La Stampa
01 02 2013

Il racconto della giornalista del Cairo «Erano quindici, li sentivo e urlavo». Lo studio del Centro per i diritti umani e dell’Unfpa: l’83 per cento delle donne ha subìto violenza.

L’Egitto è di nuovo nella tempesta dopo gli scontri tra manifestanti, polizia, tifosi e sostenitori dei partiti islamisti al potere che ormai da una settimana continuano a uccidere al Cairo, Suez, Port Said. Ieri il presidente Morsi è rientrato in anticipo dalla visita in Germania proprio per seguire da vicino gli sviluppi della crisi mentre Fitch declassava i bond e oltre mille agenti delle forze di sicurezza si rifiutavano di andare in strada per la carenza di equipaggiamento. E’ proprio questo ultimo punto quello da cui comincia la nostra triste storia, la mancanza di sicurezza che da mesi ormai rende le piazze egiziane l’estrema speranza dei rivoluzionari ma anche l’avamposto di una violenza cieca, animale, irrazionale, il regno nero dove si sfoga una società troppo a lungo repressa che approfitta dell’anarchia per rovesciarsi e travolgere tutto come nella Peste di Camus.

Ieri pomeriggio abbiamo chiamato al telefono una nostra amica, una giornalista del Cairo, esperta, seria, una professionista quarantenne che ha seguito la storia contemporanea del paese dalla caduta di Mubarak a oggi raccontando cosa accadeva in tv e sui giornali ma anche partecipandovi in prima persona come cittadina orgogliosa della scossa inaspettata dei propri coetanei. Non la sentivamo da qualche settimana ma eravamo certi che venerdì scorso, secondo anniversario della rivoluzione, fosse andata in piazza Tahrir, per lavoro e per passione. C’era andata, infatti. Da sola, come sempre, come in questi mesi ha fatto mille volte chi scrive. C’era andata contando d’incontrare amici e colleghi ma anche sfidando un po’ le notizie delle ripetute molestie sessuali ai danni delle donne di Tahrir perché, pur essendo consapevole del problema ormai quasi epidemico, voleva dire a chi guardava la tv dai salotti di mezzo mondo che l’Egitto è anche altro, che c’è gente come lei, donne laiche e donne velate, uomini, ragazzi, anziani, cittadini che stanno guadando la difficile transizione egiziana come possono, con ingenuità ma anche con coraggio, tenendo testa alla sfiducia del mondo esterno ma anche e soprattutto ai propri ferocissimi demoni.

“Sono stata molestata sessualmente, tanto...” ci ha detto con la voce incerta. Come, dove, quando? Panico. “A Tahrir, saranno stati una quindicina, hanno fatto tutto... è durato 40 minuti, li sentivo ovunque e urlavo ma pur avendo intorno centinaia di migliaia di persone nessuno mi sentiva perchè la tattica del branco è quella di fare un piccolo cerchio intorno a te che protegge chi ti sta addosso”. Parlava piano, non piangeva diversamente da chi la stava ascoltando senza fiato: “Pensavo di morire, i vestiti erano stati strappati, poi qualcuno mi ha aiutato, non so chi, mi sono ritrovata in ambulanza e poi in ospedale, mi hanno tenuto lì, ho ancora le ferite, il corpo testimone di venerdì... ero andata per manifestare, era un giorno importante...”. Cosa fa in questi casi chi ascolta? Lacrime, e poi? E’ lei che soffre, è la speranza dei giovani di Tahrir, sono le donne, è la Storia nel suo compiersi spietato ma alla fine adesso è lei, unicamente lei, fragile e fortissima, sola come venerdì, determinata a ricordare perchè quell’abominio esista e nessuno domani possa evocare una fantomatica leggenda inventata da agenti stranieri ai danni dei rispettosissimi uomini egiziani.

