Infoaut
11 02 2015
Al centro di pesanti interessi geostrategici, il cantone del Rojava, nel Kurdistan siriano, è da due anni anche il territorio di un’intensa sperimentazione sociale e politica, dove l’ipotesi del Confederalismo Democratico, teorizzato negli ultimi anni di prigionia dal leader del Pkk Abdullah Öcalan, sta prendendo forma e consistenza. Oltre la vecchia realtà dello stato-nazione, si sperimentano le ipotesi di una confederazione di realtà di base: consigli di quartiere, case del popolo, scuole, presidi sanitari per ri-organizzare dal basso la società. Contro le atrocità al contempo reazionarie e iper-moderno dello Stato Islamico, si gettano le basi per una possible convivenza di etnie e fedi diverse, con al centro un ruolo forte delle donne.
Le ultime settimane hanno visto la cacciata dell’Isis da Kobane, dopo un assedio durato mesi. Oggi i guerriglieri delleYpj e le guerrigliere delle Ypg stanno riconquistando terreno, consolidando i territori liberati e ccacciando sempre più indietro gli uomini del Califfato. Un nostro corrispondente si trova nel cantone del Rojava da una settimana e ci racconta quello che ha visto.
Ascolta Daniele, corrispondente dal Rojava per RadioBlackOut
Le persone e la dignità
09 02 2015
Sono 210.060 i morti nel conflitto civile in Siria a partire dal 2011, secondo un bilancio stilato dall’ong Osservatorio nazionale per i diritti umani (Ondus). Tra questi i civili sono circa 100.000, di cui 10.664 minorenni, inclusi bambini e adolescenti. I feriti gravi sono 1,5 milioni.
Tra i combattenti uccisi, oltre ai soldati e miliziani lealisti e ai ribelli e jihadisti siriani, vi sono almeno 28.131 stranieri, provenienti da altri Paesi arabi ma anche occidentali. Tra questi la maggioranza – 24.989 precisa l’Ondus – sono membri dell’Isis, del Fronte al Nusra, vale a dire la branca siriana di Al Qaida, e di altri gruppi jihadisti. Altri 3.142, invece, sono miliziani di organizzazioni armate sciite che combattono al fianco delle truppe del regime del presidente Bashar al Assad, tra i quali 649 dell’Hezbollah libanese.
La guerra civile ha anche reso profughi quasi la metà dei cittadini siriani: oltre 3 milioni hanno trovato rifugio nei Paesi confinanti, mentre circa 6 milioni sono sfollati interni. L’Ondus ha riferito di decine di civili uccisi anche negli ultimi giorni in nuovi raid del regime sui sobborghi di Damasco nelle mani di forze ribelli, che precedentemente avevano colpito il centro della capitale con una pioggia di razzi provocando almeno cinque morti.
Rainews24
03 02 2015
le milizie jihadiste dello stato islamico (isis) sono state "cacciate" quasi del tutto da kobane, città curda-siriana a ridosso della frontiera turca assediata dagli uomini del califfato nero dal settembre scorso. kobane è stata liberata ma questi mesi di violenta offensiva dell'isis hanno messo in fuga decine di migliaia di persone, molte delle quali sono arrivate in turchia.
I profughi nel campo di Mürşitpınar, sul lato turco del confine siriano, molti aspettano solo che la frontiera sia riaperta, per tornare a casa anche se la loro casa potrebbe non esserci più. secondo le cifre ufficiali di ankara, la turchia ospita attualmente nei campi profughi quasi 200mila persone provenienti dall'area di kobane.
Nella zona turca di suruc, ad una decina di chilometri dal confine, c'è la struttura più grande che ospita 35mila rifugiati. comprende sette cliniche mediche, due ospedali e aule per almeno 10mila bambini, provenienti principalmente da kobane.
Stanziati 3,9 milioni lo scorso ottobre la commissione europea ha stanziato 3,9 milioni di euro destinati alle organizzazioni umanitarie. ma per ora le autorità turche non lasciano passare nessuno anche se sono in molti a chiedere di tornare a casa per cominciare la ricostruzione. la città di kobane è liberata, ma i combattimenti proseguono in alcuni dei villaggi limitrofi.
