Corriere della Sera
28 02 2013

Ha chiesto l'amicizia su Facebook a una 15enne e l'ha costretta, minacciandola, a spogliarsi via chat. La vittima aveva paura che foto e video venissero diffuse online sui profili dei suoi amici, e per questo continuava a prestarsi alle richieste del pedofilo. Anche perchè l'uomo la ricattava in questo senso, obbligandola a inviargli altri filmati, altrimenti - era la minaccia - lui avrebbe divulgato online quelli che erano già in suo possesso.

«MANDAMI ALTRI FILMATI» - La polizia postale di Torino lo ha però rintracciato e arrestato, dopo che la ragazzina ha trovato il coraggio di denunciare l'accaduto. «Dopo un po' - ha raccontato la quindicenne agli inquirenti - ha chiesto delle mie foto intime e poi di mostrarmi a lui con la chat, mentre mi spogliavo. Solo che ha registrato tutto e mi ha detto che se non continuo manda tutto ai miei amici. Io non voglio continuare, ma ho paura perche lui mi minaccia e non ho il coraggio di dirlo ai miei. Mi vergogno, li deluderei troppo». Poi le manette per il ricattatore. «Serve più attenzione tra gli utenti dei social network», raccomandano gli investigatori.

La Repubblica
22 02 2013

L'eleganza di lasciare a una signora l'ultima parola. Angela Bruno ora sta solo cercando silenzio, definitivo. Non è una richiesta esagerata. E' fatta da una ragazza di trent'anni diventata famosa come "quella della domanda su quante volte viene". Su Google nelle foto appare sorridente accanto a Silvio Berlusconi. Angela Bruno però non ride da quel giorno. E su quel sorriso si è scatenato un putiferio mediatico che la sta stritolando. Ha chiesto le scuse, "ma non è servito, non lo sono state", dopo aver ascoltato alla radio le parole di un Cavaliere senza eleganza.

Vuole spiegare, ancora una volta, ci ha chiesto di darle voce sperando sia l'ultima intervista. Ha un tono forte, deciso, è arrabbiata, chiusa a casa, e non lavora da due settimane. Con il suo tipo di contratto se non lavora non guadagna. Cerca di difendersi da quando è scesa da quel palco e la storia è nota, la sua versione, i motivi di quel "divertimento" che di divertito non aveva niente. Inutile continuare a parlare di quel suo modo di sorridere alle battute di Silvio Berlusconi. Quante volte viene? Si giri. Lei ha sorriso, imbarazzata. Ha cercato di riportare la conversazione su un altro piano. Circondata dai suoi capi e di fronte a un uomo carismatico e potente. Una "persona comune", come continua a definirsi Angela Bruno, finita tra gli artigli del giaguaro, o del leone, a seconda dell'angolazione da cui si decida di guardare l'ex premier.

Non si può contestare un sorriso, decidere quanto valga un imbarazzo "durante", se più di un imbarazzo "dopo". Quello che si deve contestare è solo l'ineleganza di una raffica di battute pesanti.

Invece è successo ancora. Negli studi televisivi di 'Agorà' (VIDEO) quando l'ex governatore del Veneto, Giancarlo Galan, ora candidato del Popolo della Libertà, ha ripreso in mano l'argomento insieme al suo telefonino, sventolandolo di fronte al conduttore Andrea Vianello: "Io ho qui i messaggi che quella signora ha mandato dopo essere scesa dal palco! La signora sa, deve sapere e mi ascolti. Io ho i messaggi che ha mandato dopo". Sono conversazioni private, è una violazione della privacy, non le voglio vedere ha reagito Vianello in studio. "No, va detto! La signora era contenta, e molto. Ci dobbiamo pur difendere", ha continuato Galan. Intimidandola galantemente.

"Lui dice 'la signora parla, ci dobbiamo difendere'. Non ne posso più. Devo star zitta. Devo parlare. Quei messaggi ce li ho anche io. Sono pronta a portarli in tribunale. Loro si devono difendere da me? Sono io che sto cercando di difendere me stessa da tutti i torti che continuano a farmi", ha spiegato Angela Bruno. "Vorrei vedere sventolare l'ordinanza del tribunale che gli ha dato il diritto di violare la legge e avere i miei messaggi privati, personali. Sono disponibilissima a metterli a confronto, alle condizioni che venga fuori il nome della persona che li ha dati, senza il mio consenso, violando la mia privacy. Tutto quello a cui stò assistendo si chiama mobbing, e lo dico da donna. Per le donne".

