco – di ogni cosa conosciuta e sconosciuta rimarrebbe solo la testimonianza del citato documentario. Uno scempio degno dell’Isis, basato stavolta sul fondamentalismo degli affari.
Osservatorio Afghanistan
01 07 2015
“Questi numeri tragicamente elevati di vittime mostrano che i bambini stanno sopportando il peso del conflitto, e purtroppo questa tendenza continua con il deterioramento delle condizioni di sicurezza nel 2015″.
L’anno scorso ha visto più bambini uccisi o mutilati in Afghanistan dall’avvio del monitoraggio di tali statistiche nel 2007. “I bambini stanno sopportando il peso del conflitto” secondo l’ultimo rapporto del Segretario Generale delle Nazioni Unite Ban Ki-moon.
“L’uccisione e la mutilazione di bambini con l’uso indiscriminato di IED [ordigni esplosivi improvvisati] in aree popolate, e l’uso di bambini come attentatori suicidi, possono solo essere condannati come flagranti violazioni dei diritti umani internazionali e del diritto umanitario”, ha detto Leila Zerrougui, Rappresentante speciale del Segretario generale delle Nazioni Unite per i bambini ei conflitti armati.
Il rapporto di 18 pagine, pubblicato Giovedi, dice che 2.302 bambini sono stati uccisi, e 5047 feriti per tutto il periodo di riferimento dal 1 ° settembre 2010 al 31 dicembre 2014. Di questo totale, 2.502 bambini sono stati uccisi o feriti nel solo 2014 – rendendo quell’anno il peggiore per quando il monitoraggio ha avuto inizio nel luglio 2007.
“Questi numeri tragicamente elevate di vittime mostrano che i bambini stanno sopportando il peso del conflitto, e purtroppo questa tendenza continua con il deterioramento delle condizioni di sicurezza nel 2015″, ha detto la signora Zerrougui in un comunicato stampa in merito alla relazione. Ha inoltre messo in evidenza la seria preoccupazione per quello che viene definita “impunità diffusa per le gravi violazioni contro i bambini da parte delle forze di sicurezza del governo, tra cui nei confronti dei bambini in stato di detenzione per presunta associazione con gruppi armati.”
Ha dichiarato che “questi bambini sono in primo luogo le vittime, e dovrebbero essere trattati come tali”. Nonostante il difficile contesto di sicurezza, la relazione sottolinea il “progresso encomiabile” che il governo afghano e le sue forze di sicurezza nazionali hanno fatto per porre fine e prevenire il reclutamento e l’impiego di bambini – dopo la firma di un piano d’azione e la creazione di una road map che specifica i passi per raggiungere tale obiettivo.
Il rapporto osserva che un decreto del governo criminalizza il reclutamento di minori da parte delle forze afghane di sicurezza nazionale è in vigore dal febbraio 2015, e “si trova al centro di tutti gli sforzi per assicurare la responsabilità e prevenire il reclutamento e l’impiego di bambini da parte sia del governo che dei gruppi armati”.
“Non vedo l’ora di lavorare con il governo dell’Afghanistan ancora più intensamente nei prossimi mesi, mentre ci muoviamo verso la piena applicazione del piano d’azione del paese per porre fine al reclutamento e all’impiego di bambini”, ha detto la signora Zerrougui.
La relazione chiede il sostegno dei donatori, compreso il finanziamento sostenibile per l’attuazione “tempestiva ed efficace” del piano d’azione in linea con l’obiettivo “Bambini, non soldati” della campagna per porre fine al reclutamento e impiego di bambini nelle forze governative entro il 2016.
Il rapporto di 18 pagine, mette in evidenza la situazione dei bambini coinvolti nei conflitti armati in Afghanistan e presenta le informazioni raccolte dalla task force di monitoraggio e comunicazione dalle Nazioni Unite. Esso comprende il monitoraggio delle sei gravi violazioni che il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ha identificato nel coinvolgimento dei bambini nei conflitti armati.
La Stampa
06 05 2015
Condanna a morte per quattro degli uomini che hanno partecipato al brutale assassinio di Farkhunda, la 27enne afgana massacrata il 19 marzo scorso da una folla inferocita con la falsa accusa di aver profanato il Corano. Lo ha deciso un giudice afgano, riferisce l’agenzia Pajhwok.
Il tribunale di primo grado di Kabul ha stabilito che i quattro (Zain-ul-Abedin, Mohammad Yaqoob, Mohammad Sharif e Abdul Bashir) sono stati i principali istigatori della folla che ha linciato Farkhunda vicino alla moschea Shah Do Shamshera, e che per questo meritavano la pena capitale.
Alla sbarra, in totale, sono finite 49 persone, tra cui 19 poliziotti. Oltre alle quattro pene capitali il giudice ha deciso anche condanne a 16 anni di reclusione per altri 8 imputati.
La donna fu attaccata da una folla inferocita, bastonata a morte e poi finita da un’auto che le passò più volte sul corpo, dopo che alcuni sconosciuti l’avevano accusata di blasfemia per aver dato alle fiamme un libro sacro all’Islam. Il suo cadavere fu quindi trasportato sulla riva del fiume Kabul e incendiato.
Ma una inchiesta ha appurato che l’accusa era totalmente falsa e che la giovane, prima di essere attaccata, stava rimproverando alcune persone, fra cui un mullah, di loschi affari nella vendita di amuleti nella moschea.
Al termine della seduta il giudice Safiullah Mujaddedi ha ricordato che gli imputati hanno diritto di fare ricorso contro la sentenza alla Corte d’appello.
Il Manifesto
13 04 2015
Dal 21 marzo, giorno di capodanno (Nawroz) in Afghanistan,
almeno cinque donne sono state uccise. Tre a Herat, una delle quali decapitata dal marito. Una è stata uccisa dal marito a Khost e un’altra è stata impiccata per decisione della corte tribale di Paktya (sudest). Halima, 17 anni, è stata ridotta in fin di vita dalle botte del marito.
Altri casi di violenza accaduti nel 2012:
Sahar Gul, 15 anni, torturata dal marito e dalla sua famiglia. Le hanno strappato le unghie e i capelli, mentre il viso e il corpo erano pieni di bruciature. Le torture sono state inflitte a Sahar perché si rifiutava di prostituirsi. Il marito è libero.
Storai è stata picchiata e impiccata dal marito perché aveva dato alla luce una terza bambina. Il marito è libero.
Mumtaz e le sue sorelle sono state attaccate con l’acido perché lei rifiutava un matrimonio forzato. Solo uno dei responsabili è stato arrestato.
Qamar Gul è stata stuprata da due uomini e ora è in carcere con l’accusa di adulterio.
Nazim, 9 anni, è stata stuprata da due zii. E’ in attesa di giustizia. I criminali sono liberi.
Aziza, 14 anni, è stata rapita e stuprata da un signore della guerra della zona di Jawzjan per 20 giorni. Tornata a casa ha denunciato il fatto, ora lei e la famiglia temono ritorsioni. I responsabili sono liberi.
Sima, un’insegnante, è stata uccisa a coltellate dal fratello perché lavorava fuori casa. E’ successo a Baghlan
Sadaat, 15 anni, è stata costretta a sposare un uomo più vecchio di lei di 30 anni, che la picchiava e torturava tutti i giorni. Si è data fuoco ma è stata salvata. Nessuno è stato arrestato.
Questi sono solo alcuni casi delle ultime violenze contro le donne. Casi noti, perché molto spesso vengono nascosti.
Contro questi crimini e per chiedere giustizia, il 14 aprile a Kabul, Young women for change ha organizzato una manifestazione alla quale hanno partecipato decine di donne.