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Dinamo Press
02 02 2015
La notizia della liberazione non ci ha colti di sorpresa, ma sicuramente ci ha fatto sobbalzare dalla gioia, così ci siamo catapultati di nuovo sul confine turco-siriano nella speranza di poter raccontare dal di là cosa sta succedendo. Ci speravamo ieri, appena arrivati, ma tutti tra Suruç e Mehser, ci hanno messo in guardia: sono molte le difficoltà per entrare, dall'ottusità del governo turco nell'aprire la frontiera alla presenza di molte persone in cerca solamente di uno scoop. Per noi, invece, entrare a Kobane dopo questi mesi di staffette e iniziative ha un altro significato: lo facciamo perché crediamo in questa rivoluzione e nel progetto politico della Rojava, che abbatte con coraggio i confini nelle nostre menti, oltre a quelli geografici.
Non è stato facile entrare, è stata una di quelle occasioni che si prendono o si perdono. Siamo andati a Suruç alla ricerca di un'autorizzazione governativa, che fino a ieri sera era negata a chiunque, tramite le preziose relazioni che abbiamo costruito in questo tempo. Abbiamo poi rincorso funzionari governativi tra la sede del DBP, il centro culturale Amara e i campi di rifugiati, finendo per ritrovarci in coda alla frontiera insieme ad altri 50 giornalisti. Tutto questo proprio mentre, durante una conferenza stampa nella sede del Comune, si diceva che la frontiera sarebbe stata chiusa ancora a lungo. E' stato tutto talmente veloce e confusionario che non ci siamo praticamente resi conto di essere entrati a Kobane liberata.
La città, presidiata da un gran numero di combattenti Ypg/Ypj, è totalmente distrutta e devastata. Camminando per le vie della città nel silenzio più totale, ci rendiamo conto che servirà uno sforzo enorme per riportare a casa le migliaia di sfollati - 300mila a oggi secondo le fonti del Comune, di cui solo il 10% gestito dal governo turco - perché ogni singolo edificio presenta segni inconfondibili della battaglia: piani crollati, fori di proiettili sui muri, vetrine esplose, crateri nelle strade. Non si è trattato solo di una battaglia per difendere una città: è evidente come l'Isis abbia, deliberatamente, tentato di radere al suolo Kobane per cancellare così l'esperienza politica della Rojava.
Avanzando tra le macerie - secondo il Comune di Suruc, l'80% della città è stata rasa al suolo - si possono scorgere i resti di quella che doveva essere una città di confine abitata e vivace: i numerosi negozi hanno oggi le vetrine rotte, ma i prodotti in vendita, ricoperti di polvere, sono rimasti dove erano, a immagine di una Kobane viva. Il silenzio, rotto da colpi di kalashnikov, di artiglieria e i proiettili di mortaio inesplosi a centinaia, ci ricorda che qui - e in altri 15 villaggi - la battaglia è vinta, ma che tutt'intorno la guerra continua.
In Piazza della Resistenza incrociamo alcuni automezzi dello Ypg che portano i combattenti al fronte, ci offrono un passaggio a est, e noi decidiamo di accettarlo. Ci fidiamo di loro, sono nostri fratelli e compagni, combattono il peggior nemico del mondo e hanno tutto il nostro supporto. Ci accompagnano ai piedi della collina di Mistenur, da dove sventola alta la bandiera della Rojava, e ci mostrano le posizioni occupate appena qualche giorno fa. Offriamo sigarette e dispensiamo strette di mano, mentre loro imbracciano l'Ak-47 e a gesti ci dicono che vanno in prima linea. Scegliamo di tornare velocemente, perché in vicinanza sentiamo colpi di mitragliatrice e, attraversando nuovamente quartieri totalmente distrutti, ci riportiamo in centro città. Lì incontriamo il ministro della Difesa del cantone di Kobane: racconta della battaglia e spiega che la maggior parte dei miliziani dell'Isis in città era di origine cecena, informandoci anche del fatto che, questa sera, avrebbero riconsegnato alla Turchia il cadavere di un combattente con il passaporto turco.
Su queste macerie, a partire dalla speranza che dà l'esperienza della Rojava, deve ora cominciare la ricostruzione, come ha anche affermato in conferenza stampa Ibrahim Ayhan, parlamentare curdo del HDP. “Chiediamo aiuti internazionali - sia finanziari che militari - per permettere la ricostruzione di Kobane e consentire ai suoi abitanti di rientrare”, ha dichiarato.
Da domani la nostra staffetta riparte da qui, forte del progetto dedicato all'educazione e allo sport che abbiamo iniziato a discutere in Italia con i compagni curdi, e che andremo a discutere con i rappresentanti della municipalità di Suruç.
