Chiudere Guantánamo, la promessa mancata di Obama

L’11 gennaio di undici anni fa, entravano a Guantánamo i primi detenuti della “guerra al terrore”.

Complessivamente, nel centro di detenzione statunitense in territorio cubano, di sospetti terroristi ne sono entrati 779: 591 sono stati rilasciati e trasferiti in altri paesi, nove sono morti (di cui sette per suicidio), sette sono stati condannati e sei sotto processo.
Dal punto di vista giudiziario, i numeri dicono che il bilancio è magro.

I sette detenuti sono stati condannati dalle commissioni militari, organismi le cui procedure non sono in linea con gli standard internazionali sui processi equi. Cinque di loro hanno sottoscritto accordi preprocessuali sulla base dei quali hanno ammesso la colpevolezza in cambio di sconti di pena o della possibilità di essere rilasciati.

Sei detenuti sono attualmente sotto processo per l’accusa di aver preso parte agli attacchi dell’11 settembre 2001 e rischiano di essere condannati a morte dalle commissioni militari. I sei imputati sono stati sottoposti a sparizione forzata prima del trasferimento a Guantánamo. Due di loro hanno subito la tortura del “waterboarding” (semi-annegamento).

Dove questi imputati siano stati tenuti in custodia della Cia e quali trattamenti siano stati loro inflitti sono informazioni classificate al livello più alto di segretezza: lo scorso dicembre, il giudice militare che presiede il processo per gli attacchi dell’11 settembre 2001 ha firmato un ordine di protezione per impedire la divulgazione di tali informazioni, adducendo motivi di sicurezza nazionale.
Dal punto di vista delle ferite inferte al diritto internazionale, invece, Guantánamo ha lasciato un segno pesante. È stato il simbolo della “guerra al terrore”, di un paradigma basato sul contrasto al terrorismo attraverso le violazioni dei diritti umani, come le sparizioni forzate, le detenzioni illegali e le torture. È stato, spesso, il luogo di atterraggio dei “voli delle rendition”.

Ma più che il passato prossimo, dobbiamo usare il tempo presente. Perché, sebbene progressivamente svuotato di persone che dopo anni di detenzione senza accusa né processo sono state rimandate a casa, Guantánamo è ancora aperto e ospita 166 detenuti.

Dopo il suo primo insediamento, nel gennaio 2009, il presidente Obama aveva promesso di risolvere la questione dei detenuti di Guantánamo e di chiudere il centro di detenzione entro un anno. Aveva anche ordinato la fine dell’uso delle tecniche “rinforzate” d’interrogatorio da parte della Cia e la chiusura dei cosiddetti “siti neri”, centri segreti di detenzione diretti dall’intelligence statunitense.

Tuttavia, il presidente Obama ha adottato il paradigma, unilaterale e viziato, della “guerra globale” del suo predecessore, accettandone la conseguenza delle detenzioni a tempo indeterminato.

Nel 2010, inoltre, l’amministrazione Usa ha annunciato che 48 detenuti di Guantánamo non avrebbero potuto essere né processati né rilasciati ma dovevano rimanere in detenzione militare senza limiti di tempo, senza accusa né processo. Ha anche sospeso i rimpatri dei detenuti yemeniti, trattenendo a Guantánamo 30 di essi, a causa di preoccupazioni legate alle “condizioni di sicurezza” nel paese mediorientale.

Il presidente Obama ha attribuito la mancata chiusura di Guantánamo al Congresso, ma questo pare più uno scaricabarile. Poco più di una settimana fa, il 2 gennaio, il presidente Obama ha nondimeno firmato l’Atto di autorizzazione alla difesa nazionale, pur criticandone alcuni aspetti, che di nuovo pone ostacoli alla soluzione del problema di Guantánamo.
I tre settori del governo statunitense hanno di fatto ampiamente condiviso il modello della “guerra globale”. La protezione concessa ai suoi funzionari tramite l’immunità e il continuo ricorso al segreto di stato hanno facilitato la mancata assunzione di responsabilità e l’assenza di riparazioni per le violazioni dei diritti umani commesse a Guantánamo, e altrove (e non bastano certamente i risarcimenti per le torture inflitte dai contractors ad Abu Ghraib), nei centri segreti di detenzione della Cia, nei programmi di rendition.

Paradossalmente, se oggi chiudesse Guantánamo, le detenzioni illegali probabilmente proseguirebbero, magari in altre parti del mondo meno sotto gli occhi dei riflettori dei media, compresi quelli statunitensi.