La nostra amica ha deciso di denunciare l’accaduto. In seguito ha saputo che venerdì in Tahrir ci sono state altre 19 aggressioni ai danni di giovani donne, alcune violenze sessuali vere e proprie e altre sevizie e molestie interrotte in extremis da qualche coraggioso temerario. Molte delle vittime non vogliono parlare, hanno paura ma soprattutto vergogna. Lei no, forte del sostegno del suo meraviglioso consorte ha denunciato immediatamente e ora sta lavorando con alcune Ong che si occupano di molestie contro le donne non perché pensi di fare arrestare i colpevoli ma per rompere il tabu, per raccontare al paese e ai giornali cosa le è accaduto nella piazza simbolo della rivoluzione, per dire ai suoi connazionali il marcio che cova nelle loro pance ma anche la responsabilità di chi tace.
Un paio di settimane fa uno studio del Centro egiziano per i diritti umani e dell’Unfpa ha rivelato che il Cairo è la capitale araba delle molestie sessuali, dove quasi la metà delle donne dichiara di subire quotidianamente molestie sessuali e l’83% lo ha sperimentato almeno una volta nella vita. Il fenomeno si è aggravato negli ultimi tre decenni ma dopo la rivoluzione del 25 gennaio 2011 è diventato un’epidemia. Difficile sostenere che gli uomini egiziani siano diventati improvvisamente bestie ma è vero che l’anarchia e la mancanza di sicurezza della lunga fase di transizione miste alla repressione sessuale di un paese dove si scopre il sesso con il matrimonio e, causa disoccupazione, l’età delle nozze si è spostata parecchio, hanno creato una miscela esplosiva.
C’è di buono che le donne denunciano di più, urlano, mettono in piazza le loro storie in una società conservatrice che getta su di loro lo scandalo dello stupro, forniscono senza paura dettagli e testimonianze forse anche incoraggiate dalla storia della celebre giornalista della Cbs Lara Logan che due mesi dopo la cacciata di Mubarak decise di raccontare di essere stata violentata da una quindicina di uomini in piazza Tahrir, quella notte leggendaria della Storia in divenire, l’11 febbraio 2011. Da allora le donne egiziane si sono strette intorno all’associazione HarrassMap , un gruppo di volontarie che monitorano le molestie sessuali, le denunciano, pattugliano le piazze finendo spesso molestate e violentate a loro volta. Mentre scriviamo la mappa in continuo aggiornamento sul sito indica 51 casi al Alessandria, 9 a Assiut, 776 al Cairo.
La nostra amica ha appena inziato un ciclo con lo psicologo, ricordare significa piangere, gridare, sentire tutto di nuovo. Ripete che il suo paese è anche altro ma è ora che si guardi dentro, in fondo, nelle viscere dove si alimentano gli istinti più bassi. La democrazia non è solo fondare un partito, votare, invocare riforme: ma il suo coraggio, il coraggio della nostra amica è la speranza, l’emblema, il seme della democrazia.

FRANCESCA PACI

Il Paese delle donne
29 01 2013

Si chianma Harassmap ed è un sito interattivo che raccoglie le segnalazioni di molestie e violenze avvenute per le strade del Cairo che le donne inviano all’organizzazione attraverso e-mail, facebook, twitter, le verifica e poi le traccia come punti dati su una mappa della città.

Harassmap offre alle donne un nuovo modo di comunicare la loro paura e frustrazione in una città in cui la penetrazione del telefono cellulare è superiore al 100%.

"La tecnologia consente alle persone di raggiungerci, al di là di tutte queste barriere sociali che esistevano", dice Rebecca T. Chiao.co-fondatrice del sito, che spiega: “dare alle donne la possibilità di segnalare i loro aggressori dà loro un senso di empowerment, la sensazione di non essere vittime senza voce”.
Ma la visione di Chiao va ben oltre la semplice documentazione e la compilazione di rapporti sugli incidenti. Le sue squadre di volontari/volontarie intervengono in prima persona per salvare le donne in pericolo e incoraggiano i leader della comunità ad fare altrettanto quando assistono a episodi di molestie.

Segnalare inoltre, attraverso adesivi e manifesti, le zone più tranquille per le donne del Cairo.
Il sito promuove le imprese e le aree della città attribuendo un "bollino" di sicurezza ai luoghi sicuri che accolgono le donne e la loro attività.

La strategia di Harassmap è infatti quella di fornire incentivi economici e sociali affinché le persone smettano di ignorare le molestie che le circondano.