Parla veloce, nel tentativo di tappare nuovi buchi, cercando un'ultima parola. Si può contestare un divertimento, o si può credere che non ci sia stato. Prima o dopo fa poco differenza. Ma non la pensa così neanche Berlusconi che nel chiedere le scuse si è limitato a regalarle una parola vuota. "Sì sì, signorina tante scuse... Ma non legga più Repubblica e altri giornali consimili". Per poi aggiungere: "Era divertitissima, mi ha chiesto l'autografo e di essere fotografata. Poi si è fatta influenzare dai sepolcri imbiancati, da quei moralisti da due lire".

I moralisti da due lire sono scesi in piazza. A Milano le donne del Popolo della Libertà sfilano con lo slogan "Sono una donna non sono una bambola". Le donne del Pdl, Daniela Santanchè, Mariastella Gelmini, Elena Centemero, sono in strada a dire: "Siamo donne normali, donne che lavorano in casa o in ufficio o in fabbrica, donne che studiano o che cercano, a fatica, un impiego. Siamo le madri, le sorelle, le mogli e le figlie degli italiani". Ma sono anche donne come Angela Bruno. La ragazza di quante volte viene.

"Quelle di Berlsuconi non sono state scuse. Ma un nuovo modo per offendermi, per ribadire che mi sono divertita, è un giro di parole il suo. Io vorrei le scuse come le ho chieste, senza se. Senza ma. Per me, per tutte le donne", ha detto ancora Angela Bruno. Che oltre a non riceverne di nuove ora rischia di non ricominciare a lavorare. La Green Power - l'azienda con cui collabora - ha definito quel momento sul palco un "simpatico siparietto". E quando Angela Bruno è scesa i vertici le hanno fatto i complimenti. Ora vorrebbero che minimizzasse. Che non negasse di essersi divertita. Come se questo possa chiudere la faccenda. "L'azienda, la persona che la rappresenta mi voleva manipolare, obbligare per farmi fare delle dichiarazioni false che io non ho voluto fare, nonostante il mio rifiuto hanno rilasciato un comunicato falso. Ho dovuto nascondermi da tutte le loro pressioni. Sono arrabbiata. Ho sorriso su quel palco perché erano le circostanze, non avevo neanche capito che dopo avermi chiesto di girarmi mi avrebbe guardato il sedere. Potevo scendere, voltare le spalle a tutti i miei superiori. Sono stata confusa. Ma ora? Ora mi rifiuto di rispondere alle manipolazioni, ora cerco di dire le cose come sono andate. Perché non serve?", ha continuato a spiegare.

"Ho subito quattro giorni di pressioni da parte dell'azienda e non rispondo più al telefono a queste persone. Sto rischiando il lavoro, e li ho sempre difesi, ma non ne posso più. Non sono una dipendente dell'azienda ma una libera professionista quindi se non lavoro non guadagno. Sono due settimane che non guadagno. Hanno fatto tutto loro e io ora vorrei se ne assumessero la responsabilità. Ho detto no comment per tanti giorni, ma non si gioca così con la vita delle persone", ha continuato. "Che siamo sotto elezioni è solo una coincidenza. A me della politica non interessa nulla, non ho nessun doppio fine, non voglio pubblicità, al contrario, vorrei silenzio. Non sono debole, sono arrabbiata, non ho paura, non sto accettando compromessi. Sto chiedendo di avere un'ultima parola".

Per interrompere questo carosello forse le parole finali potrebbero anche non essere le sue, ma del Cavaliere, e della Green Power. Due parole eleganti e solitarie, come "Mi scusi".

Corriere della Sera
07 02 2013

Il 65enne aveva un precedente penale per lo stesso tipo di reato, ma aveva falsificato i documenti per farsi assumere

MILANO - Un bidello di 65 anni di una scuola elementare di Vimercate (Monza e Brianza) è stato arrestato in flagranza di reato dai carabinieri per violenza sessuale ai danni di alcune alunne. I militari, che su disposizione del giudice avevamo messo delle telecamere nei bagni della scuola, lo hanno bloccato proprio mentre stava trattenendo una bambina, contro la sua volontà, nel locale servizi. Le indagini sono partite dopo le confidenze di una ragazzina, che ha raccontato alla maestra di essere stata molestata nei bagni. L'uomo, di origini sarde, sposato, aveva un precedente penale grave per lo stesso tipo di reato, ma aveva falsificato la documentazione e otto anni fa era stato assunto come bidello nella scuola elementare comunale «Emanuele Filiberto» di Vimercate. Si introduceva nei bagni femminili e, adescando le bambine, tutte sotto i dieci anni, le palpeggiava nelle parti intime.


