Fabio Bracci
Maschile/Femminile
04 12 2013
Nello scantinato del palazzo contiguo al mio qualche anno fa c’era un laboratorio di cinesi. Facevano borse, credo, non so per quale griffe. Le macchine da cucire vibravano giorno e notte, 24 ore su 24. Verosimilmente molti dormivano lì, in “cucce” ricavate negli angoli dello scantinato, materassi sporchi ammucchiati come nel capannone di Prato distrutto dall’incendio. C’era un viavai di bambini, anche piccolissimi, ancora nei passeggini, che passavano molte ore del giorno e forse anche della notte in quello spazio malsano, seminterrato, buio, sporco, rumoroso, affollato, probabilmente fetido di colle tossiche.
Per il padrone di casa non era un problema: “Finché pagano…”. Per pagare pagavano. Anche molto, forse, in modo da garantirsi che si chiudesse un occhio su quello che capitava lì, dal lavoro in nero con paghe da fame ai bambini messi a dormire tra le macchine da cucire.
Sono andata dal sindacato di zona, Cgil. Ho raccontato quello che capitava. Il funzionario mi ha ascoltato con pazienza, anche con aria un po’ beffarda, e poi mi ha detto: “Si metta una mano sulla coscienza…”. Il fatto è che io una mano sulla coscienza me l’ero messa. Ero lì esattamente per quello.
Quindi non posso sopportare le lacrime di coccodrillo di chi piagnucola sulla strage dei cinesi a Prato e sull’”insostenibile sfruttamento”, come lo ha definito il presidente Napolitano. I palazzi dove abitiamo sono pieni di questi laboratori, cisti di schiavitù. Il viavai lo vediamo e non diciamo nulla. I sindacati fanno poco e niente. Le forze dell’ordine tollerano. Casomai una congrua mazzetta aiuta: circola parecchio cash nei giri cinesi. Ci compriamo quei vestiti a pochi euro. E anche quelli delle griffe -a molti euro- confezionati da questo lumpenproletariat a cui manca solo la catena al piede.
Ci sono anche le schiave del sesso, detenute nei centri massaggi a ogni angolo delle nostre città, nell’indifferenza generale. La Lega non si affanni per l’abolizione della legge Merlin e il ritorno alle case chiuse, come sta facendo: ci sono già, e dappertutto. Ne ho parlato tante volte, ho interpellato direttamente le assessore della nostra giunta, ma non è successo nulla.
Forse dovremo aspettare che uno di questi bordelli prenda fuoco, che le ragazze arrostiscano lì dentro. E allora cominceremo a piagnucolare.
Globalist
01 08 2013
La Guardia di Finanza di Palermo, con personale dell'ispettorato provinciale del lavoro, dell'Inps e dell'Inail, ha scoperto un call center in cui venivano impiegati 37 lavoratori, tra 19 e 50 anni, pagati in nero tra i 2 e i 3 euro per ogni ora trascorsa davanti ad un computer, con cuffie collegate ad una postazione telefonica. Il lavoro subordinato era stato mascherato con un fittizio contratto a progetto, basato sulla vendita di un quantitativo minimo di prodotti che ciascun operatore telefonico avrebbe dovuto garantire all'azienda ogni bimestre.
Il titolare del call center - che opera nel settore delle vendite di depuratori d'acqua e che aveva iniziato l'attività il 3 maggio 2012 - utilizzava un escamotage per pagare i dipendenti: a ciascuno, dopo "l'assunzione", veniva data o veniva richiesto di procurarsi una carta prepagata - del tipo post pay - sulla quale poi, mensilmente, venivano fatti confluire i salari in nero.
Gli accertamenti delle Fiamme Gialle "hanno permesso di ricostruire l'erogazione di somme verso i lavoratori per un ammontare superiore agli 80 mila euro in soli sei mesi. A fronte di questo, i lavoratori non hanno mai ricevuto una lettera di assunzione, né sottoscritto un contratto di lavoro o firmato quietanze di pagamento".
Il sistema - sostengono gli inquirenti - ha consentito all'imprenditore sia di aggirare i contratti nazionali di settore risparmiando, in soli termini di contrattualizzazione nazionale minima, oltre 40 mila euro, sia di ottenere illeciti risparmi in termini di contribuzione assistenziale e previdenziale. Per le 2.400 giornate lavorative ricostruite dai finanzieri per tutti i lavoratori individuati nell'arco di un semestre, il titolare del call center avrebbe dovuto versare contributi pari a 20 mila euro.
Le Fiamme Gialle stanno esaminando nei dettagli la contabilità dell'azienda, per contestare le sanzioni amministrative pnreviste che vanno da un minimo di 72.725 ad un massimo di 644.330, e per la ricostruzione dei ricavi sottratti al fisco, dai quali sono state tratte le provviste per pagare in nero di dipendenti.