"Vogliamo che la gente dica molestie e violenza contro le donne non concordano con i nostri valori, la storia e la tradizione egiziana e che quindi non sranno più tollerate”.

Del resto nel 1960, al Cairo in effetti le donne indossavano minigonne e maniche corte senza temere le molestie sessuali, ma le testimonianze raccolte da Harrasmap indicano che la maggior parte delle molestie è rivolta contro giovani donne che indossano foulard, maniche lunghe e gonne lunghe o pantaloni, e che semplicemente passeggiano all’aperto.. 

Nessuna donna sembra ormai potersi sottrarre alle molestie negli spazi pubblici del Cairo: né le donne coperte dalla testa ai piedi in abiti neri (abaya) e il viso-veli (niqab) né i gruppi di donne che camminano insieme per la città nonostante la giurisprudenza islamica sia molto chiara sul fatto che un uomo anche solo sbirciando una donna che non sia sua moglie, senza toccarla, si rende colpevole di un peccato, a prescindere da come questa sia vestita.

"Quando abbiamo iniziato, avevamo una visione stereotipata di chi erano le vittime e chi i molestatori" - continua Chiao - "credevamo alle solite scuse offerte da parte delle autorità egiziane, secondo le quali i molestatori sono giovani uomini economicamente svantaggiati o giovani che non possono permettersi di sposarsi, e che non hanno altro sbocco per la loro frustrazione sessuale.

Ma le testimonianze raccolte portano alla luce una realtà spesso molto peggiore: gli aggressori sono, nell’8,5% dei casi gruppi di bambini.

Alcuni hanno appena otto o 10 anni, ragazzini che non ho ancora raggiunto la pubertà, ma che hanno imparato a coalizzarsi contro le donne come una forma di semplice bullismo.

"Tutti gli stereotipi nascono dall’idea che le molestie sessuali siano l’espressione del desiderio sessuale. Questo è sbagliato: si tratta invece di un atto di aggressione, di un atto per rivendicare potere" conclude Chiao.

Il Centro per i diritti delle donne egiziane (ECWR) ha pubblicato un’indagine (solo in inglese e arabo) secondo la quale circa l’83% delle donne egiziane e il 98% delle donne straniere presenti nel paese hanno subito una qualche forma di molestia e nel 62% di questi casi si è trattato di una vera e propria violenza sessuale.

Secondo il parere di Azza Suleiman, direttrice del Centro egiziano per l’assistenza legale alle donne (solo in arabo), la Harass Map è uno strumento utile, ma c’è bisogno di molto tempo per poterne vedere gli effetti positivi. Purtroppo sono ancora tante le donne che con la tecnologia hanno molto poco a che fare e tante altre sono restie a dichiarare a terzi quanto gli accade, anche quotidianamente; "l’argomento è molto sensibile. La prima volta le donne non parlano, la seconda dicono qualcosa e la terza si aprono" afferma Suleiman.

Harassmap, che ha avuto una concessione 300.000 $ dal Centro per lo Sviluppo Internazionale del Canada (IRDC), ha assunto uno staff di 12 persone, la maggior parte donne e per il momento si sta concentrando sul Cairo; tuttavia Chiao dice di essere stata contattata da persone provenienti da 18 paesi diversi interessate alla configurazione di programmi simili.
Gli ultimi mesi, naturalmente, sono stati momenti di grande cambiamento politico e sconvolgimenti in Egitto , eppure Chiao vede il movimento Harassmap come parte di una più grande energia nella società egiziana, un momento in cui la gente inizia ad assumersi una responsabilità personale per la loro comunità.

"La gente non si sente più impotente - , dice - sono pronti a esercitare il loro potere in questo momento. In mezzo a tutto il caos politico in corso, questo è qualcosa che lascia ben sperare per il futuro, credo. "
Nel frattempo sul sito femminista egiziano nazra.org e sul sito egyptindependent.com giungono notizie di altre violenze sulle donne che manifestavano nei giorni scorsi in piazza.