Amnesty International ha chiesto al presidente Obama di riprendere in considerazione la promessa, fatta ormai quattro anni fa, di chiudere il centro di detenzione e, questa volta, di impegnarsi ad abbandonare le commissioni militari in favore di processi equi in tribunali ordinari e civili, rilasciare i detenuti che gli Usa non hanno intenzione di processare, accertare pienamente le responsabilità e fornire accesso a forme di rimedio giudiziario per tutte le violazioni dei diritti umani.

Carceri, l'80% dei detenuti è malato

  • Mercoledì, 05 Dicembre 2012 09:53 ,
  • Pubblicato in Flash news
Rassegna.it
05 12 2012

Un detenuto italiano di 51 anni è morto di infarto nel carcere di Teramo. E' solo l'ultimo caso, in Italia l'80% dei detenuti ha problemi di salute. E' l'allarme che arriva oggi (5 dicembre) dal Sappe, il sindacato autonomo di polizia penitenziaria, che sottolinea la gravità della situazione negli istituti. "La notizia della morte per infarto di un detenuto italiano ristretto nella sezione comuni, prossimo ad uscire per scontare la pena in affidamento ai servizi sociali, intristisce tutti, specie coloro che il carcere lo vivono quotidianamente nella prima linea delle sezioni detentive", si legge in una nota.
"Una prima soluzione al pesante sovraffollamento penitenziario - secondo il sindacato - può essere la concreta definizione dei circuiti penitenziari differenziati e, in questo contesto, la costruzione di carceri per così dire 'leggere' per i detenuti in attesa di giudizio o con gravi disabilità, destinando le carceri tradizionali a quelli con una sentenza definitiva da scontare". Queste le parole del segretario del Sappe, Donato Capece.

Secondo i dati recentemente diffusi, prosegue il sindacato, è emerso che l'80% dei circa 68mila detenuti oggi in carcere in Italia ha problemi di salute, più o meno gravi. Il 38% versa in condizioni mediocri, il 37% in condizioni scadenti, il 4% ha problemi di salute gravi e solo il 20% e' sano. Un detenuto su tre è tossicodipendente. Del 30% dei detenuti che si è sottoposto al test Hiv, il 4% è risultato positivo.
"Tutto questo - sottolinea il sindacato - va ad aggravare le già pesanti condizioni lavorative delle donne e gli uomini del Corpo di Polizia Penitenziaria, oggi sotto organico di ben 6mila unità".

CIE, le galere fuorilegge

  • Lunedì, 11 Giugno 2012 08:16 ,
  • Pubblicato in L'Inchiesta
La Repubblica
11 giugno 2012


Sono i centri in cui gli extracomunitari senza documenti dovrebbero vivere (non essere imprigionati) in attesa di identificazione. Dentro tensione e violenza. Sono vere e proprie prigioni inutili allo scopo perché dopo 18 mesi pochi vengono identificati e molti fuggono. Siamo entrati nel Cie di Trapani, uno dei più nuovi e qualcuno ci ha consegnato dei filmini girati con i cellulari.
Leggi l'inchiesta
di Raffaella Cosentino, Corriere.it
11 aprile 2012

Da Milano a Trapani decine di casi. La commissione diritti umani del Senato richiama la tortura. L'Onu condanna la detenzione di un anno e mezzo. Dentro ci finiscono anche minori. Pestaggi non denunciati per paura, armadietti delle infermerie pieni di psicofarmaci, ‘terapie’ a base di sedativi

ROSA E LE ALTRE. LA PRIGIONE NON E' UN GIOCO PER BAMBINI

  • Lunedì, 16 Gennaio 2012 09:57 ,
  • Pubblicato in IL MANIFESTO
di Luisa Betti, Il Manifesto
15 gennaio 2012

Rosa López Díaz è una detenuta messicana che vive nel carcere San Cristóbal de las Casas, in Chiapas, con il suo secondo bambino, Leonardo di due anni, dopo aver perso il suo primo figlio, Natanael, nato malato per le torture subite. Lo scorso aprile ha scritto alle Madri antifasciste di Roma lanciando un appello accorato, una lettera straziante che sabato è stata riproposta al Museo storico della Liberazione di via Tasso, a Roma, durante il convegno “Prima le donne e i bambini - Maternità e infanzie negate dietro le sbarre”.

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