Roma Today
07 07 2015
Rom, il Best House e gli affidamenti diretti alla coop: Cantone avvia istruttoria
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Un capannone industriale che dovrebbe ospitare merci e non persone, senza finestre, con stanze che in 12 metri quadrati accolgono famiglie di cinque persone. Un "mostro", come è stato definito dallo stesso Campidoglio, che resta in piedi nonostante la violazione documentata di norme urbanistiche regionali e la cui gestione non è mai passata da un bando pubblico.
L’Autorità Nazionale Anticorruzione ha avviato un’istruttoria nei confronti del Comune sui servizi del Best House Rom di via Visso, uno dei setti centri di raccolta monoetnici della Capitale, forse il peggiore in termini di vivibilità. L'intervento di Cantone arriva a seguito di un esposto presentato il 3 febbraio scorso dall’Associazione 21 luglio, che ha denunciato sia le condizioni strutturali del centro sia la mancanza di trasparenza nelle modalità di affidamento diretto alla cooperativa Inopera.
L'istruttoria va nella direzione di reperire informazioni dal Campidoglio sulle modalità di gestione del centro "vergogna". Si chiede al Comune una giustificazione sui ripetuti affidamenti diretti di breve durata alla cooperativa, sulla mancanza di un'opportuna pubblicazione a livello comunitario degli stessi affidamenti, contravvenendo così al principio di trasparenza, sui requisiti richiesti per la gestione del servizio di accoglienza e sulle autorizzazioni in materia urbanistica, edilizia, di igiene, sicurezza e prevenzione incendi. Si chiede poi un elenco con le verifiche della corretta esecuzione della prestazione da parte della cooperativa.
"L’apertura del fascicolo da parte dell’Autorità Anticorruzione rappresenta l’ennesima scure su un luogo, privo dei requisiti strutturali, dove si violano sistematicamente i diritti umani di uomini, donne e bambini", afferma l’Associazione 21 luglio che auspica l’immediata chiusura e superamento del Best House Rom, obiettivo fin'ora rimasto lettera morta. A gennaio 2015 l’assessore Danese promette i sigilli entro due mesi, ma i proclami restano tali.
"Il mostro è ancora lì e continua, imperterrito, a nutrirsi dei milioni di euro che vi confluiscono in maniera poco trasparente. Sulla pelle dei rom – afferma Carlo Stasolla, presidente dell’Associazione 21 luglio -. Non riusciamo a capacitarci del perché, nonostante i proclami dell’Amministrazione, sul Best House Rom non sia ancora stata messa la parola fine. A fronte dell’immobilismo istituzionale non ci resta che confidare nella scure dell’Ufficio guidato da Raffaele Cantone e nell’assestamento del colpo decisivo a questa vergogna capitale".
IL BEST HOUSE ROM - Il nome suona beffardo, perché qualunque altra struttura rappresenterebbe forse un'alternativa migliore per famiglie con bambini. Le due palazzine sono state inaugurate a luglio 2012 quando, con determinazione dirigenziale n. 3233 del 9 luglio 2012, firmata dall’allora Direttore del Dipartimento Politiche Sociali del Comune di Roma Angelo Scozzafava, oggi agli arresti nell’inchiesta Mafia Capitale, il Comune ha affidato in maniera diretta alla cooperativa Inopera il servizio di accoglienza di circa 300 rom sgomberati dall’insediamento di via del Baiardo e di altri rom provenienti dal campo di Castel Romano.
La gestione del centro, nato con carattere temporaneo, è stata prolungata fino ad oggi mediante una serie di determinazioni dirigenziali che hanno confermato i ripetuti affidamenti diretti, di durata breve, alla stessa cooperativa Inopera. A dicembre 2013, nella struttura sono stati spostati anche i 137 rom provenienti dal “villaggio attrezzato” di via della Cesarina e altre persone vittime di sgomberi forzati.
Wired
06 07 2015
Sono tante le domande a cui molti italiani non saprebbero rispondere sugli “zingari”: quanti sono in Italia? Cosa significa la parola “rom”? Sono davvero nomadi? Quanti soldi gli “regaliamo”?
