la Repubblica
02 05 2014
di Valeria Fraschetti
Quei diritti fondamentali negati per legge
Producono l’11% del Pil (Prodotto interno lordo), ma lo Stato non è incline ad assumerli. Ci stanno pagando le pensioni, ma per la previdenza sociale sono figli di un Dio minore. Mantengono il nostro bilancio demografico positivo, ma non sempre hanno diritto a bonus bebè e alloggi popolari. Versano le tasse, ma sono costretti a pagare altri balzelli per il semplice fatto di non essere italiani. Potrebbero salvarci dalla crisi economica, ma ci sono parlamentari che gioiscono nel vedere i barconi affondare.
Non c’è bisogno di andare allo stadio per trovare un’Italia razzista: basta osservare lo Stato. Scandagliare leggi nazionali e ordinanze locali, affacciarsi nelle questure, registrare dichiarazioni politiche, monitorare la burocrazia. È una forma di intolleranza più subdola, non sempre evidente. Ma ha un nome: discriminazione istituzionale. Uno scandaloso insieme di politiche, norme e negligenze che designa una linea di demarcazione tra italiani e stranieri, in barba ai principi sanciti dalla Costituzione.
Per chi sceglie l’Italia come casa, i Cie (Centri di identificazione ed espulsione) sono solo il primo assaggio di un percorso fatto di privazioni di diritti e di doveri “ad immigratum”. Come evidenzia anche nel suo ultimo rapporto l’Unar, l’Ufficio nazionale anti-discriminazioni razziali che dal suo call center raccoglie decine di segnalazioni ogni giorno, “nonostante la robusta legislazione anti-discriminazione posta in essere a livello nazionale con il Testo Unico Immigrazione, hanno trovato largo spazio forme di discriminazione istituzionale che hanno gravemente minato una politica di pari opportunità”. Forme di discriminazione provocate da un atteggiamento corsaro dello Stato, che sfrutta l’ambiguità delle leggi, credendo magari di far proprie le istanze dell’opinione pubblica.
I diritti negati
La prima linea è quindi quella delle amministrazioni comunali. Nel ricco almanacco delle iniziative municipali dal sapore discriminatorio è finito ad esempio il Comune di Tolentino, Macerata, che a settembre 2013 ha deciso di dare punteggi aggiuntivi per le graduatorie d’accesso agli asili nido comunali ai lungo-residenti, danneggiando indirettamente gli stranieri che, statisticamente, hanno meno anzianità di residenza. Nel frattempo a Pordenone una delibera (sinora inapplicata) ha stabilito un tetto del 30% per gli stranieri nei nidi d’infanzia. Sempre sul tema accesso ai nidi, basta richiedere il codice fiscale nella domanda per escludere i figli dei clandestini dal diritto all’istruzione a loro teoricamente garantito. Il diritto a ricevere la Social Card è stato esteso invece anche ai titolari di Carta di soggiorno Ce, ma sul sito di Poste Italiane, che accoglie le domande, tra i requisiti necessari appare ancora quello della cittadinanza italiana.
Anche di fronte al diritto al lavoro, articolo 4 della Costituzione, lo Stato pare a volte soffrire di amnesia. Benché sia noto che gli sbarramenti nell’accesso al lavoro per ragioni etniche, religiose o di provenienza geografica violino regole nazionali, comunitarie e internazionali, fino a pochi mesi fa il pubblico impiego era “un ambito off-limits per gli extra-comunitari”, per dirla con Angela Scalzo di Uil Immigrazione. A settembre, la Legge Europea 2013 ha finalmente parificato agli italiani i lungo-soggiornanti, che per anni erano stati tagliati fuori per via del requisito della cittadinanza italiana previsto nei bandi. Tuttavia la nuova normativa continua a escludere i regolari con permessi più brevi. Abolita solo da pochissimo anche la legge sul trasporto pubblico locale che prevedeva la cittadinanza italiana tra i requisiti per l’assunzione. Era un Regio decreto di epoca fascista, del 1931, che le aziende dei trasporti (a capitale pubblico) hanno usato per anni nonostante vari giudici lo abbiano dichiarato discriminatorio.