Un giornalista testimone di un episodio di violenza contro una manifestante dichiara: "Posso dire che, quando i canti familiari risuonavano nella piazza, e i manifestanti gridavano il loro bisogno di giustizia, di un nuovo governo e di una nuova costituzione, mi sono sentito un po’male. Piazza Tahrir e i suoi dintorni non sono solo uno spazio rivoluzionario, ma sono anche il terreno di brutale violenza sessuale.
La piazza è sia un posto in cui la gente domanda dignità per sé sia un posto dove la spoglia violentemente ad altre persone.
Questo fatto, reso più chiaro ieri sera di quanto non lo sia mai stata prima, deve essere affrontato a testa alta. Come ho scoperto, non è possibile farlo da soli, e l’immagine della donna che non ho potuto raggiungere mette a disagio la mia coscienza.
Non è possibile fare molto da soli, ma è possibile fare qualcosa collettivamente.

Venerdì sera circa 100 attivisti sono stati coinvolti in una varietà di ruoli.

Trenta di loro, uomini e donne, si sono riuniti in gruppi, e in piazza hanno cercato di salvare fisicamente coloro che erano state aggredite. 

Molti di loro, uomini e donne, sono stati aggrediti sessualmente ess* stess*. Sapevano che questo poteva accadere, e sapevano cosa volesse dire. Lo hanno fatto in ogni caso.

A volte, gli scontri tra gruppi di giovani mascherati e polizia possono sembrare una messa in scena, senza direzione e stereotipata. Per quanto sono espressione di rabbia reale e legittima, spesso sono anche espressioni di machismo adolescenziale, e stupidità.
Gli interventi anti-molestie sessuali sono viscerali, di principio, e senza compromessi. Essi richiedono coraggio reale. Stanno in netto contrasto con l’acquiescenza pratica delle principali forze politiche, che celebramo i loro martiri, e ignorano il lato oscuro della piazza".


Fonti: 
habibi.forumfree.it, 
blogs.edmontonjournal.com, 
womensenews.org, 
theamericanmuslim.org, 
ecwronline.org,
twitter.com/harassmap, 
egyptindependent.com,
www.facebook.com/opantish

La Repubblica
23 01 2013

E' stato incastrato da una trans il pubblico ministero di Roma Roberto Staffa, arrestato dai carabinieri con le accuse di concussione, corruzione e rivelazione di segreto d'ufficio. Avrebbe consumato alcuni dei rapporti sessuali, oggetto di scambi di favori, proprio nel suo ufficio di piazzale Clodio: alcuni incontri a luci rosse sarebbero avvenuti nella sua stanza al quarto piano della palazzina B della Procura di Roma. I militari si sono recati nella sua abitazione. I reati contestati sarebbero legati a favori fatti dal magistrato in cambio di sesso. Non solo. Anche sesso con una donna, chiuso a chiave nel suo ufficio, per concedere un permesso di colloquio con un detenuto.

Stando a quanto emerge dalle indagini, l'inchiesta parte dalle accuse di una transessuale fermata, circa un anno e mezzo fa, a Roma durante un'operazione antiprostituzione. E' stata la stessa trans, in sede di interrogatorio dopo il fermo, ad affermare che i loro rapporti sessuali venivano consumati dentro l'ufficio del pm. Interrogata dal gip, ha dichiarato di conoscere il pm dal quale era ricattata in cambio della sua protezione. E ancora. Anche rapporti con la familiare di una persona finita in carcere. C'è anche questa contestazione per il pm Roberto Staffa. Il tutto filmato da una microspia collocata nell'ufficio del magistrato dopo l'avvio degli accertamenti. Dalla procura di Roma, che non può indagare su magistrati del proprio ufficio, sono stati più di uno gli input inviati alla magistratura di Perugia che ha emesso l'ordinanza.

L'inchiesta che ha portato all'arresto è partita da una segnalazione proprio della procura di Roma circa comportamenti anomali di Staffa. Un anno e mezzo di indagini, supportate anche da microspie e telecamere poste all'interno della uffici di Staffa e poi trasferite a Perugia per competenza, avrebbero filmato la presenza della trans. Nei prossimi giorni dovrebbe svolgersi l'interrogatorio di garanzia. Il pm, recentemente, non era stato riconfermato nel pool della Direzione distrettuale antimafia.