Commenti sul blog di Salvini, fatti di cronaca (a volte manipolati) e disinformazione a parte, forse gli italiani sanno poco dei rom. Eppure secondo un rapporto del 2014 del Pew Research Center i rom sono la minoranza più discriminata d’Europa. Non c’è alcun dubbio che il vecchio continente, infatti, abbia un’idea negativa delle minoranze, Italia in testa. Dove secondo il Terzo Libro bianco sul razzismo gli atti discriminatori contro i rom sono passati da 11 episodi nel 2011 a 171 nel 2014.
Eppure sono tante le domande a cui molti italiani non saprebbero rispondere: quanti sono i rom in Italia? Cosa significa la parola “rom”? I rom sono nomadi? Quanti soldi gli “regaliamo”?
L’ITALIA È PIENA DI ZINGARI. In Italia rom, sinti e camminanti sono circa 170mila. Si parla dello 0,25% della popolazione. Nell’Ue vivono circa 10 milioni di rom, pari al 2% della popolazione. Nel dettaglio, “i rom sono il 2% della popolazione greca (200mila su 10 milioni), l’1,8% in Spagna (800mila su 45 milioni) e lo 0,6% della popolazione francese (340mila su 61 milioni)”. Queste le stime dell’ultimo report di Radicali Roma e Associazione È possibile. Un rapporto dal titolo molto chiaro: “Tutto quello che sai sugli zingari è falso”. Nonostante siamo tra i paesi europei con la minore presenza di rom, l’Italia è l’unico stato dell’Ue ad aver proclamato nel 2008 l’Emergenza rom, un piano del governo Berlusconi che prevedeva, tra le altre cose, la schedatura dei bambini con impronte digitali e una politica di sgomberi permanenti. Emergenza nomadi che è stata fatta decadere nel 2012 dalla Cassazione con l’accusa di discriminazione razziale.
PERCHÉ NON SE NE TORNANO A CASA LORO? Le popolazioni romanì sono in Italia da oltre 6 secoli e la metà dei rom, sinti e camminanti che vivono nel Bel Paese sono cittadini italiani. Molti sono rifugiati in fuga da guerra e persecuzione durante i conflitti nei Balcani degli anni ’90. Tutti, sono stati messi in campi nomadi solo perché di etnia rom, nonostante in Kosovo e Macedonia non avessero mai vissuto in roulotte o container, ma in case di mattoni e cemento. Sempre degli anni ’90 la migrazione dei rom rumeni (ma provenienti anche dalla Bulgaria), quindi l’arrivo di immigrati comunitari regolari.
I ROM SONO NOMADI. Abbandonate l’immagine romantica dei rom che girano il mondo in roulotte: solo il 3% di rom e sinti in Italia è nomade. “Le famiglie nomadi sono pochissime e riguardano soprattutto alcuni Sinti giostrai e rom Kalderasha – precisa l’Anci – Entrambi i gruppi menzionati sono peraltro in gran parte di nazionalità italiana”. Una situazione che non cambia in Europa, dove gli 8-10 milioni di rom sono per l’85-90% sedentari. Eppure ai rom è chiesto di vivere in roulotte o container. E se i campi sono sporchi e disagiati, forse non tutti sanno che la manutenzione è in mano al Comune, mentre le costruzioni in cemento e il rifacimento delle strade sono vietate. Percorsi di integrazione e aiuto alla scolarizzazione, invece, sono affidati al terzo settore.
AI ROM PIACE VIVERE NEI CAMPI. L’Italia è l’unico paese in Europa in cui esistono i campi rom come siamo abituati a conoscerli. Ovvero container o baracche di legno, gestiti dal Comune, dove i rom sono caldamente invitati a vivere in “condizioni inumane e degradanti”. A definirla senza mezzi termini sempre la Commissione diritti umani al Senato, che continua descrivendo una crudele emarginazione i cui effetti si riversano poi nella vita delle città. Politiche che hanno comportato voci di spesa elevatissime senza far registrare alcun miglioramento nelle condizioni di vita di rom e sinti, ma ne hanno sistematicamente violato i diritti umani. Campi dove secondo la European Committee of Social Rights è impossibile condurre una vita dignitosa.