Lo Stato sbatte la porta in faccia agli immigrati anche quando vogliono fare volontariato. È il caso del bando per il Servizio Civile, che ancora nel 2013 prevedeva la solita clausola della cittadinanza, nonostante il Tribunale di Milano l’avesse dichiarata illegale già nell’edizione 2012. Solo dopo un altro ricorso e una nuova sentenza di accoglimento, la Presidenza del Consiglio dei ministri ha modificato a dicembre i termini della gara.
Contro il muro di gomma della cittadinanza si scontrano persino disabili e bambini. Tempo fa, durante una gita al Colosseo, uno scolaro di nove anni di origini peruviane si è sentito un “paria” quando è stato l’unico tra i suoi compagni a dover pagare il biglietto. A maggio 2013 l’allora ministro Bray, preso atto della gabella per extracomunitari, ha chiesto alle istituzioni culturali di farli entrare gratis come gli altri. Peccato che ci siano musei che guardano ancora al passaporto, come quelli di Roma Capitale, dove se sei un bambino italiano, polacco o di altro paese comunitario hai diritto alla riduzione, se sei turco o brasiliano no.
Ai regolari invalidi o disabili, invece, l’Inps ha negato per anni le prestazioni assistenziali in chiara violazione dei diritti fondamentali della persona, come ammoniva già nel 2009 la Corte Costituzionale. Solo a settembre, dopo quattro anni e nuove sentenze, l’ente si è finalmente adeguato. “Quattro anni in cui l’ente ha risparmiato qualche soldino sulla pelle degli stranieri”, osserva Piero Bombardieri di Ital Uil, segnalando un’altra disparità di trattamento targata Inps e figlia della legge Bossi-Fini. Può essere riassunta così: addio Italia, addio pensione. Ovvero, se un immigrato torna nel paese d’origine perde il diritto alla liquidazione dei contribuiti versati, in mancanza di accordi di reciprocità. E sempre l’Inps ha stabilito che ad avere diritto agli assegni per famiglie numerose sono solo i possessori di Carta di soggiorno Ce, escludendo così chi è in Italia da altrettanti anni ma con permessi più brevi. Immigrati di serie A e B, insomma.
Il fatto è che gli stranieri che avrebbero diritto all’upgrading, Carta di soggiorno o cittadinanza, a volte rinunciano a chiederlo. A causa di un altro ostacolo: la burocrazia. Così letargica da generare essa stessa nuove discriminazioni. I tempi per il rilascio dei permessi di soggiorno sono talmente lunghi che a volte i documenti arrivano scaduti. “Per di più l’attesa spalanca altri limiti”, evidenzia la giurista Clelia Bartoli, autrice del saggio Razzisti per legge. “Ad esempio l’impossibilità di accettare un lavoro in un altro Comune, perché se la questura ti chiama e non sei reperibile rischi di essere depennato”.
I tempi per la cittadinanza invece? Due anni per legge: quattro in media, a volte di più. Il risultato, come ricorda il senatore Pd Luigi Manconi, presidente della Commissione Diritti Umani, è che in Italia si naturalizza solo l’1,2% del totale degli immigrati, a fronte di una media Ue del 3,7%.
Negligente e farraginosa, la burocrazia arriva a scoraggiare persino chi vorrebbe chiedere l’equipollenza dei titoli di studio e il ricongiungimento familiare. Per riunirsi ai propri figli come per ottenere la carta Ce, infatti, è necessario presentare tra le tante carta, anche il certificato d’idoneità abitativa. Ovvero, provare la conformità della propria abitazione a dei criteri stilati come “non vincolanti” per i costruttori di case popolari, ma diventati vincolanti per gli immigrati. “È una chiara discriminazione diretta poiché a nessun italiano che aumenta il nucleo familiare viene richiesto un simile documento”, nota l’avvocato Dario Belluccio dell’Associazione Studi giuridici sull’Immigrazione.
L'INTERVISTA: PARLA LUIGI MANCONI
“La clandestinità perno del razzismo”
“Il reato di clandestinità è la vera matrice del razzismo istituzionale”. “I Cie, luoghi feroci e insensati”. “I rom? Vittime di una segregazione programmata”. Per Luigi Manconi, presidente della Commissione per la tutela e la promozione dei diritti umani del Senato, sono numerosi e variegati gli ambiti in cui l’Italia mostra un approccio all’immigrazione “approssimativo e anti-garantista” che contribuisce a trasformare un “sistema di cittadinanza che, da inclusivo quale era, sta diventando escludente”.