Chiara, Fano, Marco e Momo (Centri sociali del Nord est - Rojava Calling)
Communianet
28 01 2015
Il comando generale delle forze di difesa curde (YPG) ha dato ieri l'annuncio della quasi completa liberazione di Kobane, notizia confermata anche da fonti indipendenti come l'Osservatorio siriano per i diritti umani.
Una splendida notizia, perché nel villaggio curdo-siriano alla frontiera con la Turchia viene fermata l'avanzata delle forze reazionarie dell'organizzazione per lo stato islamico (Isis o Daesh) e perché questa vittoria è stata possibile in primo luogo grazie alle forze combattenti popolari.
Naturalmente non può essere taciuto il contributo dato dagli attacchi aerei della "coalizione internazionale" guidata dagli Usa, come riconosce lo stesso Comando generale dell'Ypg (vedi comunicato), così come estremamente importante - sia sul piano militare che su quello politico e sociale - è stata la partecipazione di brigate dell'Esercito siriano libero, principale forza di opposizione laica al regime di Bashar el Assad in Siria. Determinante è ovviamente stato il sostegno diretto del Pkk.
La determinazione e l'organizzazione delle forze curde è il frutto anche di questi quattro anni di esperienza politico-sociale nella regione del Rojava, liberata in territorio siriano grazie alla rivolta nata nell'insieme del paese dal marzo 2011.
Abbiamo già altre volte sottolineato quali siano le luci e le ombre di quella esperienza, e non serve la retorica sparsa un po' troppo a piene mani da alcuni settori "internazionalisti" per comprendere l'importanza di tale esperienza - sia sul piano della liberazione di territorio dal regime di Assad, sia nel tentativo di creare un governo non settario e aperto a tutte le parti che costituiscono la popolazione siriana.
Condividiamo quanto scrive Joseph Daher (animatore del blog Syria Freedom Forever) riguardo "l'errore di isolare la questione curda rispetto la rivoluzione siriana", aggiungendo che "negare tale connessione e negare la lotta del movimento popolare siriano per la libertà e la dignità aiuta i nemici dei popoli siriano e curdo: né il regime di Assad né le forze islamiche reazionarie possono permettere l'esistenza al di fuori del loro programma autoritario di esperienze politiche complesse, siriane o curde."
Questo non significa nascondere i problemi e gli scontri, anche sanguinosi, che ci sono stati in passato tra forze legate al PYD curdo e dell'ESL, così come gli errori nella gestione dell'esperienza del Rojava e gli accordi tattici con il regime di Assad per dare respiro alla liberazione del territorio stesso.
Malgrado tutto questo, è per noi chiaro che in quella regione si giocano due battaglie fondamentali: una contro le forze reazionarie rappresentate dall'organizzazione dello stato islamico; l'altra contro la dittatura sanguinaria di Bashar el Assad e del suo clan di regime.
In questa lotta qualsiasi alleanza tattica e qualsiasi contributo militare possa venire dalle forze della coalizione guidata dagli Usa non può nascondere gli interessi generali di queste stesse forze, certamente non dirette ad una liberazione dei popoli della regione, ma ad un aggiustamento stabilizzante, per chiudere con le esperienze rivoluzionarie - come avviene anche in Egitto, grazie al regime militare di Al Sissi, non casualmente amico di quello siriano - e arrivare ad un accordo complessivo degli Usa con l'Iran (con tutte le contraddizioni che questo naturalmente apre - come mostrano i comportamenti dei governi turco e israeliano, che soffiano sul fuoco di un confronto che non interessa invece ai padroni del mondo).
La liberazione di Kobane avviene a pochi giorni dalla ripresa degli scontri armati tra le forze del Ypg e i militari di Bashar el Assad, mentre i funzionari statunitensi dichiarano ormai apertamente che si deve arrivare ad un accordo con lo stesso Assad per "raffreddare" il conflitto.
Questa, sul campo, è la differenza tra chi combatte per la propria libertà e chi per affermare - in maniera "pragmatica" - interessi imperialistici o di controllo di parte della regione, in questa fase attraverso un compromesso complessivo.
Salutare la vittoria delle forze popolari a Kobane non ci fa dimenticare la sofferenza dell'intero popolo siriano e la nostra solidarietà con le organizzazioni curde del Rojava e in Turchia - che in questi giorni ci ha visti accanto a SOS Rosarno nella vendita delle "arance solidali per Kobane" - continua anche a sostegno della popolazione e delle forze laiche, democratiche e rivoluzionarie in tutta la Siria.