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LA DENUNCIA - Le indagini, spiegano i carabinieri, sono scaturite dalla denuncia di una bimba che lo scorso 25 gennaio si era confidata con una maestra. Al fatto aveva assistito anche una compagna, che ha confermato. Sotto la direzione della Procura della Repubblica di Monza, i Carabinieri hanno quindi avviato una costante ed ininterrotto monitoraggio, del comportamento del bidello tramite telecamere all'interno della scuola, accertando incontrovertibilmente le sue responsabilità. In pochi giorni i militari hanno assistito a quattro episodi. L'ultimo, il più grave, il 4 febbraio, quando i militari hanno visto che l'uomo stava trattenendo una bambina contro la sua volontà. A quel punto sono intervenuti, arrestando l’uomo in flagranza. In casa sua, dinanzi ad una moglie ignara e sbigottita, gli operanti hanno sequestrato un computer portatile e numerosi dvd che dovranno essere analizzati, anche per stabilire se in passato il soggetto abbia commesso atti analoghi.

IL PRECEDENTE - Dagli accertamenti sull’arrestato, è emerso che nel 1971 era stato condannato per un analogo grave reato a sfondo sessuale, che aveva commesso in Calabria, ai danni di una bambina di 12 anni, in una chiesa. Tale episodio, però, era stato nascosto: alla scuola Emanuele Filiberto l'uomo aveva esibito una falsa attestazione rispetto alle proprie pregresse condanne penali, mentendo sui suoi trascorsi giudiziari. Le indagini sono state coordinate da Alessandro Pepe’ della Procura della Repubblica di Monza.

SOLIDARIETA' - Il sindaco di Vimercate, Paolo Brambilla, ha espresso la sua solidarietà alle famiglie delle bambine promettendo tutto il supporto possibile, anche in sede processuale. «La notizia dell'arresto lascia me, con tutta l'amministrazione comunale e la città tutta di Vimercate pieno di sgomento e rabbia - ha commentato Brambilla - Questo inqualificabile gesto non può trovare nessuna comprensione in una comunità sana e attenta ai minori come è quella Vimercatese. Va respinto con determinazione e sdegno. A chi si è trovato coinvolto voglio potere offrire rassicurazioni che il Comune metterà a disposizione tutto ciò che è nelle sue possibilità in termini di assistenza e tutela al minore e ai genitori, anche dal punto di vista dei risvolti legali».

CASTRAZIONE - «La violenza sessuale nei confronti dei bambini è il crimine più disgustoso che possa esistere ed è per questo che va perseguito con la massima severità. Per tali reati credo sia necessario introdurre la forma più estrema di pena, vale a dire la castrazione, perlomeno chimica»: lo sostiene, commentando il fatto, Romano La Russa, candidato alle Regionali lombarde nelle liste di Fratelli d'Italia-Centrodestra Nazionale. «Tra l'altro, la castrazione chimica potrebbe funzionare da deterrente per tutti coloro che volessero mettere in atto comportamenti similari. Nessuna pietà per i pedofili!», ha concluso La Russa.

 

«Allontanata perché ho denunciato molestie»

Corriere della Sera
07 02 2013

Sindacalista della Cgil accusa il suo capo: l'ho respinto e si è vendicato. «Non è vero, non le è stato fatto alcun torto»

Franca fa la sindacalista, e il suo lavoro le piace. Non lo avrebbe mai lasciato. «È una grande soddisfazione aiutare i lavoratori», in particolare quelli delle mense nelle zone problematiche di Milano. Franca Imbrogno, 47 anni, sposata e con due figlie, era in Filcams. Era, perché dal 31 dicembre scorso la Cgil ha deciso di allontanarla, di revocare il distacco sindacale che secondo statuto si esegue solo per «motivi gravi». Ragioni che a lei non sono mai state comunicate. «La verità è che io ho cercato di denunciare molestie all’interno dell'organizzazione. Per questo sono stata mandata via. E chi mi ha aiutato ha avuto lo stesso trattamento». Un’accusa pesante. Che ha deciso di formalizzare con un atto di citazione depositato al Tribunale di Milano, in cui, si legge, chiede i danni e l'annullamento del provvedimento. Ma la Camera del Lavoro non ci sta: «I due fatti non sono legati. La segreteria ha deciso di revocare il distacco quando ancora non sapeva di quella situazione problematica. Se le molestie ci sono state, le dovrà provare e la invitiamo ad andare avanti».

