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Il biberon per molte donne appena entrate nel mondo del lavoro rappresentò, di fatto, l'unica forma seppure rozza di conciliazione tra maternità e lavoro. Perdita, sconfitta, o libertà di scelta delle madri?
Maria Novella De Luca, La Repubblica ...

La Repubblica
11 03 2014

Che allattare al seno faccia bene alla mamma e al bambini è cosa indiscussa. Sulla durata dell'allattamento, in particolar modo per quello prolungato, è stato invece necessario un tavolo tecnico interministeriale, che ha redatto il suo parere scientifico, online da qualche giorno sul portale del ministero della Salute

Se la mamma ha l'ansia... Cosa rischiano i bimbi iperprotetti

  • Lunedì, 23 Settembre 2013 15:57 ,
  • Pubblicato in Flash news
L'Unità
23 09 2013

Come fare crescere i figli liberi ma senza morire per la preoccupazione? Vecchio ma cruciale tema ribadito dalla giornalista Lenore Skenazy.

Scuolabus, metro, tranvia, nonno con casco e scooter, oppure da solo? Il quesito si ripropone a ogni inizio di anno scolastico. Quale sarà l’età giusta per mandare il rampollo a scuola senza la «scorta»? Come potrà affrontare il rischio incidenti, le correnti d’aria, i pedofili, i bulli, gli scimmioni in libertà e le zingare con la scopa?

Quel grande, insuperabile, artista che è Claude Ponti (Catalogo dei genitori, Babalibri, Euro 25.80 pag.48) ha coniato per tutta la nutrita legione di bambini-esenti-rischio la categoria dei genitori Fifoni, genitori «specialisti imbattibili di angoscia aggravata e terrorizzazione demonizzante», «sempre pronti a immaginare il peggio e che non lasciano fare niente».

Allora, in un’epoca in cui ci si indigna di continuo e si sbraita di fare tanto per i bambini, per proteggerli da tutti i mali del mondo, si è finito per esporli a uno dei maggiori fattori di rischio sociale: la mancanza di un bagaglio formativo che li renda autonomi, che li solleciti verso esperienze proprie fuori da quell'ambiente ovattato, iperprotettivo e a prova di sbadiglio che è la famiglia.
In un clima del genere si capisce bene perché Lenore Skenazy, giornalista cult e scrittrice, sia stata a suo tempo indicata come la «peggior mamma d’America», per aver raccontato dalle pagine The New York Sun di aver mandato il proprio figlio Mizzy di nove anni a casa, da solo, usando la metropolitana di New York City.

E già allora, nel 2008, la Skenazy auspicava il ritorno al tempo in cui l’infanzia non era dominata dalla paura coniando con la dizione di «genitori ruspanti» («free range parenting») un modello che fosse l’antidoto alla «genitorialità elicottero» (dagli elicotteri della polizia che sorvegliano le città americane) alla «over-genitorialità», o genitorialità apprensiva… o oppressiva; e proponendo l’istituzione divertente di un una sorta di pride day per preadolescenti dal titolo: «porta tuo figlio al parco…e lascialo lì».

Non soddisfatta dell’incredibile fortuna del suo primo libro Free-Range Kids: Giving Our Children the Freedom We Had Without Going Nuts With Worry (Bambini ruspanti: come dare ai nostri figli la libertà che avevamo noi senza impazzire per la preoccupazione), del suo frequentatissimo blog (www.freerangekids.com), l’ormai navigata mamma-blogger nonché animatrice del format televisivo di gran successo Mamme che amano troppo, ha di recente pubblicato in italiano un agevole manualetto "I sì che aiutano a crescere. Regalate le ali ai vostri figli" (ed. Kowalski, pagg. 266, Euro 14); forse un po’ troppo anglosassone per la puntigliosità nel dispensare consigli, ma spassosissimo nei ritratti che propone dei genitori sempre allarmati per i rapimenti dilaganti, i germi predoni e le caramelle di Halloween avvelenate, e non di meno ansanti per le mani sporche, il contatto con il pelo del gatto, le escursioni, i campeggi, e i primi tuffi in piscina!