Senatore, le leggi che comprimono i diritti degli immigrati sono varate dallo stesso Stato che sancisce l’uguaglianza nella Costituzione. Come si spiega la contraddizione?
“Esistono quelli che 25 anni fa, con Laura Balbo, definimmo ‘imprenditori politici dell’intolleranza’, quelli che trasferiscono la xenofobia nella sfera pubblica e ne fanno risorsa elettorale. Esiste poi un’irresistibile tendenza dello Stato a limitare gli accessi e di conseguenza a selezionare quanti debbano essere inclusi ed esclusi nel sistema di cittadinanza. Inoltre, la crescita dei flussi e la crisi economica rattrappiscono ulteriormente la capacità e la volontà di accoglienza. Ma questa è una tendenza che riguarda tutti i paesi europei”.
Sui diritti degli immigrati l’Italia si adegua all’Ue sempre in ritardo, dopo le strigliate di Bruxelles. Sciatteria o negligenza calcolata?
“Sciatteria e camurria, trasandatezza e dolo. Il nostro paese è connotato da lentezza e contraddittorietà normativa, ha un approccio insieme cialtronesco e canagliesco, approssimativo e anti-garantista. Lo si vede con i Cie. Quando si chiamavano Cpt la permanenza prevista era 30 giorni, più eventuali 30. Nel decennio successivo si è passati a 12 e poi agli attuali 18 mesi, che è il tetto più alto indicato dall’Ue. Quindi il limite massimo europeo diventa nel nostro ordinamento la norma”.
I tempi medi necessari per l’identificazione invece quali sono?
“45 giorni. Il che comporta 16 mesi e mezzo di pena superflua, inutile, non comminata da alcun tribunale. Un’iniquità che il Parlamento deve rapidamente correggere, riducendo al minimo i tempi di permanenza”.
Quali forme di discriminazione istituzionale vanno affrontate con più urgenza?
“Ci sono varie leggi con conseguenze negative, ma il vero perno del razzismo istituzionale è il reato di clandestinità perché produce un insidioso effetto ideologico. Non sanziona il delitto che la persona compie, come prevede lo Stato di diritto, ma ciò che è, la sua mera condizione umana di migrante. È come se si sanzionasse la povertà. E il risultato è che nel sentimento comune l’irregolare è percepito come una minaccia, un criminale. Questa è la vera produzione del razzismo istituzionale, le altre forme si collocano su altri livelli”.
I campi rom, per esempio. La loro chiusura è prevista nella ‘Strategia d’inclusione di rom, sinti e camminanti’ che la sua Commissione monitora. A che punto è?
“È solo a una prima e molto diseguale applicazione. Proprio perché i rom sono il soggetto di cui meno ci si interessa e che meno viene tutelato, come Commissione intendiamo dedicare loro un particolare lavoro di analisi”.
Nel suo libro ‘Accogliamoli tutti’, scritto con Valentina Brinis, evidenzia l’esistenza di un sotto-sistema penale speciale per gli immigrati. Esempi?
“Gli immigrati sono costantemente oggetto di un trattamento diseguale. Ne è un esempio lampante il fatto che la convalida dell’espulsione è affidata ad un giudice di pace e non ad un tribunale, come richiederebbe un provvedimento così delicato, che incide sulla libertà personale”.
La sovra-rappresentazione degli stranieri nelle carceri è un effetto di questo sotto-sistema penale?
“Uno straniero avrà sempre più probabilità di essere arrestato di un italiano, meno possibilità di essere prosciolto, di ottenere la libertà condizionata e così via. Fatalmente la percentuale di stranieri reclusi risulterà sempre assai alta”.
Il discrimine tra i diritti degli extracomunitari e i nostri è spesso definito dal possesso della cittadinanza italiana. Un figlio di stranieri a quali condizioni dovrebbe accedervi?
“Non amo la formula di ius soli temperato, ma condivido il concetto che la ispira: l’acquisizione di cittadinanza non come automatismo assoluto, ma come processo fatto di passaggi di integrazione. E il percorso scolastico è la via maestra, quella più razionale e intelligente”.