Approdato alla procura di Roma circa 15 anni fa, Staffa aveva prima avuto una importante esperienza professionale come presidente della corte d'assise di Venezia. In tale veste, nel '97, condannò a 19 anni di reclusione l'ex boss della banda del Brenta, Felice Maniero, per 9 omicidi. La prima inchiesta importante nella capitale che regalò una certa notorietà a Staffa fu quella sugli aborti clandestini avvenuti presso la clinica Villa Gina che culminò con numerosi arresti, tra cui quelli del professor Ilio Spallone e del nipote Marcello, figlio di Mario, l'ex medico di Togliatti. A medici e paramedici, Staffa contestava l'omicidio di feti (tritati o soffocati) giunti anche all'ottavo mese di gestazione. Successivamente il pm si è occupato dei reati sulla persona (violenze sessuali, maltrattamenti in famiglia, riduzioni in schiavitù) e di violazione delle legge sugli stupefacenti, come magistrato della Dda distrettuale. Per un periodo relativamente breve Staffa ha fatto anche parte del 'pool' di magistrati che ha indagato sulla scomparsa di Emanuela Orlandi, la 15enne sparita a Roma, nei pressi del Vaticano, in circostanze misteriose il 22 giugno del 1983. Un anno fa aveva portato avanti un'inchiesta su un traffico di droga che aveva portato in carcere 40 persone del clan dei Casamonica. Una nota di colore: insieme ad altri magistrati e ad alcuni avvocati faceva parte di un gruppo musicale dal nome 'Dura Lex'.

Sconcerto e incredulità negli ambienti del palazzo di Giustizia di piazzale Clodio alla notizia dell'esecuzione della misura cautelare. L'Associazione nazionale magistrati, in una nota, "nella doverosa attesa dei successivi approfondimenti d'indagine, riafferma la centralità della questione morale. La violazione della legge da parte dei magistrati compromette la giurisdizione e la credibilità dell'ordine giudiziario". L'Anm "ribadisce che nella magistratura non possono esistere spazi di impunità; i magistrati sanno trovare gli strumenti necessari per individuare e sanzionare, anche al proprio interno, ogni comportamento contrario alla legge. Nell'auspicare un rapido accertamento dei fatti, l'Anm esprime, quindi, sostegno e apprezzamento per l'azione di quanti sono impegnati nella ricerca della verità".

Il Cairo capitale araba delle molestie sessuali

  • Giovedì, 10 Gennaio 2013 09:40 ,
  • Pubblicato in Flash news

Giulia globalist
10 01 2013

Secondo uno studio pubblicato nel 2010 dal Centro egiziano per i diritti delle donne assieme all'Unfpa, un fondo delle Nazioni unite, quasi la metà delle donne egiziane ha dichiarato di subìre quotidianamente molestie sessuali e oltre l'83% lo ha sperimentato almeno una volta nella vita. La cifra sale al 98% nel caso di donne straniere che vivono nella capitale egiziana. Pur in assenza di studio scientifici comparativi - scrive oggi El Pais - molte testimonianze portano a credere che Il Cairo sia la città di gran lunga peggiore rispetto ad altre località egiziane. "La molestia può assumere molte forme, sguardi lascivi, parole volgari, fischi, palpeggiamenti, ma anche inseguimenti, a piedi o in auto", spiega Dalia, 22 anni. "Una forma di molestia molto frequente in Egitto è quella telefonica. Ci sono uomini che compongono numeri a caso e quando cadono su una voce femminile, possono richiamare anche 30-40 volte al giorno".

Il fenomeno, non nuovo, si è aggravato negli ultimi tre decenni. A favorirlo è una società molto conservatrice, dove però i ass-media e social network consentono adesso la diffusione di qualsiasi tipo di immagine, attraverso satellite o internet. Inoltre, l'alto tasso di disoccupazione giovanile ritarda l'età del matrimonio, soprattutto fra gli uomini, spiega un'altra testimone. Purtroppo le molestie godono di una diffusa accettazione sociale, e quindi di impunità. Per la maggior parte degli egiziani, non sono altro che una dimostrazione di virilità. Lo studio dimostra anche quanto sia falsa la spiegazione classica che siano le donne a provocare gli uomini, specie con il loro abbigliamento: nel 72% dei casi, infatti, le donne bersaglio di molestie indossano il niqab, il velo islamico.

 

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