I ROM NON VOGLIONO LAVORARE. Che i rom rubino come fosse una vocazione innata è un’accusa “che andrebbe dimostrata con dati e percentuali”. Vero è che essere riconosciuti come rom è un ostacolo a trovare un’occupazione. Tanto che la maggior parte dei rom che lavora non dichiara le sue origini. Per la Commissione diritti umani al senato si dovrebbe “offrire un quadro più regolare e dignitoso ad attività che già oggi contribuiscono al reddito e alla sopravvivenza delle famiglie”. Qualche esempio? La raccolta differenziata o la vendita del ferro legata al campo di Napoli Capodichino. Ma anche le attività di giostrai e artisti di strada. Servirebbero percorsi verso la legalità attraverso scuola, formazione e lavoro. Peccato che in Italia solo il 6% dei rom arriva a un diploma di scuola media o superiore, contra una media europea di 67%. Diversa istruzione che si riflette anche sulle prospettive lavorative, visto che i rom che lavorano in Italia sono il 40%, contro una media in Europa del 60%. “Un’alternativa al campo sarebbe trovarsi un lavoro”, confessa nel campo comunale milanese di via Martirano uno dei 4mila rom del capoluogo lombardo. “Ma tu mi daresti un lavoro se ti dicessi che sono zingaro?”.
CON TUTTI I SOLDI CHE GLI DIAMO… Di soldi per mantenere attivo campi rom ne spendiamo tanti. A Milano, all’epoca dell’emergenza rom nel 2008, il Piano Maroni prevedeva la chiusura di tutti i campi anche tramite il rimpatrio assistito, il che voleva dire che a ogni nucleo famigliare rom erano dati 15mila euro per tornare in patria, mentre 35mila euro erano dati all’associazione italiana che assisteva la famiglia nel ritorno a casa. Un flusso di denaro decisamente sostanzioso. A Roma, dove nei campi vivono circa 8mila persone, il Comune ha speso 24 milioni di euro solo nel 2013. Sempre nella capitale, per il centro di accoglienza di via Visso il Comune dà ogni mese all’ente gestore 190mila euro. Secondo il rapporto Segregare Costa, tra il 2005 e il 2011 a Napoli, Roma e Milano (le città che ospitano le più numerose comunità rom) sono stati stanziati almeno 100 milioni di euro per allestire e mantenere i campi nomadi. E le indagini dell’ultimo anno fanno quantomeno intuire quali interessi vi siano dietro il mantenimento del sistema dei campi.
ZINGARI, ROM, NOMADI: SONO TUTTI SINONIMI. Rom viene dall’hindi e significa “uomo”. Mentre Gypsies in inglese, Gitani in spagnolo e Egyptiens nel francese del XIII secolo, sono tutte etichette che nascono da una regione greca chiamata “piccolo Egitto” dove aveva trovato rifugio la comunità. Zingaro, viene dal greco “intoccabile”. E intoccabili erano in India coloro che esercitavano mestieri impuri: saltimbanchi, straccivendoli, fabbri, ferrai, spazzini. Dall’India, queste carovane si sono mosse verso Asia centrale e altopiano Iranico. Poi, arrivarono in Europa. I grandi flussi migratori, terminarono con la prima guerra mondiale. “Per anni in Italia si è utilizzato il termine ‘nomadi’ come sinonimo di rom, sinti o zingari – racconta la Comunità di Sant’Egidio – Negli ultimi anni, con l’affermazione di un linguaggio politically correct ‘nomadi’ ha avuto molta fortuna per definire le popolazioni zingare presenti in Italia. I media lo hanno scelto e molte amministrazioni lo hanno introdotto nei propri documenti. Il termine però definisce popolazioni che vivono itinerando di luogo in luogo. Ma questa non è la realtà degli zingari presenti in Italia”. E se la parola “nomade” è impropria, il termine “zingaro” non può più essere usato. Anni di disinformazione e politica gridata, infatti, l’hanno fatta diventare un insulto.