Un disastro ereditato dalla Bossi-Fini
di Vladimiro Polchi
Se sei un immigrato hai mille ostacoli da superare. Li incontri quando cerchi un lavoro, quando devi curarti, quando vai a iscrivere i tuoi figli a scuola, quando affitti casa. Sì, perché la vita può essere dura per tutti, ma per un “nuovo italiano” c’è un sadismo istituzionale in più: un intricato cespuglio burocratico, che ti impone una costante via crucis.
Sul banco degli imputati siede da 12 anni la Bossi-Fini, legge che guarda all’immigrazione solo attraverso le lenti deformi dell’ordine pubblico. In sostanza lega il permesso di soggiorno al contratto di lavoro, rende più complesse le procedure per il suo rinnovo, favorisce l’immigrazione temporanea e scoraggia la stabilizzazione. Una legge che non argina le ondate di ingressi irregolari, ma in compenso dissuade i flussi di immigrati qualificati.
Da anni si parla della sua abolizione o almeno di un “tagliando”. Nell’estate 2007 ci avevano provato i ministri Amato e Ferrero. Nulla di fatto. Poi una serie di proposte, fino all’ultima: un mese fa è toccato al responsabile del Pd, Welfare e Scuola, Davide Faraone, proporre l’ennesima riforma. Intanto, solo grazie alle sentenze dei tribunali ordinari e della Consulta, sono caduti alcuni dei pezzi più discriminatori del suo impianto. Stesso discorso per la cittadinanza. Impelagati tra ius soli temperato e ius culturae, i testi di riforma (ben 48 nella scorsa legislatura) sono fermi nei cassetti delle commissioni parlamentari competenti da anni.
Eppure, limitandosi a ragionare col portafogli, la presenza dei migranti è utile al sistema Italia. Certo, la crisi ha rimescolato un po’ le carte in tavola, e la frase «gli immigrati fanno i lavori che gli italiani non vogliono più fare» può apparire una fotografia sfuocata (per esempio, sul fronte del lavoro domestico). Ma facciamo un gioco e chiediamoci: cosa accadrebbe all’Italia senza di loro? Sarebbe la paralisi per molti settori produttivi. Basta leggere i numeri. Oltre il 50 per cento degli operai delle fonderie è immigrato. Nella provincia di Brescia un metalmeccanico su 5 è straniero. Non mancano casi particolari, ma emblematici: in Abruzzo, il 90 per cento dei pastori è macedone. In Val d’Aosta, a fare la fontina sono solo i migranti: nei trecento alpeggi della regione, gli italiani sono infatti meno del 10 per cento. In Emilia-Romagna, tra gli addetti al Parmigiano Reggiano, uno su tre è indiano. E così via.
Non solo. Stando a un’indagine condotta dall’economista Tito Boeri per la Fondazione Rodolfo Debenedetti, perfino gli irregolari sono «funzionali alla nostra economia»: lavorano di più e guadagnano di meno. Insomma, una risorsa per molti imprenditori privi di scrupoli. Non manca, è vero, il lato oscuro. Un esempio? Oggi nello spaccio oltre un denunciato su tre è immigrato. Il mercato della droga parla sempre più straniero. Questo va detto con chiarezza. Ma il problema non si risolve con leggi discriminatorie.
La verità è che il nostro Paese non ha mai elaborato un suo modello d’integrazione. Non si è mai chiesto: «Come pensiamo di governare una società che sarà sempre più multietnica?». Seppure con molti fallimenti, la Francia si è affidata all’assimilazione, la Gran Bretagna al multiculturalismo. E noi? Nell’attesa che la politica si muova, restiamo ancorati al vecchio modello dell’integrazione fai-da-te, che nasce dall’incontro tra persone di buona volontà.
Corriere della Sera
28 02 2014
Il caso del piccolo Erik diventato italiano.
In provincia di Cremona lo ius soli è già realtà. Leandro Erik, nato in Italia da genitori cubani, nonostante abbia soltanto 3 anni, ha ottenuto nei giorni scorsi la cittadinanza italiana. E il Comune di Casalmaggiore, dove il bimbo risiede da qualche mese, lo ha omaggiato con una cerimonia ufficiale con tanto di bandiera tricolore ad avvolgere le spalle del piccolo Leandro.
