×

Attenzione

JUser: :_load: non è stato possibile caricare l'utente con ID: 415

Mi pento di aver denunciato il mio ex. Meglio le sue botte di quelle dello Stato italiano

Etichettato sotto

La 27 Ora
10 09 2015

Vorrei scusarmi con tutti i signori giudici, avvocati, consulenti psicologi (d’ufficio o di parte), carabinieri, poliziotti, medici del pronto soccorso, testimoni… che ho disturbato nelle ultimi tre anni. Vorrei scusarmi anche con le lettrici e i lettori della 27ora, che qualche mese fa ho coinvolto in una vicenda così intima. Da allora, qualcosa è cambiato. Ma in peggio. Il tribunale di Vicenza non ha ancora deciso nulla sul destino mio e dei miei figli. In compenso un altro tribunale, la procura di Terni, ha deciso di indagarmi, perché ho voluto proteggere me stessa e i miei bambini. Vorrei fare un pubblico mea-culpa e dire a tutti che sono stata stupida, troppo sicura di me, ingenua e superficiale. Quando ho dovuto lasciare il mio Paese, l’Algeria, 20 anni fa, perché condannata a morte dagli integralisti armati, pensavo, ero certa, che come persona, come donna, come intellettuale, qui sarei stata più rispettata. Ero sicura che i miei diritti e la mia dignità sarebbero stati salvaguardati meglio in Italia, in Europa, in Occidente, più che in Africa e nel mondo arabo-musulmano.

Ma ora mi devo rassegnare a questa amara verità. La mia persona, la mia vita, la mia incolumità non contano nulla di fronte alla prepotenza e all’influenza del mio ex. Un professionista rispettato e temuto. Un italiano. Aveva ragione lui. E a lui dovevo dare retta, non al mio dolore, alla mia rabbia e alla mia sete di giustizia e sicurezza. Me l’aveva detto: «Stai sprecando saliva, voce e tempo….». Me l’aveva assicurato: «Nessuno ti crederà mai, sei solo una straniera e io sono nel mio territorio…». Aveva ragione.
Lui gioca a casa, ed io sono una povera illusa che oggi deve scalare una montagna per ricostruirsi e riprendere i pezzi della propria vita, senza farlo mai trasparire ai figli e continuando a proteggerli da sola, come ha sempre fatto in questi ultimi anni. Cioè da quando sono nati, senza nessun aiuto, tranne l’affetto di amici e parenti. Lui, in questi lunghissimi anni, ha lavorato, guadagnato più soldi, aumentato il suo patrimonio, ha avuto varie relazioni, ha potuto vedere i nostri due figli quando e come ha voluto. Ha deciso di non pagare, in parte, quello che il tribunale ha stabilito sulla base delle sue fantasiose dichiarazioni. E ha trovato il tempo di continuare a pedinarmi, minacciarmi, tormentarmi, ricattarmi. Oggi sembra ringiovanito. Ha persino cambiato il taglio dei capelli per sembrare più giovane.

Io, che ho 18 anni meno di lui, sono ormai l’ombra di me stessa. Dalla donna combattiva, in carriera, indipendente, positiva, piena di vita e fiera che ero, sono diventata una poveraccia. Si, non mi vergogno a dirlo. Ridotta ad accettare la carità da parenti e amici per pagare l’avvocato e andar avanti, senza far mancare nulla ai miei figli, due cittadini italiani. Ho perso il mio lavoro, il mio reddito, prosciugato i miei risparmi, accumulato debiti, messo su chili per l’ansia e l’impossibilità di continuare a fare sport, non vedo i miei parenti e genitori da 4 anni, non ho più nessun contatto con i miei amici, vivo in affitto e ho dovuto cambiare tre regioni (Veneto, Umbria, Lazio) per sfuggire al suo stalking. Perché nonostante una quindicina di denunce con referti medici (di cui uno di 20 giorni), testimonianze, registrazioni, lui non ha mai avuto la minima condanna, neanche un ammonimento verbale. Avrebbe sicuramente rimediato una condanna e forse sarebbe stato incarcerato se avesse maltrattato un chihuahua. Ahimè, io non sono un chihuahua. Sono solo una disgraziata araba musulmana che ha sbagliato il Paese dove rifugiarsi e l’uomo da amare. Ho sbagliato tutto. E allora, aspettando Godot, per due volte ho preso i miei figli, i loro giocattoli, i miei libri e ho cambiato casa, comune, regione, ovviamente informando sempre chi di dovere.

