Arcilesbica
15 05 2015
Le gravissime le frasi del Presidente Lega Nazionale Belloli confermano la cultura sessista e omofoba diffusa nel mondo del calcio italiano.
Le sue parole sono l'espressione più becera degli stereotipi e pregiudizi che pervadono il mondo dello sport che discrimina le atlete costringendole al dilettantismo per regolamento.
Chiediamo le dimissioni immediate di Belloli perché, con le sue parole, dimostra di essere persona inadatta a ricoprire la carica più alta di un'organizzazione che dovrebbe promuovere i valori di solidarietà sociale e inclusività dello sport.
Roberta Vannucci presidente nazionale ArciLesbica
Linkiesta
15 05 2015
"Basta dare soldi a queste quattro lesbiche": Belloli è il degno successore di Tavecchio nella Lnd
Quando Carlo Tavecchio era numero uno della Lega Nazionale Dilettanti, avevamo imparato a conoscerlo grazie a una puntata di Report. Durante un'intervista rilasciata al programma della Rai, Tavecchio esprimeva così il proprio concetto di calcio femminile:
"Noi siamo protesi a dare una dignità anche sotto l'aspetto estetico alla donna nel calcio. Finora si riteneva che la donna fosse un soggetto handicappato rispetto al maschio sotto l'aspetto della resistenza, del tempo, dell'espressione atletica. Invece abbiamo riscontrato che sono molto simili".
Insomma, non una grande uscita, bissata dall'ormai famosa frase di Optì Pobà e le banane che ha tenuto banco per settimane sui media italiani. Con la sua elezione a capo della Federcalcio, sembrava le avessimo viste tutte. Invece, il nostro pallone riesce sempre a sorprenderci.
E se la Lega Nazionale Dilettanti attendeva un degno successore di Tavecchio, potrebbe averlo trovato in Felice Belloli. Che durante il Consiglio del Dipartimento Calcio Femminile dello scorso 5 marzo, si è così espresso: "Basta! Non si può sempre parlare di dare soldi a queste quattro lesbiche".
La frase è stata riportata nel verbale della seduta del Consiglio, pubblicato dal sito Soccerlife. Che specifica che il verbale «è stato firmato dal vice presidente vicario Antonio Cosentino che ha la delega al Calcio Femminile». Il quale, vista la frase, ha portato il documento alla Procura federale. La Federcalcio ha aperto un'inchiesta sulle parole di Belloli.
Il movimento femminile italiano conta circa 11mila tesserate, ma l'intenzione della Federcalcio è quello di puntare sulla sua crescita, grazie ai contributi Uefa.
Alessandro Oliva
Il Fatto Quotidiano
17 04 2015
Naviga in cattive acque l’Olimpiade di Rio 2016, in programma dal 5 al 21 agosto dell’anno prossimo. Migliaia di pesci morti sono infatti saliti a galla sulla superficie del lago Rodrigo de Freitas, situato a due passi dal Parco Olimpico, dove tra poco più di un anno dovrebbero tenersi le gare di canoa e canottaggio. Lo spettacolo è terrificante alla vista, l’odore nauseabondo all’olfatto.
L’assessore cittadino all’ambiente ha spiegato che la cosa è dovuta all’innalzarsi del livello del mare, che ha provocato un aumento della temperatura del lago, collegato all’Oceano su cui affaccia da un canale che permette l’ingresso dell’acqua. Ma gli abitanti della zona da tempo hanno denunciato l’inquinamento, gli scarichi abusivi e la spazzatura che stanno ammorbando le acque cittadine, compreso il lago Rodrigo de Freitas. E domenica scorsa c’è stata una manifestazione di protesta cui hanno partecipato migliaia di persone.