IL SINDACO - Entusiasta il sindaco Claudio Silla (Pd), che nei mesi scorsi ha conferito la cittadinanza onoraria ai bambini di seconda generazione: «Speriamo che questa vicenda possa essere un segnale affinché il nuovo Governo possa approvare prima possibile lo ius soli. Non bisogna continuare a ragionare in termini ideologici, ma in termini pratici: questi bambini sono italiani a tutti gli effetti, non ha senso negar loro la cittadinanza».
APOLIDE - Quello di Casalmaggiore è un caso più unico che raro visto che, in caso di genitori stranieri, la legge italiana prevede che la cittadinanza possa essere conferita soltanto al diciottesimo anno di età. Ma il bambino in questione è apolide, una persona cioè che non ha alcuna cittadinanza. Leandro non ha infatti la cittadinanza cubana visto che la legge dell’isola caraibica prevede la cittadinanza soltanto ai minori che risiedono almeno tre mesi sul territorio nazionale, ma lui a Cuba non ci ha mai messo piede. E così, in base all’articolo 1 della legge italiana sulla cittadinanza, si applica lo ius soli, il principio secondo cui si ottiene la cittadinanza dello Stato in cui si è nati.
LA VICENDA - Una vera e propria epopea quella del piccolo Leandro, raccontata anche dal quotidiano cremonese «La Provincia». I genitori avevano richiesto la cittadinanza italiana alla nascita del figlio, quando abitavano a Napoli. Ma dal Comune nessuna speranza: «In Italia non c’è lo ius soli, il bambino non può diventare italiano fino al diciottesimo anno di età». La stessa risposta è arrivata anche da altri uffici comunali del territorio e i genitori erano sempre più disorientati di fronte a una vicenda paradossale. «Nostro figlio non era né italiano né cubano, non aveva nessuna nazionalità» hanno ripetuto più volte la madre Yulianela Leyva e il padre Leandro Perez. Nel 2010 il trasferimento della famiglia a Casalmaggiore. Ancora la stessa richiesta all’ufficio comunale, che stavolta analizza il caso nello specifico e avvia le procedure per l’ottenimento della cittadinanza attraverso il ministero dell’Interno.
LETTERE AL MINISTRO - Ad occuparsi della delicata questione è Giuseppe Riviera, ufficiale dello Stato civile del Comune di Casalmaggiore, che però s’imbatte in una certa inefficienza dello Stato: «A partire dal 2010 abbiamo spedito numerose lettere al ministero, ma nessuno ci ha mai fornito risposte concrete». Finalmente pochi mesi fa la situazione si sblocca e il ministero, valutato il caso, chiarisce che Leandro Erik può ottenere la cittadinanza italiana.
Jacopo Storni
Il Fatto Quotidiano
20 02 2014
Si tratta di una scelta simbolica dell'amministrazione comunale che si rivolge ai ragazzi da 0 a 18 anni col preciso intento di lanciare un segnale politico sulla strada di una piena integrazione
di Alice D'Este
Che sia chiaro fin da subito, lo Ius soli non c’entra. O meglio c’entra, ma solo simbolicamente. Perché la cittadinanza che i minori stranieri potranno chiedere a Venezia a partire dal prossimo 20 novembre a patto che i loro genitori lo vogliano, non sarà una cittadinanza vera. E non sarà nemmeno quella onoraria, come accade in occasioni di altro tipo. La dicitura scelta è ‘cittadinanza speciale‘. E da lunedì scorso il Consiglio comunale veneziano ne ha approvato il via libera. Potranno richiederla tutti i bambini stranieri nati in città. Tramite i loro genitori ovviamente.
La proposta, lanciata 11 mesi fa con una delibera portata in Consiglio comunale da Sebastiano Bonzio, consigliere di Federazione della Sinistra, è passata con 26 voti a favore (Pd, Federazione della sinistra, Udc, Psi, Movimento cinque stelle e liste civiche) e 5 voti contrari (Forza italia, Fratelli d’Italia, Lega Nord e Prima il Veneto), più due astenuti. Una scelta simbolica che si rivolge ai ragazzi da 0 a 18 anni col preciso intento di lanciare un segnale politico. “Nelle prossime settimane il Comune attraverso l’anagrafe e lo stato civile invierà circa 3mila lettere ai minori interessati e alle loro famiglie – spiega Bonzio – La cittadinanza speciale di Venezia insomma si potrà avere su richiesta dei genitori. Il valore simbolico di questo gesto è importante, non possiamo più far finta di non riconoscere su tutti i piani un gruppo di cittadini che rappresentano una risorsa per il nostro paese. E’ una follia innanzitutto sul piano umano, perché sono i compagni di classe dei nostri figli ma anche sul piano civile. Le risorse che lo stato investe su di loro, a partire dall’istruzione, senza cittadinanza si perdono nel nulla”.