E questa volta, ecco la bella novità, mi ha denunciata lui. Perché secondo il mio ex, io avrei dovuto rimanere lì, a subire, subire, subire… finché «morte non ci separi»… E così i carabinieri di Porano (provincia di Terni) hanno scritto che io sono andata via dalla casa dove mi ero rifugiata con i miei figli «per futili motivi». E cosi la procura di Terni ha deciso di indagarmi. Ora, io sono indagata. Lui è un cittadino libero. Libero anche di fare di me quello che vuole. Io sono stanca e ho perso totalmente la fiducia nella giustizia italiana.

Tre anni dopo la mia prima denuncia, ecco cosa hanno fatto le autorità. Qualche archiviazione, con motivazioni agghiaccianti come questa: «Si trattava di un rapporto burrascoso». Così ha scritto il procuratore del tribunale di Bassano del Grappa. Dopo la mia opposizione all’archiviazione, motivata da nuovi fatti, i magistrati hanno ripreso le indagini. Stanno ancora indagando. Nel luglio 2014 c’è stata un’udienza per decidere sull’affido dei nostri figli e sulla mia richiesta di tornare a Roma per riprendere il mio lavoro, perché lui mi teneva suo ostaggio insieme ai bambini in un paesino veneto di 1000 abitanti. I giudici si sono riuniti per decidere. Tutt’ora risultano «riuniti». Il tribunale di Vicenza sembra essere stato colpito dall’era glaciale. Il tempo e la mia vita sono sospesi. Nel frattempo vale ancora l’affido congiunto col mio ex, nonostante ci siano tutte le condizioni per darmi l’affido esclusivo, soprattutto per la perizia psichiatrica che in lui ha riscontrato una personalità «paranoica con impulsi di violenza incontrollabili e idee persecutorie».

A proposito di perizie, anch’io ho dovuto subirne una, una vergognosa «valutazione delle mie capacita mentali» perché lui ha affermato tramite la sua avvocatessa, una donna e madre anche lei, che io «sono matta e pericolosa per i figli»… Ed è stata una altra tortura, degna della peggiore dittatura al mondo non da un stato civile che dovrebbe tutelare le vittime e non perseguitarle come è successo a me… Ho vissuto, nonostante sia una madre premurosa, attenta, totalmente dedica ai piccoli, che ha sacrificato tutto per i suoi figli, lunghe mesi angosciosi. Facevo incubi dove sognavo che i miei figli mi venivano tolti, ingiustamente.

Ovviamente non c’era nessun motivo, e il tribunale non ha mai giudicato necessario coinvolgere i servizi sociali o altro, ma questo castigo psicologico l’ha voluto l’avvocata del mio ex e la perizia del perito scelto del giudice, un professorone di psicologia della facoltà di Padova, uno che promuove la bufala del PAS (una pagliacciata inventata in Italia per terrorizzare le madre che denunciano i compagni violenti), e che è stato sfacciatamente e totalmente di parte, a favore del mio ex. Questo signore, che ha consegnato al tribunale una relazione che riprendeva in gran parte il parere del perito di parte del mio ex, una donna pure lei, mi hanno fatto vivere una disumana e crudele angoscia come madre. Mi vergogno al posto loro. Tutto questo per affermare poi, come ha riconosciuto lo stesso perito del tribunale, che i «bimbi stanno bene con la madre». È stata, dall’inizio, la strategia diabolica adottata dalla sua avvocata, farmi passare per una matta.

