Il processo per alcuni dei manifestanti del 14 dicembre volge al termine. Tra di loro quelli che la procura di Roma identifica come "organizzatori" della manifestazione. Un appello di solidarietà con gli imputati, perchè il 14 dicembre del 2010, in piazza c'eravamo tutti.
14 dicembre 2010. Nel giorno del voto di fiducia al Governo Berlusconi, un'imponente manifestazione nazionale inondava le strade di Roma. Una marea umana provava in quel giorno ad opporsi allo scempio della compravendita di voti in Parlamento. Un Parlamento completamente delegittimato da quanto accadeva al suo interno con la fiducia strappata grazie ai vari Scilipoti e Razzi, ma anche con il beneplacito di chi oggi gode della nomea mediatica di "unica opposizione" al governo Renzi (la Lega Nord di Salvini) che, a braccetto con la grande coalizione, ha votato le maggiori riforme strutturali vigenti in questo paese, dalla Biagi alla Gelmini, passando naturalmente per l'approvazione dell'introduzione del pareggio di bilancio in Costituzione.
Cinque anni dopo, la procura romana cerca di agire la propria rivalsa chiedendo pene spropositate per alcuni manifestanti, identificati come presunti “organizzatori” di quella giornata. Una sete di vendetta alimentata non solo dal protagonismo politico di alcuni magistrati, ma anche e soprattutto da valutazioni politiche volte a legittimare un sistema in cui le uniche opposizioni riconosciute al "partito unico" di Matteo Renzi sono quelle funzionali alla narrazione neoliberale, come la “nuova” Lega Nord. Questo perché quella giornata fu figlia di un lungo percorso che vide in quel 14 dicembre uno dei momenti di apice per un movimento che dispiegò in quell’autunno tutta la sua capacità di mobilitazione, diffusa a livello nazionale. Un movimento composto dai più diversi settori sociali e dalle più eterogenee rivendicazioni. Che prese le mosse dagli studenti che si opposero con forza e per mesi alla Riforma Gelmini e che ebbe la capacità di generalizzare, nel pieno della crisi economica, le ragioni dell'opposizione al governo, costruendo il primo tentativo di movimento anti-crisi nel nostro paese: dai senza casa perennemente in emergenza abitativa, ai cittadini aquilani devastati dal terremoto e dalle speculazioni successive, dalle lotte sul lavoro e contro la precarietà, fino alle popolazioni campane in lotta contro gli inceneritori.
Un movimento composito dunque, fuori dallo schema della compatibilità politica perché unica opposizione credibile nel Paese. Da qui deriva il tentativo di reprimerlo ed escluderlo da ogni forma di legittimità. Quel che è accaduto quel 14 dicembre non è infatti riconducibile a dinamiche avanguardiste, a fantomatici gruppi organizzati di “spaccavetrine” evocati in continuazione dai media, non è tantomeno possibile individuarne gli “organizzatori”: quella giornata fu la giornata di centinaia di migliaia di persone, per questo Piazza del Popolo fu e resta la piazza di tutt*!
Il tentativo è quello di ridurre una complessa storia collettiva fatta di discussioni, azioni, cortei, condivisione, emozioni, notti insonni, assemblee e voglia di partecipazione, desiderio di esserci attraverso le più diverse forme, scritta da un pezzo rilevante del nostro paese, ad un banale episodio di criminalità. Ricordiamo il forte consenso di buona parte della società verso quel movimento, consenso che portò centinaia di migliaia di persone a scendere in piazza e a manifestare la propria rabbia verso lo scempio che si consumava ai piani alti della politica di questo paese. Ricordiamo le macchine in coda applaudire i cortei che bloccavano la circolazione e gli abitanti sostenere dalle finestre i serpentoni che si dispiegavano anche nelle periferie, ricordiamo la frequenza con cui accadevano queste cose, in quelle intense settimane vissute “in movimento”. Quell'approvazione sociale, quel conflitto inscritto in un larghissimo consenso, sono la misura della gravità delle accuse che i magistrati rivolgono a quei cittadini ora ingiustamente inquisiti in Tribunale per il 14 dicembre; accuse che si inseriscono all’interno di un quadro che ha visto moltiplicarsi i procedimenti giudiziari e il numero di persone inquisite sui fatti di quell’autunno del 2010.