Il lago, infatti, è gestito in appalto da qualche anno da una compagnia privata, parte della multinazionale brasiliana Ebx, cui spetterebbe la bonifica delle acque. Ma, protestano gli abitanti, poco nulla è stato fatto. Altrettanto tragica è la situazione di Baia de Guanaraba, dove invece dovrebbero disputarsi le gare olimpiche di vela e windsurf. Settimana scorsa il quotidiano locale O Globo ha pubblicato le foto di una barca a vela che si è ribaltata dove essersi scontrata contro un ammasso di spazzatura che galleggiava nella baia. L’immondizia è ovunque: sporcizia, inquinamento, strani liquidi e carcasse di animali morti ammorbano la superfice delle acque e la spiaggia di Gloria Marina all’interno della baia. Tanto che il velista olimpico austriaco Nico Delle Karth, giunto sul posto per allenarsi, se n’è andato definendola “una fogna a cielo aperto”.
Nel prospetto olimpico la città di Rio s’impegnava a pulire l’inquinamento della Baia di Guanaraba dell’80%, ma il mese scorso l’appena insediato ministro regionale dell’ambiente ha dichiarato: “Non riusciremo mai a ripulire una percentuale così alta dell’acqua della baia, ma posso assicurare che non ci saranno problemi per gli atleti”. Il sindaco Eduardo Paes, dopo aver stimato in oltre 4 miliardi di euro i costi per ridurre anche solo del 50% l’inquinamento, poche settimane fa ha ammesso a Sport Tv che non sarà possibile farlo in tempo per le Olimpiadi, aggiungendo che anche lui non vede alcun problema per le gare. Oltre agli atleti, non sono ovviamente d’accordo gli ambientalisti e i residenti della zona, che denunciano il continuo spreco di fondi e di soldi pubblici destinati alla bonifica. La spazzatura che infesta Baia di Guanaraba e pesci venuti a galla nel lago Rodrigo de Freitas sono infatti un’immagine che vale più di mille parole. Tra i mille problemi del mega evento che Rio ospiterà il prossimo anno, non c’è però solo quello ambientale.
Ieri numerosi reparti della polizia in tenuta antisommossa hanno sgomberato con violenza uomini, donne e bambini che da una settimana occupavano un palazzo disabitato che dovrebbe essere trasformato in un hotel di lusso per i Giochi. L’edificio, di oltre venti piani, era un ex complesso residenziale rimasto disabitato dal 2012 quando è fallito l’impero del suo proprietario: l’ex industriale Eike Batista ora sotto processo per insider trading. Lo sgombero evidenzia l’altro enorme problema di una città da 12 milioni di abitanti desiderosa di farsi un make up in vista delle Olimpiadi, quello dell’abitare. Una vera e propria operazione di pulizia etnica, cominciata con la Confederations Cup del 2013 e continuata con i Mondiali del 2014 ha costretto buona parte della popolazione ad abbandonare le proprie case per l’insostenibile aumento dei prezzi. E le Olimpiadi sono l’ultima scintilla di una situazione esplosiva. “Stanno spendendo una marea di soldi per gli eventi sportivi e il lusso che li dovrà circondare – ha detto ieri Veronica Castro, che occupava l’edificio per dare un tetto ai suoi quattro bambini -, ma non investono in case, salute e educazione”.
Luca Pisapia
Twitter @ellepuntopi
Dinamo press
09 04 2015
L'incapacità di rispettare il "nemico" attraversa la storia del tifo organizzato. Ma chi insulta la memoria di Ciro con la scusa dell'"etica ultrà" ha davvero titolo per farlo?
“A queste voci intenerito Achille, membrando il genitor, proruppe in pianto; e preso il vecchio per la man, scostollo dolcemente”.
I versi dell’Iliade descrivono il sentimento di pietà che s’impadronì della coscienza di un killer mitologico. Si commuove il prode Achille dinanzi a Priamo, padre di quell’Ettore che egli ha ucciso in combattimento. Achille è una micidiale arma da guerra. Ha appena finito di oltraggiare il cadavere dell’odiato Ettore. Eppure quando Priamo lo implora di restituirgli i resti del figlio per poterne celebrare il rito funebre, persino questo violento e divino robot dalle sembianze umane prova compassione per il genitore di un suo acerrimo nemico.