Hanno anche provato a farmi passare per una poco di buono, infangando il mio nome e il mio onore. È la cosa che mi ha fatto più male in questa vicenda, oltre al terrore che mi portassero via i figli. Ovviamente hanno usato la diffamazione e le bugie, non avevo nessun merito per pretendere ad un profilo di «musulmana pervertita». Ho sporto denuncia su questo, ma è stata archiviata. Perché la legge italiana, nelle cause civili, prevede che il tuo ex possa dire tutto sul tuo conto, influenzare il giudice, ma la fa franca. Quanto alla sua diffamazione, che ha portato avanti con i conoscenti e autorità, i testimoni italiani hanno negato tutto davanti al giudice, dichiarato il falso con una naturalezza che mi ha lasciata scioccata. I miei testimoni, le rispettive compagne del suo amico e di un suo vicino parente, loro che avevano sempre affermato di stimarmi e mi avevano incoraggiata a sporgere denuncia giurandomi che mi avrebbero sostenuta. Una volta in tribunale, si sono rimangiate tutto.

Così quest’uomo, il mio ex, ha ancora il diritto di dire la sua su tutte le decisioni che riguardano i nostri figli, e io sono ridotta a sbattere la testa contro tutti i muri dell’amministrazione italiana. Quando vado all’anagrafe o dai dirigenti scolastici, mi sembra di entrare in una caserma. Come mi era successo in Algeria, 20 anni fa, quando fui arrestata dai gendarmi per un mio articolo sul terrorismo.

Io non sono ancora cittadina italiana e questo ha pesato molto in questa amara vicenda. Quando ho voluto chiedere la cittadinanza, dopo aver maturato 10 anni di residenza anagrafica, ma ero di fatto qui da 20 anni, mi hanno detto che non ne avevo diritto. Questo mi ha detto l’impiegata alla prefettura di Terni. Visto che negli ultimi tre anni non ho guadagnato abbastanza, non posso chiedere la cittadinanza. Le ho spiegato che io, nelle ultimi tre anni, ho partorito due figli, e perciò non ero in grado di lavorare tanto, anche perché entrambe le gravidanze erano a rischio in quanto avevo superato i 40 anni.

La rappresentante dello Stato italiano con freddezza ha sentenziato: «La cittadinanza non è un diritto, è una concessione. Deve aspettare altri tre anni e guadagnare abbastanza e poi presentare la domanda e non è detto che sarà accettata, ci vorranno altri due anni per esaminarla». Se io fossi un calciatore africano o una show-girl sud-americana col lato B, avrei avuto la cittadinanza in sei mesi. Fratelli d’Italia. Fa niente. Sono anni che sento brividi quando ascolto l’inno di Mameli, esattamente come quando sento l’inno algerino, Kassaman! Sono anni che la pasta la mangio solo al dente, e che il caffè americano mi fa schifo, che impreco in romanaccio…e se potessi passare davanti a qualcuno in fila, o evadere il fisco, lo farei senza troppi rimorsi.

Per tutte le procedure amministrative che devo svolgere per la vita quotidiana dei miei figli, tutti mi rimandano al mio ex, che mi ride in faccia e mi dice: «Cara, abbiamo l’affido congiunto, dovresti sapere che non puoi fare nulla senza la mia firma. A meno che non ritiri le denunce». In Italia, non esiste una giustizia per le donne vittime di violenza. Né per loro né per i loro figli. Con una eccezione: se il tuo ex è un disgraziato avanzo di galera o ancora meglio, un extracomunitario come dite voi italiani. Allora, un po’ di attenzione la danno a una donna che presenta denuncia. Io sono stanca e talmente delusa e amareggiata dall’Italia che me ne andrei subito. Ma, nonostante tutto, non priverei mai i miei figli del loro papà, e viceversa. Ho una coscienza e una morale, che mi sono portata dietro nei miei pochi bagagli vent’anni fa, quando sono sbarcata a Roma.

Ma sono stanca di tutto questo, e vorrei potermi esiliare in Vaticano. Non so se papa Francesco, un uomo di cuore, accetterebbe una musulmana agnostica, che ormai invoca ogni giorno, per mettere fine al suo calvario, l’unico santo algerino. Sant’Agostino pensaci tu!

Nacéra Benali

Devi effettuare il login per inviare commenti

facebook