La 27ora
25 08 2015
Le urla e la ragione poco si associano, ma anche le idee a priori con la realtà. La maldestra gestione delle immissioni in ruolo nella scuola da parte del governo ha visto tutto contrapposto: ragione e realtà, urla e idee a priori. Errori macroscopici e sottovalutazioni hanno portato, allo stato, ad un aumento delle supplenze, per quella che doveva essere la più grande stabilizzazione del secolo. Urla e idee a priori l’hanno fatta da padrone sui trasferimenti forzosi dal sud al nord di moltissimi docenti in virtù di un meccanismo messo a punto malissimo dal ministero dell’Istruzione. Si potevano attendere le disponibilità degli uffici territoriali per avere un ventaglio di cattedre più ampio, invece di far rientrare quelle cattedre di cui si avrà contezza nella seconda settimana di settembre per trasformarle in supplenze, raddoppiandone il numero: chi avrà avuto una cattedra, la manterrà in diritto, ma potrà optare per la supplenza se è più vicina a casa, almeno per un altro anno, creando, a sua volta una supplenza sulla sua cattedra.
Ciò di cui si è poco parlato nella contesa tra favorevoli e contrari è la reale posta in gioca, che non riguarda solo gli attori in causa. Usare la parola deportazione, come più d’uno ha fatto, è fuori luogo perché a ogni cosa va dato il proprio nome. I numeri ci dicono quale fenomeno si stia mettendo in moto, i cui effetti integrali sono stati solo posticipati di un anno.
Il 79% del corpo docente in Italia è formato da donne; il 100% nelle scuole dell’infanzia; il 95% nella primaria; l’85% nelle medie; il 59% nella secondaria di secondo grado, dove però le percentuali tornano a salire nei classici o nei licei pedagogici.
Accadrà, dunque, che saranno donne, madri ad andare con o senza figli da un capo all’altro dell’Italia, per lavorare. Ma questo non è un Paese per donne e non possiamo far finta che lo sia quando finiamo nella banalizzazione del, si va dove il lavoro c’è. Un professore guadagna in media mille e quattrocento euro al mese. La migrazione comporta l’affitto di una casa. Se con figli anche scuola e doposcuola. Se con figli piccoli nidi, perlopiù a pagamento. Questo non è un paese con un welfare alla francese, anche se i soloni nostrani dicono che ce n’è anche troppo. E siamo ai primi passi quanto a congedi parentali, oggetto residuale rispetto alla totalità di una vita familiare e culturalmente ancora malvissuto.
Chi fa le leggi e dovrebbe avere la situazione sotto controllo avrebbe dovuto almeno lavorare per la riduzione del danno, e invece non lo ha fatto. Ci sarà, dunque, un costo sociale ancora una volta gestito nel privato. Separazioni, tensioni, spaccature, ricostruzioni di ambiti familiari, che solo chi non li conosce può affrontarli con parole di superficialità. Senza ricchezza, ma solo con una chimerica speranza che forse un giorno andrà meglio.