Dare ai bambini non solo le «radici», i caschi e i seggiolini di sicurezza, ma dotarli anche di ali consente di allevare Free Range Kids (bambini ruspanti). I genitori non possono eternamente «prestare la propria mente» al bambino o protrarre all’infinito la «funzione dell’intendersi», come la chiamava Freud! Educati, dunque, senza avvolgerli nella bambagia, senza incorrere in quell’eccesso di mamma (scriveva Lacan!) che portò, giusto per fare un esempio letterario, anche il topolino Nicola a passare un sacco di guai. (Nicola passaguai di J.Willis – T. Ross, Il castoro, pagg.24 Euro 12.50).
Avvolto in una palla di soffice ovatta, il topolino fu inseguito da una volpe che lo credette coniglio, da un’oca che lo scambiò per una gustosa meringa, ecc… e solo l’happy and al suono di «mamma sono ancora vivo», garantirà a Nicola il diritto a prendere freddo, uscire e divertirsi: come ogni vero topo! Occhio solo che questa straordinaria filosofia educativa non sia un’ennesima strizzatina d’occhio alla crisi economica planetaria che ci travaglia. Perché è difficile per tante mamme «sherpa», abituate a portare i figli in spalla e ora costrette a far quadrare i conti, tagliando servizi infanzia e baby sitter, assolvere al ruolo di custodi di infanzie a rischio. Più facile, forse, ribaltare il penoso senso di affaticamento e di inadeguatezza in una sana «ruspante» inversione di marcia!

Allattare meno, vivere di più

  • Venerdì, 05 Luglio 2013 09:59 ,
  • Pubblicato in INGENERE
Ingenere
05 07 2013

Lo dico. Non sono una fan dell’allattamento al seno. Ho due figli, uno a distanza dall’altra di circa 15 mesi, e li ho allattatati entrambi per quei 7/8 mesi ritenuti dai pediatri fondamentali per una crescita sana.

Alla comparsa dei primi dentini sono però stata ben felice di mettere le tette a riposo, dare il benvenuto alle pappette, recuperare la mia autonomia e liberarmi da quell’odore di latte addosso, a me che poi il latte neanche piace.

“Non ti manca l’allattamento? – mi ha chiesto un giorno un’amica sulla spiaggia – E’ stato uno dei momenti più belli della mia vita. Quasi quasi faccio un terzo figlio (che poi ha fatto davvero) per provare di nuovo quelle sensazioni”. No, a me non manca. Avere dei figli è una cosa meravigliosa, i bambini sono degli esseri incredibili e più crescono e più è bello interagire con loro. Ma l’allattamento proprio non mi manca.

Soprattutto non mi manca quella sensazione di dipendenza totale, di tuo figlio da te e di te da lui, così fisica, così stringente, così ineluttabile. E opprimente. Quel dover essere sempre lì senza poterti allontanare per più di due ore (e, in una città come Roma, in due ore neanche riesci a uscire dal quartiere) pena l’irreparabile: il neonato affamato che urla, che emette suoni che sembrano impossibili per una cassa toracica così piccola e che denunciano una sofferenza atroce di cui tu e la tua tetta-che-non c’è siete la causa.

Che poi è solo una storia per spaventare le povere puerpere e tenerle relegate in casa, visto che il giorno in cui il padre si è trovato da solo in emergenza e ha rifilato al piccolo di tre mesi un biberon di latte della Centrale non è successo niente di davvero serio.
Io ho allattato cercando di mantenere una vita “mia”. Ho portato i miei figli ovunque, piccoli canguri nel loro marsupio, appendici di una mamma (e di un papà) in movimento.

Siamo stati tanto in giro per Roma, tette al vento sul muretto del Pantheon, loro mangiavano da me mentre io mangiavo un gelato;  in trasferta a Messina, io a fare lezione, mia madre a dare a mia figlia il biberon con il mio latte munto per l’occasione, eppoi insieme nel pomeriggio a visitare Taormina; Barcellona e Parigi, con appuntamenti volanti ogni 3 ore, tra una coffe break e l’altro. Persino al colloquio per un nuovo lavoro sono andata con la piccola nel marsupio e sì, mi hanno anche presa.
Certo ho avuto bisogno di creare una rete e di coinvolgere tutti.

Innanzitutto il padre, perché una delle cose più importanti per i miei figli è stato senza dubbio trovargli un gran buon padre e sono una convinta assertrice della necessità di inserire il requisito “attitudine alla genitorialità” nella scelta di un padre per i propri figli. Poi le nonne, le incredibili nonne. E persino il nonno, cioè mio padre, che credo abbia scoperto per l’occasione che esistono biberon e pannolini, e a cosa servono.

Ho allattato dormendo, con il padre che mi portava il piccolo o la piccola a letto eppoi lo riportava nella culla. Ho tirato latte di notte per lasciarlo alle nonne di giorno e ricavarmi spazi di autonomia. E qualche volta, durante l’allattamento, mi sono persino ritrovata a leggere sul divano mentre il padre dava al piccolo di turno il biberon con il mio latte. Mi sembrava avesse senso, che fosse giusto che anche lui fosse coinvolto nella dinamica di accudimento primario di suo figlio.