Redattore Sociale
19 06 2015
I rom in agitazione: minacciano di barricarsi nelle baracche, quando ci sarà lo sgombero. A pochi giorni dallo spostamento, annunciato a più riprese dal comune di Cosenza, molti rom appartenenti alla comunità che vive sul lungo Crati si ribellano alla soluzione "tendopoli", trovata dall'amministrazione guidata dal sindaco Mario Occhiuto. "Ieri pomeriggio c'è stato il sopralluogo di una delegazione di rom rumeni, insieme all'associazione "Lav Romanò" e all'associazione "Scuola del Vento" che, insieme allo staff del sindaco, si sono recati alla tendopoli", racconta Luigi Bevilacqua, rom da tempo attivo nell'associazionismo Cosentino.
"Lo scontro più acceso - continua Bevilacqua -, c'è stato alla vista delle tende in cui i rom sgomberati dovrebbero vivere, a causa delle dimensioni ridotte e per il fatto che ci debbano vivere più famiglie. La richiesta della comunità rom è quella di ottenere una tenda per ogni nucleo familiare".
Intanto il giorno dello sgombero si avvicina. Le baracche disabitate sono state già demolite. E il Comune sta effettuando le prime opere di bonifica del territorio. La comunità è in fermento. "Vorremmo essere aiutati dall'Amministrazione a trovare una casa in affitto. Per noi non è facile!", affermano alcuni rom, che si sono già mossi per cercare un appartamento. Ma gli sono state chieste caparre esorbitanti. Anche fino a sette mesi di anticipo. "Siamo disposti a pagare un affitto" sostengono alcuni abitanti del campo, "ma abbiamo bisogno di trovare soluzioni economiche che riusciamo".
Il sindaco Mario Occhiuto. "Il campo rom è una baraccopoli sorta in una zona a forte rischio idrogeologico, dove ci sono stati vari incendi, a cui ho trovato soluzioni anche requisendo immobili delle ferrovie dello Stato - afferma il sindaco di Cosenza, Mario Occhiuto -. Devo sgomberare il Ferrhotel, a causa di un'ordinanza del Tar. E procederò anche con la baraccopoli di Vaglio Lise. Ho fatto più volte dei progetti per un campo attrezzato. L'idea era quella di riconvertire un'area industriale in un centro di valorizzazione della cultura rom. Ma i progetti sono stati entrambi bocciati dalla Regione Calabria, proprio perché era prevista la residenza dei rom. Le stesse associazioni hanno bocciato l'idea del campo attrezzato. Ma non è tutto. Sono costretto a sgomberare, per mettere in sicurezza le vite dei rom, a causa di un sequestro dell'area, da parte dell'autorità giudiziaria. Ho fatto un'ordinanza che presuppone un campo d'emergenza, per accogliere le persone sgomberate. Si tratta di un campo temporaneo. Con cucine comuni, bagni, docce. Ci sarà un controllo serio, non si potranno incendiare materiali tossici e sarà impossibile delinquere. Mentre oggi l'area del campo di Vaglio Lise è abbandonata a sé stessa". Il supporto ai neonati sarà dato nella tendopoli. Il Comune non ha trovato soluzioni alternative per i piccoli abitanti della baraccopoli.
Dopo le tende case in affitto. Il costo della tendopoli si aggirerà intorno alle 100 mila euro e la gestione dell'emergenza dovrebbe terminare dopo l'estate. "Ci sono due modi di affrontare questi problemi - conclude il sindaco Occhiuto -. O ci si gira dall'altra parte o si strumentalizza la cosa. Queste questioni portano sempre a scelte impopolari. Ecco perché nessuno vuole affrontarle". Per il dopo-tendopoli il sindaco ha preso l'impegno di aiutare i rom della comunità che saranno favorevoli, a trovare una casa in affitto. Si tratta di 400 persone, con regolare permesso di soggiorno, che il Comune supporterà in questo percorso di emancipazione.
