Tredici migranti perdono la vita sospinti in mare a frustate dai loro aguzzini, e il 37% dei lettori del Corriere.it, la maggioranza, si dichiara “soddisfatto”, scegliendo con un click la faccina sorridente.
Basta un emoticon per evidenziare il cinismo della Rete. E per certificare come, almeno in certe manifestazioni del web, la pietà sia sempre più difficile da rintracciare. Tredici migranti perdono la vita sospinti in mare a frustate dai loro aguzzini (LEGGI TUTTO), e il 37% dei lettori del Corriere.it, la maggioranza, si dichiara “soddisfatto”, scegliendo con un click la faccina sorridente. Non che le alternative mancassero, visto che il “termometro” degli stati d'animo comparso su ogni articolo del sito da alcuni mesi offriva anche la possibilità di sentirsi “indignato”, “preoccupato” o “triste”.
Ma, come cantavano gli alpini nella prima guerra mondiale, “pietà l'è morta” nei meandri del web. Il primo a notarlo Fabrizio Gatti, cronista capace di reportage coraggiosi sul tema dello sfruttamento dell'immigrazione, che sul suo blog dell'Espresso, usa un titolo calzante: “La fine del mondo. Il nostro”. La cosa deve aver colpito anche la redazione online del quotidiano di via Solferino, ovviamente incolpevoli della scelta dei loro lettori, se è vero che il link al termometro emozionale è svanito in fretta e furia dalla home page nazionale, ma è rimasto, se si va a leggere il testo dell'articolo. Nel primo pomeriggio, poi, ha prevalso l'opzione "triste" (sempre con il 37%), e la faccina ha cambiato espressione.
Così come sono i rimasti i commenti dei lettori che – come spesso accade in Rete, facendosi scudo con l'anonimato – danno libero sfogo a rabbia e frustrazione contro i migranti. Si va da dolly41 sicura che “ormai sia appurato che nemmeno il 10% di queste persone sono dei profughi di guerra. Gli altri sono furbi che la tentano” e stufa “di una politica inetta che ha tradito il suo compito principale: difendere i nostri confini e tutelare i propri cittadini”, a un lettore che osserva come i migranti arrivino da Paesi “che possiedono più della metà delle ricchezze del pianeta. Se non si sanno evolvere e non le sanno sfruttare la colpa non è della parte fortunata”.
La crisi accentua la guerra fra poveri. Keysteal si lamenta delle case “assegnate a molti extracomunitari, che magari non ne hanno diritto”, mentre ci sono “famiglie di italiani a cui viene rifiutato un alloggio popolare”, come a Torino “città dell'ex comunista Fassino. Non crede che dovremmo sistemare prima i nostri, di disperati?”, si chiede la lettrice. E se tanti sparano sul “buonismo dannoso”, c'è anche chi si dice indignato. Come Polemico26, che non si tira indietro e mette in guardia dal “disseminare commenti di odio razziale” o Glicine, che spera che “quella percentuale di soddisfatti sia un errore del sistema. Siamo sicuramente stanchi di far entrare nel nostro territorio clandestini che purtroppo spesso finiscono per delinquere perché non sanno di cosa vivere. Non siamo in grado di accogliere, è vero. Questo però non comporta la soddisfazione per la morte”. Ma l'amara constatazione del clima generale rimane.
GiULiA
19 09 2013
Interessante incontro quello di Michela Murgia con Riccardo Romani, giornalista di SKY, su come l'informazione parli della violenza sulle donne e in particolare del femminicidio.
Gli esempi li conosciamo fin troppo bene: "L'amava troppo", "È stato colto da raptus", "Folle di gelosia", fino ad arrivare al "Caldo killer". Almeno seicento persone che volevano sapere come i giornalisti ne parlino; a volte criticandoci, a volte criticando le leggi, la società e i modelli culturali proposti.
Noi potremmo raccontare meglio, non usare stereotipi che mistificano la realtà e dare più spazio alle tematiche che riguardano il rapporto uomo-donna. Il nostro ruolo non dovrebbe essere solo raccontare il fattaccio quando accade, ma giorno per giorno stigmatizzare gli atteggiamenti dominanti anziché esaltarli, dare modelli diversi e non competitivi, insomma c'è bisogno di una piccola rivoluzione culturale, anche da parte nostra, che metta al centro la dignità della donna.
Il femminicidio ha portato la scrittrice a riflettere sulla nostra "educazione sentimentale" e su come non siamo stati educati all'abbandono, come "Non sappiamo dirci addio" e come, molto spesso l'amore diventi una gerarchia di potere e di possesso. Emblematico il gioco delle catene e dei lucchetti su Ponte Milvio.
Catene che rappresentano non l'amore ma l'appartenenza, la proprietà (si lega la bicicletta), la sudditanza (si legano gli animali) e la privazione della libertà (si incatenano i prigionieri). Lunga la strada per liberarci dall'idea che le donne possano essere possedute.
L'incontro è stato sponsorizzato dall'Ordine nazionale dei giornalisti che da quattro anni promuove gli incontri "Le parole del giornalismo" tra autori e giornalisti.
Gegia Celotti