Sul campo di battaglia tra vecchio e nuovo, tra carta e digitale (per riassumere la questione vista dall'angolo dell'informazione), nella babele di morti, feriti e nuove creature che si avanzano con passo incerto tra le nebbie della crisi, c'è chi ha trovato la sua formula: i vecchi buoni scarponi del giornalismo indipendente sull'impalpabile leggerezza dell'elettronica virtuale.
Cesare Martinetti, La Stampa...
Cronache di ordinario razzismo
10 09 2014
Strani fenomeni avvengono a Padova. Pare che sia in corso una nuova invasione, quella dei lavavetrine, persone che le vetrine prima le sporcano, poi chiedono 5 euro. Lo apprendiamo dal titolo di un articolo pubblicato dal Gazzettino di Padova (‘L’invasione dei lavavetrine: prima le sporcano, poi chiedono 5 euro’).
“Due coppie di nomadi, una formata da un ragazzo ed una ragazza e un’altra composta da un uomo ed un ragazzino, armati di pulivetri montati su un lungo bastone e di una bottiglia di detergente a spruzzo, hanno percorso la via” offrendosi “di lavare le vetrate dei negozi di corso Vittorio Emanuele II”, scrive Luisa Morbiato. “La coppia con l’adulto e ragazzo mi è entrata in negozio, l’uomo aveva anche la sigaretta accesa in bocca e per prima cosa gli ho detto di uscire finché fumava – racconta la commerciante – ma lui ha cominciato a dire di voler lavare la vetrina, alla quale peraltro si è appoggiato con una mano lasciando anche tracce. Insisteva, io dicevo no perché la mia vetrina era pulita, ma lui continuava a dire di volerla lavare e chiedeva 5 euro per comprare un pezzo di pane”.
Questo l’articolo (visibile qui).
La lettura, stimola alcune domande:
1) due coppie, ossia quattro persone, possono essere considerate un’invasione? Notiamo poi che il termine usato è decisamente negativo ed evoca usurpazione, rapina: anche se possiamo capire che la richiesta di poter pulire una vetrina possa infastidire qualcuno, stentiamo a pensare che quattro persone con in mano un detergente a spruzzo possano essere vissute come un pericolo sociale.
2) Perché i giornalisti continuano a usare un lessico scorretto dal punto di vista deontologico – la Carta di Roma indica il termine “nomade” come stigmatizzante e impreciso (la presenza di cittadini rom in Italia è prevalentemente stanziale, il 90% secondo i dati dell’associazione 21 Luglio)?
3) L’ultima frase della commerciante intervistata ci sembra che evidenzi la palese situazione di povertà in cui versano alcune persone residenti nel territorio: perché la scelta del giornalista è quella di stigmatizzare le persone di cui parla come invasori o seccatori, invece di proporre anche un’analisi delle loro condizioni di vita?
4) Infine: quanto successo, o almeno quanto riportato da Il Gazzettino, sembra un episodio isolato, ad opera di quattro persone, che al massimo ha infastidito la commerciante intervistata. Davvero a Padova non succede niente di più rilevante?
Globalist
27 08 2014
Creata una mappa che mostra dove e quanti professioni di radio, carta stampata, online e fotografi sono stati assassinati in 10 anni.
James Foley è stato il 32esimo giornalista ucciso nel 2014, secondo il Comitato per proteggere i giornalisti, che ha documentato le "morti sul lavoro" di ogni membro dei media dal 1992.
Globalpost ha utilizzato i dati di CPJ per creare questo grafico, che fornisce informazioni sui giornalisti uccisi in tutto il mondo negli ultimi dieci anni, dal 2004 al 2014. In tutto il mondo, in diversi teatri di guerra, sono stati uccisi, accidentalmente o di proposito, ben 619 membri della stampa, tra giornalisti, fotografi, blogger, freelance, cameraman eccetera e citizen journalist.
Sette - Corriere della Sera
08 08 2014
"Anche quest'anno ho trascorso la maggior parte del mio tempo in zone di guerra. Per darti un'idea, sono stata due volte in Afghanistan, in primavera per coprire le elezioni presidenziali per Time e a giugno per il New York Times. Poi a maggio ho lavorato nel Sud Sudan, dove tuttora infuriano i combattimenti e la crisi umanitaria è enorme, e ho trascorso la seconda metà di giugno a Najaf, in Iraq, feudo degli Sciiti che si stanno preparando, come dicono loro, alla "guerra contro i terroristi", ovvero i jihadisti dello Stato Islamico di Iraq e Siria".
Chi ci parla è Lynsey Addario, la più nota fotografa di guerra a livello internazionale.
"Ad aprile, mentre ero a Kabul, ho pranzato con Anja Niedringhaus pochi giorni prima dell'attentato in cui ha perso la vita. Anja ha coperto i maggiori conflitti degli ultimi vent'anni. Quando ci siamo incontrate eravamo tanto contente, perché non ci sono molte donne che abbracciano questa professione e la comprensione che ci accomuna è speciale. Certo, ci sono delle professioniste esperte, come Paula Bronstein, Andrea Bruce, Carolyn Cole, Nicole Tung, Véronique de Viguerie, ma siamo pur sempre poche. Io amo il mio lavoro..." ...