«LE CONTINUE MOLESTIE» - Una situazione complicata che vede, appunto, Franca Imbrogno contro un dirigente. Lei non esita chiamare tutta la vicenda «un incubo». Imbrogno entra nel sindacato Filcams nel 2010. «Fin da subito ho notato un atteggiamento molto strano da parte del mio segretario di riferimento». Da lui nessuna collaborazione. Per un anno «mi sono arrangiata e anche bene, visto che le iscrizioni sono aumentate». Poi alla fine del 2011 cominciano telefonate ambigue da parte del segretario. «Io e lui ci confrontavamo quotidianamente su alcune vertenze. E al termine di ogni chiamata mi chiedeva di uscire». Frasi del tipo: «Andiamo a cena così ne parliamo meglio». Oppure: «Vieni domani mattina presto in ufficio». Gli inviti sono così frequenti che lei non sa più cosa fare. «Sei mesi d'inferno». Alla fine decide di rivolgersi a Graziella Carneri, capo della Filcams di Milano. Prende un appuntamento, ma il suo segretario la precede. Si tiene una riunione in cui all'unanimità decidono di allontanarla. E lei è tornata al suo vecchio impiego, nelle mense, part-time.

«LASCIATA SOLA» - «La mia prima reazione è stata di rabbia. Poi sono andata a bussare a tutte le porte. Ho scritto lettere, una persino a Susanna Camusso». È intervenuto il comitato di garanzia, anche perché il segretario l’ha denunciata per diffamazione. Vicenda chiusa anche per il comitato, «il fatto non sussiste». Nel frattempo chiama un legale, Salvatore Lo Schiavo. E decide anche di fare ricorso all'organo nazionale che non si è ancora espresso. Solo un collega decide di starle vicino: è un dirigente Filcams che dopo averle dato sostegno perde tutti i suoi incarichi fino a essere allontanato.

CGIL: NESSUNA VIOLAZIONE - Il capo della Filcams di Milano, Graziella Carneri, ci tiene a chiarire: «L'allontanamento è un fatto normale, un nostro diritto e un dovere. Succede spesso. In ogni caso lei non andava d'accordo con la segreteria». Tanto che si dice «stupita» e da un certo punto di vista «offesa» perché «se avessi avuto il sentore che la Imbrogno stava subendo molestie, non avrei esitato a intervenire». E ripete: «I due fatti sono totalmente separati. Tanto più che non ci sono violazioni nel nostro statuto». E se per caso «lei fosse in grado di provare questi atti di molestie, la invitiamo ad andare avanti». Un po' come è successo a Padova: la Camera del Lavoro, in particolare la Filcams, è stata condannata al risarcimento di 43 mila euro per mobbing. Ora la parola spetta alla magistratura.

Benedetta Argentieri

 

Molestie sessuali sul lavoro, 1 milione 224mila più una

Il Fatto Quotidiano
06 02 2013

Molestie sessuali sul lavoro: si fa presto a dire “denuncialo”. I motivi per non farlo possono essere tanti. Probabilmente tutti riconducibili alla paura. Quella di restare sola col capo in ufficio quando tutti i colleghi sono andati via, di lavorare nel weekend, non solo perché vorresti goderti il meritato riposo, ma per non ritrovarti a stretto contatto con lui che dalle parole è passato a toccarti il collo.

Secondo l’Istat sono un milione 224mila le donne tra i 15 e i 65 anni che hanno subito molestie o ricatti sessuali nell’arco della loro vita lavorativa. Un dato pari all’8,5 per cento delle lavoratrici attuali o passate, incluse le donne in cerca di occupazione. Le molestie rappresentano il 31,2 per cento, i ricatti e le richieste di disponibilità il restante 68,8 per cento. Le richieste arrivano sia al momento dell’assunzione che per un avanzamento di carriera. Minimo comune denominatore delle vittime è un titolo di studio elevato.

Il ministero dell’Interno definisce molestia sessuale sul lavoro “ogni comportamento indesiderato a connotazione sessuale o qualsiasi altro comportamento basato sul sesso che offenda la dignità delle donne e degli uomini nel mondo del lavoro ivi inclusi atteggiamenti male accetti di tipo fisico, verbale o non verbale”.

Una definizione che nasconde un mondo fatto di ricatti, battutine e mobbing vissuti spesso nel silenzio. Quando una donna subisce un ricatto sessuale, nell’81,7 per cento dei casi non ne parla con nessuno sul posto di lavoro. Solo il 18,3 per cento racconta la propria esperienza ai colleghi.

Fuori da quel dato statistico ci sono anch’io. Un milione 224mila più una. Anni fa ho scelto di lasciare impunito il mio capo e dimettermi. Una scelta dettata principalmente dalla paura che all’inizio della carriera una denuncia per molestie sessuali non giocasse a mio favore. Difficile fare i conti con il timore, tutto femminile, di passare per “quella che se l’è cercata”. Poi c’era la mia famiglia e la preoccupazione che avrei innescato nei miei genitori, così forte da tenerli svegli di notte. Ho rinunciato al mio stipendio, cercando un modo alternativo per mantenermi.

Come me, quante altre donne avranno scelto di non denunciare molestie subite, restando fuori da un già preoccupante dato statistico?

 

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