da http://www.porticodonne.it/Portico/Content/magazine/lavoro/1074015910480/index_html
I dati della prima indagine Istat tracciano un identikit della madre lavoratrice condotta su un campione 50.000 neo-madri: un percorso ancora tutto in salita.
La conciliazione tra maternità e lavoro è un problema irrisolto: le donne devono ancora scegliere tra un figlio e la carriera, nel migliore dei casi, e tra un figlio ed il lavoro tout court nel peggiore. E’ quanto rivelava l’indagine statistica dell’Istat dal titolo “Maternità e partecipazione delle donne al mercato del lavoro: tra vincoli e strategie di conciliazione” (CNEL 2003).
“Nonostante il massiccio ingresso delle donne al suo interno - precisava Silvia Costa - il mercato del lavoro è rimasto sostanzialmente impermeabile rispetto al valore sociale della maternità come tema intorno al quale costruire le politiche”. Un peso, dunque, per la collettività e non, come dovrebbe essere, un “tema di produzione umana, sociale ed economica cui collegare l’inserimento sociale e lavorativo delle donne (…) un’esigenza di ristabilire delle modalità diverse di concepire la cultura del lavoro, il valore sociale della maternità e della paternità e la condivisione fra uomini e donne di una preoccupazione che non è solo di una parte del cielo”.
di Valeria Costantini e Salvatore Monni
2) È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.
Articolo 3, Costituzione italiana
Il 2 giugno scorso sono trascorsi sessant’anni dalle prime elezioni politiche nelle quali le donne esercitarono il diritto di voto,1 e tra due anni saranno sessanta anche gli anni della nostra Costituzione. Quella stessa Costituzione che all’articolo 3 ci ricorda il ruolo della Repubblica nel promuovere sia l’uguaglianza formale (comma 1) che quella sostanziale (comma 2) di tutti i cittadini italiani. Ad oggi, purtroppo, le differenze tra gli individui (cittadini e non) nel nostro paese permangono forti. In particolare, le differenze di genere rimangono marcate e presentano per certi versi una dinamica ancora più preoccupante. Nel corso di questa nota si cercherà di leggere le disparità di genere attraverso il nuovo e relativamente recente approccio delle «capacitazioni» o capabilities.2 Questo approccio, introdotto da alcuni scritti di Amartya Sen alla fine degli anni Settanta e ripreso tra gli altri dalla filosofa statunitense Martha Nussbaum in una chiave più specificamente di genere,3 cerca di superare un ostacolo teorico che caratterizza le più diffuse teorie degli assetti sociali, quali l’utilitarismo e il liberalismo, ovvero la definizione del problema dell’eguaglianza basata sulla sola misura dell’uguaglianza di reddito o di utilità.4
PARLAMENTO EUROPEO - 16 luglio 2001
(...) Secondo un’inchiesta realizzata dalla Fondazione europea per il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro nel 1996 , 12 milioni di lavoratori in Europa si considerano vittime di mobbing. Inoltre, i risultati di varie inchieste dimostrano che le donne ne sono le principali vittime. Il parere del Comitato economico e sociale francese (CES) adottato il 21 aprile 2001 ritiene che, secondo le indagini nazionali e internazionali, è possibile stabilire un profilo tipo della vittima. Questa è il più delle volte di sesso femminile e di età superiore ai 40 anni, cosa che solleva il problema dell’ultima fase della carriera; il parere richiama altresì l’attenzione sul destino dei giovani lavoratori. Secondo uno studio realizzato in Francia dalla dr. Hirigoyen, è interessato il 70% delle donne rispetto al 30% degli uomini. Le donne più colpite sono quelle appartenenti a minoranze razziali, le donne portatrici di handicap o aventi un diverso orientamento sessuale, nonché le donne incinte. La dr. Hirigoyen considera che non solo le donne costituiscono la maggioranza delle vittime, ma che esse sono molestate in modo diverso dagli uomini, intervenendo spesso connotazioni maschiliste o sessiste. L’autrice opera una distinzione teorica tra mobbing e molestie sessuali, anche se dimostra che i passaggi dall’uno alle altre sono frequenti. Le molestie sessuali non sono che il passo successivo del mobbing. Nei due casi si tratta di umiliare l’altro e di considerarlo alla stregua di un oggetto a propria disposizione. Per quanto riguarda la specificità del mobbing nei confronti delle donne, la dr. Hirigoyen descrive diversi casi di specie: in primo luogo, le donne che rifiutano le profferte di un superiore o di un collega e che si fanno pertanto emarginare, umiliare o strapazzare; in secondo luogo, la discriminazione verso le donne. Le donne sono semplicemente messe da parte oppure molestate o viene loro impedito di lavorare per il solo fatto di essere donne. Secondo il CES, le situazioni di molestie sessuali presentano notevoli somiglianze con quelle del mobbing come, ad esempio, la difficoltà, per la vittima, di esprimersi, difendersi e presentare querela o quella di fornire le prove e di trovare testimoni. (...)