Non c’è spazio per i sentimenti nelle strade e in ciò che resta delle curve degli stadi italiani. E non è solo una questione di ultrà. La denigrazione delle madri di tanti ragazzi rimasti privi di vita sull’asfalto, è ormai consuetudine in questo Paese. Spesso a lanciare indegne provocazioni ai danni dei parenti delle vittime di brutali violenze, sono “uomini” delle “istituzioni”. Ne sanno qualcosa le mamme di Stefano Cucchi, Federico Aldrovandi e Carlo Giuliani, che dai sindacati di polizia e da certi politici hanno ricevuto fiumi di offese e contumelie.
Dalle curve degli stadi di calcio, però, non te lo aspetteresti. Dai luoghi in cui è anzitutto lo scontro fisico a sancire virtù, cittadinanza e appartenenza, ci si attenderebbe un cavalleresco rispetto della memoria dei “nemici” caduti. Perlomeno cum patior, “soffrire insieme”: compassione, nei confronti di chi prova dolore immenso per la perdita di un congiunto. Rispetto! Non conta che la vittima facesse parte della propria comunità o dell’avversa. Ti aspetteresti compassione persino da quei gruppi ultrà i cui padri fondatori hanno praticato biblioteche oltre che palestre, privilegiando letture del pensiero di filosofi magari poco inclini ad esaltare la pietà, ma pur sempre attenti alla mistica delle virtù “guerriere”.
Invece niente! In Italia tali manifestazioni di rispetto corale sono confinate nel bagaglio culturale di gruppi sociali limitati nel tempo e nello spazio. La letteratura e la storiografia ultrà riportano pure notizie di omaggi simbolici e forme di riverenza verso “il nemico”. Ma nella maggioranza dei casi, purtroppo, le cose così non sono andate. Le cronache del passato remoto e recente sono piene di plateali striscioni, sprezzanti slogan e cori offensivi contro calciatori e ultras avversari colpiti da disgrazie o deceduti in circostanze innaturali. Ecco perché oggi risultano strabiche le analisi di chi, commentando l’esposizione degli striscioni contro la madre di Ciro Esposito nella curva sud dell’Olimpico, canta il de profundis della cultura ultras e lamenta la fine di un presunto e mitico tempo dell’onore. Quegli striscioni non sono una novità. Pietà non c’è quasi mai stata. Soltanto in alcuni delimitati contesti, in talune curve, si è consolidata una simbologia attenta al rispetto della dignità del nemico.
La frase esposta nella Sud, comunque, non è il semplice risultato della volontà di ferire nell’animo. È il riflesso di qualcosa che viene dal profondo, un malessere interno. Sembra quasi che gli ultras della Roma vogliano dire: “Se noi portiamo un peso sulla coscienza perché uno di noi ha sparato, voi allora davvero pensate di essere meglio di noi?” Mediante quel messaggio, una curva che in realtà, pur dissimulandolo, ha vissuto un conflitto interno dopo i tragici fatti della finale di coppa Italia 2014, ora sembra voler esorcizzare il peso di un omicidio, contrattaccando sul piano dell’etica, scaricando lo stigma su una famiglia, una città e l’intera tifoseria napoletana, che dopo l’uccisione di Ciro hanno riscosso universale solidarietà.
Peccato che le ironiche strisce dei romanisti, oltre a deformare la realtà, abbiano trascurato un valore che spesso ha caratterizzato i linguaggi delle curve: l’obiettività!
Il principio scandito in quelle frasi, infatti, piove da un pulpito inattendibile, in quanto privo della passata autorevolezza. Nella capitale (e non solo) decine di capi di tifoserie diverse, nel corso del tempo hanno costruito patrimoni economici e politici tuffandosi dal trampolino della curva. Oggi quante sono le tifoserie che possono vantarsi di non aver mai avuto al proprio interno soggetti che abbiano “lucrato” svendendo privatamente simboli e storie che appartenevano a migliaia di altre persone? Qualsiasi striscione rivendichi purezza e coerenza, finisce per rendere ridicolo chi lo espone. E l’ironia sui morti fa parte, sì, della storia degli ultrà. Ma non tutti gli ultrà si riconoscono nella stessa storia, fortunatamente.
Claudio Dionesalvi