Le associazioni e i rom. "Siamo d'accordo che la situazione sia insostenibile, e che per il bene della comunità rom sia necessaria una fuoriuscita dal campo. Ma in sinergia con quanto prevede la ‘Strategia Nazionale’ che vieta i campi, e prevede la condivisione della comunità nelle scelte". Lo sostengono "Scuola del Vento" e "Lav Romanò", associazioni presenti sul territorio, da anni. "Parlare di messa in sicurezza delle persone è un'ipocrisia, quando per dieci anni si è guardato il campo da lontano". Lo sostiene Maria Francesca D'Agostino, dell'associazione "Scuola del Vento", per anni presente nel campo con un presidio fisso. "Inoltre il sindaco dovrebbe spiegarci come mai ha programmato la costruzione di un villaggio attrezzato nell'area dell'ex mercato ortofrutticolo, che confina con il campo stesso", prosegue la D'Agostino. E termina: "I rom si sono integrati alla nostra mancanza di regole e di controllo, concessa perché c'era l'interesse alla costruzione di un eco-villaggio, nonostante i divieti della legge. Divieti che noi abbiamo sempre ribadito al sindaco".
L'"Agenda Rom". Nel 2012 un consorzio di più associazioni, insieme ai rom di Vaglio Lise, aveva presentato e consegnato al sindaco Occhiuto l'"Agenda Rom", che prevedeva la fuoriuscita graduale degli abitanti dalla baraccopoli di Vaglio Lise, attraverso la soluzione delle case in affitto. Ma il sindaco, all'epoca, cercava di far approvare il progetto di villaggio attrezzato, a più riprese bocciato dalla Regione Calabria. Forse, se si fosse tentato un percorso abitativo per i rom, già allora, la questione "tendopoli" non sarebbe mai nata. Ad oggi le associazioni "Scuola del Vento" e "Lav Romanò" si riservano di intervenire con tutti i mezzi leciti possibili, se l'Amministrazione continua a voler sgomberare il campo prima che i rom abbiano trovato una soluzione alternativa. E stanno pensando ad un'interrogazione parlamentare, mentre è già stato presentato un documento congiunto, insieme all'European Roma Rights Centre, in cui si denuncia la scelta della tendopoli come "modalità che sembra favorire la segregazione razziale".
I fondi. Dure critiche all'Amministrazione arrivano anche dal "MeetUp Cosenza Amici di Beppe Grillo", che punta il dito sulle somme spese, dal 2014, proprio per la bonifica del campo sotto sgombero. "Dopo l'incendio del campo, lo stato di necessità ha reso impellente l'acquisto di tende, per una ‘sistemazione logistica’ dei cittadini rom. 40 mila e 700 euro la prima somma spesa dal Comune", si legge nella nota del MeetUp. Seguita da una spesa di 43 mila seicento euro, per la bonifica dell'area dove sarebbe dovuto sorgere il "campo profughi". E per un'ulteriore bonifica dai detriti lasciati dall'incendio e la realizzazione di una doppia trincea, per impedire la costruzione di nuove baracche, altre 49 mila 600 euro. Il MeetUp Cosentino sottolinea l'affidamento diretto degli appalti, a ditte di fiducia. E critica l'ultima spesa del Comune, effettuata per comprare altre tende e brandine. La somma sotto la lente è di 47 mila 200 euro.
La risposta del sindaco è lapidaria: "Intanto che il campo c'è non lo si può lasciare sommerso dai rifiuti. Inoltre, la cenere e i rifiuti risultanti da un incendio possono essere nocivi e pericolosi". Il MeetUp chiede ancora: "Non sarebbe stato più logico procedere alla previsione di un progetto di integrazione della cultura Rom da finanziare con fondi europei, magari fondi FSE? Che fine faranno le persone senza regolare permesso di soggiorno, ma che mandano i figli a scuola e rispettano le regole della comunità?".