I minori interessati nella Provincia di Venezia potrebbero essere anche il doppio. Per tutti, però, si tratterà di un riconoscimento parziale. Nel caso in cui la richiesta fosse inoltrata e accettata, dovrebbe essere seguita, passati i dieci anni di residenza, da una richiesta di cittadinanza ufficiale. Seguendo insomma le normali procedure della legge italiana. In Italia ad oggi, infatti, lo Ius soli non esiste, ci si basa ancora sullo Ius sanguinis e cioè la cittadinanza italiana si acquisisce per nascita solo se almeno uno dei due genitori è cittadino italiano. In caso contrario è necessario fare richiesta in Prefettura (dopo dieci anni di residenza e seguendo alcuni parametri precisi).
La cittadinanza speciale della città di Venezia non sarà niente di tutto questo. “Si tratta di un atto a costo zero che ha un forte valore simbolico – dice Simone Venturini, consigliere comunale dell’Udc – E’ il primo passo per l’integrazione futura. Stiamo parlando di bambini che sono italiani a tutti gli effetti. Di certo la legge nazionale non può essere decisa con altrettanta facilità ma questo è un segnale forte. Credo che sia arrivato il momento che la politica provveda e cominci ad occuparsi di questa questione”. Un intento, quello della maggioranza del Consiglio comunale, che però non ha convinto tutti. “Credo che la cittadinanza italiana sia un atto d’amore e condivisione di cultura e di lingua – dice Sebastiano Costalonga consigliere di Fratelli d’Italia – Avevo chiesto che il requisito minimo per la richiesta fosse aver frequentato la scuola dell’obbligo in Italia. L’emendamento è stato bocciato, allora ho votato contro”.
Con lui anche la Lega Nord: “Venezia si occupa solo di gay e immigrati” ha sbottato Emanuele Prataviera, deputato del Carroccio. A favore invece anche il Movimento 5 stelle. “L’intento del Consiglio comunale è stato allo stesso tempo simbolico ed espressione di una volontà – dice Gianluigi Placella, consigliere comunale del M5s – Con questa iniziativa Venezia apre le porte ai nati in Italia lasciando l’opportunità, più avanti, di confermare o meno la richiesta. Si tratta di un segnale di apertura importante che spinge al dibattito parlamentare“. Una segnalazione infatti arriverà fino in Parlamento. “La delibera, così approvata, verrà spedita al Parlamento e alla Presidenza della Repubblica e all’Anci – spiega Bonzio – Speriamo sia utile a riaccendere il faro sul tema spingendo Camera e Senato a legiferare finalmente su questa questione”. Prima di Venezia la stessa proposta era già stata affrontata due mesi fa a Treviso, dopo l’insediamento del nuovo sindaco Giovanni Manildo (Pd). 1800 in quel caso le lettere spedite (tra 6 e 19 anni), 21 voti favorevoli e 6 contrari. Un provvedimento che anche in quel caso, nella terra della Lega nord, più che mai, aveva fatto discutere.
Dopo le toppe al bilancio, a Palazzo Chigi doveva ancora capitare la sventura di trovarsi di fronte ai buchi di civiltà. Non che fosse un imprevisto: dalle unioni civili al divorzio, dalla fecondazione assistita al testamento biologico, dall'omofobia allo ius soli, quando si è trattato di assicurare la possibilità di piena realizzazione delle libertà individuali, lo Stato italiano si è dimostrato sempre più ingombrante del solito. Ecco come siamo messi, nel Paese in cui non sembra mai il momento buono per cambiare registro. ...
Comune-info
27 12 2013
Ma che Natale celebra questo paese? Ma che Natale celebrano le comunità cristiane d’Italia?
