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Ecco i nuovi media trasversali e contaminati

  • Venerdì, 02 Maggio 2014 09:43 ,
  • Pubblicato in LA STAMPA

La Stampa
02 05 2014

Anche l’Italia quest’anno ha il suo campionato del mondo. Non è fatto di stadi e partite come in Brasile, non ci sono le maglie delle nazionali, ma campioni e tifosi non mancano. È la World Cup del giornalismo, che si disputa nell’arco di un mese tra Perugia e Torino. Chiunque nel mondo si occupi di media e innovazione, da tempo ha segnato in agenda due appuntamenti che stavolta fanno dell’Italia un insolito laboratorio planetario: il Festival del giornalismo in corso fino a domenica nel capoluogo umbro, e il congresso mondiale dei giornali in programma tra il 9 e l’11 giugno a Torino.

In ballo ci sono il domani dell’informazione, le tecnologie che lo accompagnano, il matrimonio carta-digitale. Più in generale, i tentativi di immaginare una nuova narrativa del mondo in un’epoca «social» sovraccarica di notizie. Non c’è mai stata così tanta informazione disponibile, ma è talmente frammentata e immersa in rumore di sottofondo da risultare caotica.

Pochi settori sono al centro di una trasformazione come il giornalismo. Gli appuntamenti di Perugia e Torino confermano tendenze che si stanno consolidando. Prima tra tutte la contaminazione dei media con realtà che non hanno come obiettivo quello di produrre contenuti. Un «keynote speech» del Festival è affidato sabato a Richard Gingras, responsabile dell’area news di Google (intervistato dal direttore de La Stampa, Mario Calabresi): in un ecosistema che cambia rapidamente come quello delle notizie, c’è bisogno di studiare le mutazioni della «catena alimentare» per capire come possono convivere realtà tradizionali e nuovi protagonisti digitali.

Proprio la scelta dei relatori, a Perugia come alla convention di Torino organizzata da Wan-Ifra (l’organizzazione mondiale degli editori), racconta tutti i temi caldi del momento. Al Festival è attesa per esempio Margaret Sullivan, la «public editor» del New York Times, chiamata a raccontare come anche un tempio del giornalismo possa aprire le porte al contributo della comunità dei lettori. Un concetto decisivo in un momento in cui metà degli utenti di Facebook consumano e condividono notizie attraverso il social network, come racconta l’ultimo rapporto sui media del Pew Research Center.

Sempre a Perugia Wolfgang Blau, responsabile delle strategie digitali del britannico The Guardian, proverà a riflettere su cosa significa fare giornalismo nel contesto dell’Ue: ha senso che 500 milioni di cittadini dell’Unione non abbiamo un sistema mediatico integrato paneuropeo?

La conferenza mondiale degli editori e dei direttori dei giornali, che riunirà a Torino il gotha mondiale del mondo dei media, si trova alle prese con interrogativi analoghi. Se un tempo si parlava soprattutto di rotative, ormai il dibattito è dominato dal rapporto con i colossi della Silicon Valley, dai modelli di business alternativi e dalle strategie per dare valore ai contenuti di qualità sul web.

A Perugia come a Torino, insieme a «contaminazione», c’è un’altra parola decisiva per la trasformazione in atto: dati. La rete apre possibilità impensabili per raccontare il mondo in cifre e fioriscono nuove specializzazioni come il «data journalism». La personalizzazione dell’informazione è facilitata dai dati che ciascuno di noi condivide in rete. L’aumento del consumo delle news in mobilità, tramite tablet e smartphone, permette di geolocalizzare ciò che leggiamo e condividiamo ed essere raggiunti dalle notizie che avvengono dietro l’angolo di casa.

Le opportunità da esplorare sono enormi. Così come i rischi, soprattutto quelli legati alla privacy. Non è un caso che quest’anno il «campionato del mondo del giornalismo» di Perugia e Torino si giochi nel segno del Pulitzer appena assegnato al Guardian e al Washington Post, per aver scoperto quanto sia estesa e preoccupante la caccia ai dati condotta da realtà come la Nsa.

Marco Bardazzi

Panico Ru486: se non obiettano ti terrorizzano!

Abbatto i muri
11 04 2014

Muore una donna per sospette conseguenze derivanti dall’uso della pillola abortiva, la ru486.

La Ru486 NON è la pillola del giorno dopo (che non è un farmaco abortivo ma un contraccettivo d’emergenza). Titoli allarmistici in realtà poi portano ad articoli in cui si spiega che non sarebbe quella la causa della morte e che quel farmaco non fa nulla di più e nulla di meno di altre sostanze che bisogna usare nell’aborto chirurgico. Gli effetti cardiaci possono derivare anche da antidolorifici, oppiacei, abitualmente usati nel mercato senza che vi siano barricate e che si facciano titoloni prima ancora che si attendano i risultati di una autopsia. Ci sono donne che muoiono perché l’aritmia è una conseguenza delle contrazioni anche e a maggior ragione durante il parto. Però delle donne che muoiono di parto non ci si preoccupa perché quella roba lì sarebbe “naturale”. Così non ci si preoccupa di chi muore per assunzione di antidolorifici, psicofarmaci, e altra roba che non sempre si capisce come possa agire sul corpo di una persona.