Giulia Zanfino
Corriere delle migrazioni
15 06 2015
In gergo tecnico si chiamano “criteri di notiziabilità”: sono le regole, spesso implicite, che i giornalisti seguono per stabilire che cosa sia una notizia, cioè quali fatti siano meritevoli di essere raccontati. Ogni giorno, in qualsiasi redazione, arrivano centinaia e centinaia di segnalazioni, comunicati, dispacci di agenzia. Ovviamente bisogna scegliere, non si può pubblicare tutto: ci sono così eventi poco interessanti, irrilevanti, magari noiosi e scontati per il lettore, e altri che invece vanno considerati notizie.
Talvolta si ha però l’impressione che, almeno in alcune redazioni, questi “criteri di notiziabilità” facciano corto circuito. È quel che è successo la settimana scorsa, quando i giornali hanno riportato in prima pagina la tragedia di Roma: otto persone ferite, e una donna filippina uccisa, da un’auto sparata a folle velocità, inseguita dalla polizia perché non si era fermata a un semaforo rosso.
Geometrie variabili
Intendiamoci. La vicenda è tutt’altro che irrilevante: si tratta senza dubbio di una notizia degna di questo nome. Perché è accaduta in pieno centro cittadino e ha coinvolto – come vittime, o come spettatori attoniti e spaventati – decine di passanti. Perché una persona è morta, e c’è il dolore dei familiari, degli amici e dei connazionali. Perché i colpevoli non vengono trovati subito, e dunque bisogna seguire le indagini, gli inseguimenti, il lavoro certosino delle forze dell’ordine e della magistratura. Insomma, è un evento di cronaca da raccontare e anche da approfondire.
Il problema è che appena due settimane prima, a Sassano in Campania, era accaduto un fatto simile. Un guidatore ubriaco aveva ucciso Carmen Elena Pavel, giovane migrante romena, travolgendola con l’auto lanciata a folle velocità. In questo caso la notizia meritava un approfondimento ulteriore, perché il “pirata della strada” era un uomo ben conosciuto nella sua città, e aveva un ruolo di primo piano come attivista nella battaglia contro il petrolio. Eppure, la vicenda è passata sotto silenzio: niente prime pagine, niente aperture di tg, solo qualche articolo sulle cronache locali.
Più o meno negli stessi giorni, ad Aprilia (in provincia di Latina) erano stati uccisi due ragazzi adolescenti, travolti da un’auto impazzita mentre aspettavano l’autobus per andare a scuola. Si chiamavano Amandeep e Sandeep, fratello e sorella, ed erano figli di immigrati indiani. Anche questa sarebbe una notizia, perché tra l’altro i compagni di scuola dei due ragazzi sono scesi in piazza, e si sono organizzati per costituirsi parte civile al processo. Eppure, anche in questo caso, nessun quotidiano nazionale si è soffermato sulla vicenda.
Se il pirata della strada è “zingaro”
Ecco il corto circuito di cui si parlava: perché un pirata della strada merita le prime pagine e i commenti indignati dei cronisti, e gli altri due pirati, anche loro assassini, anche loro folli e irresponsabili, se la cavano con qualche rigo in cronaca? La risposta può sembrare banale, eppure è l’unica che ci viene in mentre: gli assassini di Roma sono rom bosniaci, vengono dai campi alla periferia della Capitale. I “pirati” di Aprilia e di Sassano sono invece italianissimi, e le loro vittime sono straniere.
È come se fosse stato sovvertito un copione: perché, lo sappiamo tutti, è da almeno venti anni che di tanto in tanto – a periodiche ondate, per così dire – le prime pagine dei quotidiani sono occupate da bruti immigrati che uccidono, violentano, scippano, derubano onesti e operosi cittadini italiani. Su questi episodi di cronaca sono state costruite vere e proprie campagne sulla “sicurezza”, con il loro corollario di leggi, decreti di emergenza, dichiarazioni roboanti di politici e commentatori, espulsioni e manette “facili”.