Gli altri ci guardavano perplessi (sei qui, darglielo tu no?) e solo quando ho letto il libro di Elisabeth Badinter “il conflitto tra la donna e la madre” (tradotto in italiano con il fuorviante “Mamme cattivissime”) ho finalmente trovato qualcuna che dicesse quello che a me sembrava evidente e cioè che questa storia dell’allattamento al seno esclusivo e ad oltranza rischia di tagliare fuori i padri dall’accudimento primario dei primi mesi, impedendo loro di prendere le misure con i piccoli, di creare un rapporto intenso e rafforzando l’idea che la madre sia il genitore principale di riferimento.

Nel bene (senso di gratificazione, riconoscimento familiare e sociale del ruolo…) e nel male (solitudine, sovraccarico dei compiti di cura, e qualche volta persino delirio di onnipotenza).

Per me tutta questa ricerca di micro-equilibri ha avuto senso. È una questione zodiacale, dice un mio amico che ne sa, segno triplo, cuspide Gemelli e Cancro. Forse. Di certo avevo bisogno di dimostrare a me stessa, sin da subito, che con l’arrivo dei figli la mia vita sarebbe rimasta a più dimensioni, si sarebbe arricchita e complicata ma avrebbe continuato a essere in movimento. Piena di cose interessanti e divertenti, a cui avrei aggiunto i miei figli.

Altro aspetto importante è che tutto questo equilibrismo sembra aver avuto un senso anche per loro, i miei figli: sono cresciuti chiamando “mammapapà”, hanno un rapporto molto forte con entrambi, sono sereni a scuola, con gli amichetti e felici con il padre quando parto (per lavoro viaggio spesso e non ho mai smesso di farlo).

Detto tutto ciò, sono d’accordo con Alessandra Di Pietro: che ognuna, meglio laddove possibile condividendo la scelta nella coppia di genitori, faccia quello che crede più opportuno, che sente più vicino a sé e ai suoi bisogni, portando avanti la scelta che crede migliore per i suoi figli, per la sua situazione familiare (quale che sia) senza dimenticarsi di sé.

Senza fanatismi e, possibilmente, con un po’ di leggerezza. Scegliendo una pediatra attenta e scrupolosa ma non fondamentalista (come la nostra). E concedendosi qualche eccezione. Mollare per un week end il pargolo ai nonni o alla babysitter può essere un bene per i genitori ma anche  per il/la neonato/a che il lunedì percepirà nell’aria meno stress e più energie positive (che non necessariamente si trovano belle e pronte nel latte materno).

Per concludere vorrei aggiungere che mi sembra giusto partire dall’allattamento per parlare di “superdonnismo”, identità, modelli di vita e società e per mettere in discussione un po’ di miti e stereotipi, che condizionano al peggio la vita delle donne ma fanno del  male non soltanto a loro.

Ad esempio la convinzione diffusa che le donne debbano naturalmente essere madri, dove “naturalmente” significa che se decidi di non far figli ti guardano come se ti mancasse, fisicamente, un pezzo.

Oppure l’idea che l’istinto materno sia naturale e indispensabile per la crescita dei figli, il che fa sentire inadeguate le madri che non  si sentono di dedicare la totalità del proprio tempo all’accudimento dei figli e al contempo relega i padri ad un inevitabile ruolo secondario e comprimario (da un punto di vista sociale, culturale ed economico) anche quando vorrebbero essere più presenti. Oltre a portare all’esclusione a priori delle scelte di omogenitorialità, ma questa è un’altra storia.

Infine, il fatto che per una madre sia istintivo e naturale creare un legame fisico con i propri figli (l’allattamento) che duri il più a lungo possibile, facendole naturalmente mettere in secondo piano qualsiasi interesse lavorativo, sociale o politico.

Insomma, partire dall’allattamento mi sembra un buon inizio per, come direbbe Francesca Molfino, provare a riconoscere e “decostruire” gli stereotipi di genere e permettere alle persone (perché anche le madri sono prima di tutto persone) di esprimere più liberamente le proprie identità e le propri scelte.

Barbara De Micheli   

Una serie di articoli apparsi su giornali e su riviste mediche inglesi hanno creato rumore attorno a ripetuti episodi di grave disidratazione di lattanti dovuta a un'insufficiente assunzione di latte dal seno materno. ...

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