I gravi eventi di questi giorni ci obbligano a porre questi interrogativi. Le immagini del video- shock: migranti nudi e al gelo, nel Cie di Lampedusa, per essere 'disinfestati' dalla scabbia con getti d’acqua. Immagini che ci ricordano i lager nazisti.
Le foto degli otto tunisini e marocchini del Cie di Ponte Galeria a Roma con le labbra cucite in protesta alle condizioni di vita del centro. Bocche cucite che gridano più di qualsiasi parola!
Ed ora il deputato Khaled Chaouki che si rinchiude nel Cie di Lampedusa e inizia lo sciopero della fame, per protestare contro le condizioni disumane del centro e in solidarietà con i sette immigrati che, per le stesse ragioni, digiunano.
Sono le urla dei trecento periti in mare il 3 ottobre a Lampedusa, le urla dei quarantamila migranti morti nel Mediterraneo che è diventato ormai un cimitero.
Tutto questo è il risultato di una legislazione che va dalla Turco-Napolitano che ha creato i Cie, alla Bossi-Fini che ha introdotto il crimine di clandestinità e ai decreti dell’allora ministro degli Interni, Maroni, che trasudano di razzismo leghista.
Possiamo riassumere il tutto con una sola parola: Razzismo di Stato.
Le domande che sorgono sono tante e angoscianti.
Come mai un paese che si dice civile ha permesso che si arrivasse ad una tale legislazione razzista e a una tale tragedia?
Come mai la Conferenza episcopale italiana sia rimasta così silente davanti a un tale degrado umano?
Come mai la massa delle parrocchie e delle comunità cristiane non ha reagito a tante barbarie?
“Sono venuto a risvegliare le vostre coscienze – ha detto papa Francesco quando è andato a Lampedusa – La cultura del benessere ci rende insensibili alle grida degli altri”.
Ma allora viene spontaneo chiederci: “Ma che Natale celebriamo noi credenti?” Natale non è forse fare memoria di quel Bimbo che nasce sulle strade dell’Impero (“non c’era posto per lui nell’albergo”) e diventa profugo per fuggire dalle mani di Erode? Natale è la proclamazione che il Verbo si fa carne, carne di profughi, di impoveriti, di emarginati. “La carne dei profughi-ci ha ricordato papa Francesco – è la carne di Cristo”. E allora se vogliamo celebrare il Natale, sappiamo da che parte stare, con chi solidarizzare.
Ecco perché dobbiamo avere il coraggio di chiedere al governo italiano, come dono di Natale, l’abolizione delle leggi razziste emanate in questi anni dalla Turco-Napolitano alla Bossi-Fini, e il varo di una legislazione che rispetti i diritti umani e la Costituzione.
Inoltre chiediamo che in questa nuova legislazione venga introdotto il diritto all’asilo politico e allo ius soli.
E altrettanto chiediamo, come dono di Natale, ai vescovi italiani un documento che analizzi, in chiave etica, la legislazione razzista italiana e proponga le strade nuove da intraprendere per arrivare a una società multietnica e multireligiosa. Proprio per evitare quel pericolo che papa Francesco ha indicato nel suo discorso a Lampedusa: ”Siamo caduti nell’atteggiamento ipocrita del sacerdote e del levita, di cui parla Gesù nella parabola del Buon Samaritano: guardiamo il fratello mezzo morto sul ciglio della strada e continuiamo per la nostra strada, non è compito nostro; e con questo ci sentiamo a posto”.
Auguro a tutti di posare davanti al presepe dove troverete un Bimbo-profugo vegliato da una famiglia transfuga e attorniato dal bue e dall’asino che ci ricordano le parole del profeta Isaia:
"Il bue conosce il proprietario
e l’asino la greppia del padrone,
ma il mio popolo non comprende".
Alex Zanotelli
Alex Zanotelli, missionario comboniano, è stato a lungo direttore della rivista Nigrizia prima di vivere per oltre dieci anni in una delle baraccopoli più grandi del mondo, Korogocho, a Nairobi. Da diversi anni ha scelto di vivere in un piccolo appartamento della periferia di Napoli, ma ciò non gli ha impedito di lavorare sui temi dell’acqua, dei rifiuti, dell’antirazzismo e della nonviolenza, promuovendo reti e iniziative. Invia costantemente i suoi articoli a Comune.