Copioni rovesciati…
Ora, negli episodi di Aprilia e di Sassano, il copione è rovesciato, per l’appunto: qui l’italiano è l’assassino, e l’immigrato è la vittima. E paradossalmente proprio questa circostanza dovrebbe spingere i giornali a dare rilievo alla notizia: perché è inusuale, rispetto ai racconti che circolano, e dunque suscita (dovrebbe suscitare) curiosità e domande nei lettori.
E invece non è andata così. Forse perché per alcuni quotidiani è notiziabile solo quel che risponde a un copione prestabilito, che si può raccontare nello stesso modo infinite volte: il “mostro” deve venire da fuori, deve essere un orco straniero a minare la nostra sicurezza. Ed è un’immagine rassicurante, questa, sembra quasi una fiaba della buonanotte: prima tutti erano buoni e felici, poi sono arrivati i cattivi da fuori, infine vennero i poliziotti (o i militanti della Lega Nord) a mandar via i malvagi. E vissero tutti felici e contenti.
… e narrazioni lunari
Pazienza se in questo modo la realtà è fatta a pezzi, sovvertita, stravolta, resa irriconoscibile da una narrazione tanto rassicurante quanto “lunare”. Basta dare un’occhiata fugace alle statistiche sulla pirateria stradale per rendersi conto della complessità del fenomeno: tre volte su quattro, le auto impazzite sono guidate da cittadini italianissimi, mentre nell’11% dei casi lo straniero figura come vittima. Nel 20% degli episodi il pilota è ubriaco o guida sotto l’effetto di sostanze stupefacenti, e le vittime sono spesso bambini e anziani, cioè le categorie più deboli della strada.
Ce n’è abbastanza per capire che il passaporto dei “pirati”, la loro nazionalità o appartenenza etnica, sono elementi del tutto irrilevanti. Se vogliamo garantire la sicurezza delle nostre strade, bisogna proteggere le categorie deboli (bambini e anziani) e magari costruirle meglio, le strade: ad Aprilia gli studenti delle scuole hanno fatto notare che la fermata dell’autobus era collocata in un luogo pericoloso, e anche per questo i due adolescenti sono morti.
Pazienza anche se le “ricette” proposte sull’onda dell’emotività facciano acqua da tutte le parti. In occasione della tragedia di Roma sono state invocate le ruspe sui campi nomadi: il che significa, grosso modo, che un ragazzo rom si vedrà abbattere la sua baracca solo perché un altro ragazzo, proveniente da un altro campo e da un’altra città, si è reso colpevole di un reato grave. Un po’ come dire che se un avvocato ammazza una persona, si chiudono tutti gli studi legali in tutta Italia. È una ricetta efficace contro gli omicidi, questa?
La sicurezza: quella vera
Già, perché qui stiamo parlando (anche) di efficacia. Di efficacia e (udite udite) di sicurezza. Il tanto strombazzato “buonismo” non c’entra proprio niente. Non è che si tratta di “perdonare” o di essere “buoni” (per quanto i parenti della vittima ci abbiano invitato a evitare campagne d’odio e di vendetta, dandoci una grande e inascoltata lezione di civiltà). No, non si tratta di “buonismo”, che comunque sarebbe meglio dell’onnipresente “cattivismo”. Si tratta proprio di efficacia. Perché quando avremo chiuso con le ruspe tutti i campi rom, il problema dei pirati della strada non sarà risolto, e questo in fin dei conti lo sappiamo benissimo: forse lo sa persino Salvini, o almeno se lo immagina.
E quindi smettiamola di usare un fatto di cronaca per vomitare odio contro i rom. Sappiamo che non serve a nulla e a nessuno. Anzi, forse con le inchieste di Mafia Capitale dovremmo cominciare a capire che l’odio contro i rom serve a chi ci lucra sopra, a chi fa affari sulla ghettizzazione e la segregazione. Non serve, di sicuro, alla “sicurezza” di chicchessia.
Sergio Bontempelli