La ru486 è stata sempre sulle scatole a chi vuole vietare o rendere difficile l’aborto. C’è chi dice che perfino la pillola anticoncezionale sia mortale per le donne e quindi basta poco per ingenerare il panico e introdurre nella comunicazione mediatica una narrazione tossica che terrorizza quelle che come alternativa dovranno stare lì ad abortire a gambe larghe, possibilmente dopo aver subito improperi e stigmi da parte del personale sanitario, e poi comunque dovranno prendere una pillolina che deve riportare l’utero a posto giacché è stato dilatato con la forza. Avete una vaga idea di quanto sia doloroso l’effetto di quella pillolina? E’ un martello pneumatico che ti spacca dentro. L’emorragia conseguente all’aborto, come al parto, dura un tot, per non parlare del fatto che se una muore di aborto chirurgico o delle tante morti di aborto clandestino ne parlano solo di straforo. “Abortisci con dolore” sarebbe il diktat di chi vorrebbe fosse quanto mai traumatica quella scelta.

Ecco, QUI un po’ di opinioni sparse sulla questione e in generale inviterei a una discussione un po’ più laica e inviterei anche i media a evitare di diffondere il panico sull’uso della Ru486. Perché l’alternativa, come si dice sempre, è che le donne vanno in sciopero. Sciopero degli uteri. Più sessualità non riproduttiva, più libera contraccezione, anche d’emergenza, più prevenzione e meno stigmi su quelle che abortiscono.

—>>>Tutta la mia solidarietà e vicinanza alla famiglia della donna


La Repubblica
03 04 2014

Yasemin Takn, corrispondente del quotidiano turco Sabah, viene di colpo licenziata dopo l'uscita su Repubblica di un'intervista al predicatore turco Fethullah Gülen. Questi è l'arcirivale del premier Erdogan nella lotta di potere tra fazioni islamiste in Turchia. Che c'entra Yasemin con Gülen? C'entra, eccome: è sposata con Marco Ansaldo, giornalista di Repubblica, autore del colloquio con l'imam.

Signora Takn, una vendetta in piena regola, e per interposta persona?

"Eh già. M'era successo un'altra volta, ma tanti anni fa, nel '98: lavoravo per l'agenzia Anadolu. Marco, mio marito, intervistò Abdullah Ocalan, il leader curdo del Pkk rifugiato a Roma prima d'essere catturato dalle teste di cuoio turche. L'agenzia mi licenziò. Dovetti ripartire da zero, ricostruire tutta la mia carriera, finché sono sbarcata a Sabah. Stavolta, però, non me l'aspettavo davvero".

Come sono andate le cose?

"E' stata appena questione di ore: alle 16.11 del giorno stesso in cui l'intervista a Gülen è uscita su Repubblica, m'è piombata una mail: "La direzione del giornale ha deciso d'interrompere il rapporto professionale". L'imbarazzo del mittente, il giovane caporedattore degli Esteri, era lampante. Non ne conosceva le motivazioni, scriveva: "nella difficoltà di darti la brutta notizia, preferisco scriverti anziché telefonarti", si scusava".

E lei? cos'ha fatto?

"Quel che farebbe chiunque: ho alzato il telefono e chiesto al giornale spiegazioni".

Le ha ottenute?

"Nulla. Soltanto, m'è stato riferito che in redazione, fin dal mattino, non si parlava d'altro che dell'intervista di Marco a Gülen. Del resto, Hürriyet, il primo quotidiano turco, l'aveva messa in evidenza sul sito".

Perciò, non potendo colpire lui, hanno punito lei?

"Esatto. Si potrebbe definire un ragionamento un po' mafioso: visto che l'autore è un giornalista italiano di una importante testata, intoccabile, hanno voluto fargliela pagare lo stesso. Attraverso me".

Un celebre editorialista turco, Yavuz Baydar, ha twittato: "Yasemin, moglie del giornalista italiano, cacciata su due piedi dopo l'intervista a Gülen. Vergogna!". Le sono piovuti messaggi di solidarietà?

"Sì, a migliaia. Malgrado il blocco di Twitter e Youtube imposto dal governo, Baydar e gli altri hanno aggirato la censura. È stato un sostegno molto importante per me".

La Turchia ora conta più giornalisti in carcere che l'Iran e la Cina. Ogni giorno s'aggiungono nomi di giornalisti querelati, cacciati, imprigionati, zittiti, rei d'essersi espressi sullo scandalo corruzione e sulla rivolta di piazza Taksim; l'intera direzione di Zaman denunciata per avere "umiliato il premier su Twitter". Lei non è sola?

"Proprio così. È un primato vergognoso. E dire che la Turchia, all'apparenza, sembra un Paese più democratico che la Cina e l'Iran".

Ormai si parla apertamente di "democrazia illiberale" in Turchia, di "despotismo" guidato da un governo eletto. Lei teme per il suo Paese?

"Per ironia nel 2000 questo stesso governo esprimeva un progetto di democratizzazione con la richiesta di adesione alla Ue. E invece eccoci: abbiamo compiuto passi da gigante all'indietro. Erdogan ha polarizzato la società, e la situazione rischia di infiammarsi: in estate ci sarà il voto presidenziale, nel 2015 le politiche. Se l'obiettivo è la vittoria di un leader, cioè di Erdogan, anziché la salvezza della Turchia, noi, il popolo e lo Stato, rischiamo di pagare un prezzo altissimo".

Alix Van Buren

Non è strano che la cultura possa essere indebolita da un eccesso di informazione che impedisce di selezionare e di riflettere e mette in difficoltà i tempi dell'autentica cultura, che non è cumulo di nozioni bensì capacità di critica e autocritica, passione e distanza. ...

Parità

  • Martedì, 25 Febbraio 2014 11:24 ,
  • Pubblicato in Flash news

Il Manifesto
25 02 2014

Sul web e sui giornali cresce il dibattito sul senso da attribuire alla parità perfetta tra i sessi introdotta dal nuovo governo : 8 donne e 8 uomini. Renzi, che pure ha accolto un notevolissimo consenso, non piace - con altrettanta passione - a molti e molte. Hanno poi deluso e scandalizzato i suoi modi spicci per detronizzare Enrico Letta ...

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