Oggi questo paese vive una chiusura degli spazi di agibilità democratica senza precedenti e a tutto tondo, fortemente collegata all'acuirsi della crisi e del carico delle misure d'austerity su tutt* noi, quell* che non hanno prodotto alcun debito da ripagare e che non si sono arricchiti dalla e nella crisi finanziaria. Come nel caso del 14 dicembre 2010 e delle tante giornate di quell'autunno finite nelle aule di Tribunale, apprendiamo con sdegno che ad altri che hanno portato avanti quel movimento, come a Palermo, vengono notificate 17 obblighi di firma, con tanto di “teorema” volto a ipotizzare una presunta associazione a delinquere degli stessi. Allo stesso modo consideriamo più che un campanello d’allarme il fatto che misure cautelari vengano applicate verso chi partecipa a uno dei tanti e quotidiani picchetti antisfratto, come accaduto a Roma qualche giorno fa; segno che dai momenti più larghi e diffusi alle pratiche più quotidiane e locali il tentativo è proprio quello di eliminare ogni forma di dissenso e di conflitto dal novero della compatibilità democratica, quella interna al regime delle “larghe intese”.
Invitiamo tutti i cittadini e le cittadine, i lavoratori e le lavoratrici, gli studenti e le studentesse, i cassintegrati, le realtà organizzate che erano in piazza quel 14 dicembre a prendere parola e difendere la Storia che insieme abbiamo costruito e che, oggi, è messa alla sbarra per essere riscritta. Non lasciamo soli gli imputati e rivendichiamo la libertà di opporci, di manifestare e di costruire una vera opposizione sociale nel paese.
Il 14 dicembre 2010 è un patrimonio collettivo: se cercano criminali da isolare, basta cercare tra i nomi di quelli che sedevano in parlamento.
Che nessun* resti sol*, quel 14 dicembre in piazza c’eravamo tutt*
Invitiamo tutte e tutti, da oggi al 2 aprile stesso, giorno della sentenza, ad esprimere solidarietà e complicità attraverso una campagna virale con striscioni, cartelli, articoli e foto da far girare ed inviare alla mail: Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.
#14D 2010:La piazza è del Popolo, tutti e tutte liber@
#14D 2010 La Piazza è del Popolo, Nessun* resti sol*!
DinamoPress
09.03.2015
Contro la rivolta di piazza del 14 dicembre 2010 le pesanti richieste di condanna arrivate oggi: chiesti per 26 attivisti pene tra i 4 anni e 6 mesi e 4 mesi.
Il 14 dicembre del 2010 decine di migliaia di giovani e precari invadevano Roma per riappropriarsi del loro futuro. Mentre il parlamento confermava la fiducia all'ultimo governo Berlusconi, in piazza esplodeva la rivolta di una generazione dopo due anni di mobilitazione iniziata con la lotta contro la Riforma Gelmini nel 2008. Quel movimento dell'onda che per primo in tutta Europa ha urlato: 'noi la crisi non la paghiamo'. Piazza del Popolo diventava teatro di ore di scontri con le forze dell'ordine.
Mentre in migliaia sfidavano lacrimogeni, manganelli e caroselli, altre migliaia applaudivano e incitavano le prime file a resistere. Con un solo respiro e uno solo cuore una generazione intera in quella giornata ha detto no al futuro di povertà e sfruttamento che hanno continuato anche in questi anni a costruire per noi, determinati nel mostrare che il 'Re è nudo', l'abisso tra i palazzi del potere e le nostre vite. Nessuna fuga in avanti, nessuna avanguardia, nessun professionista della guerriglia come piace raccontare a molti media e alla magistratura. Per questo le richieste di condanna arrivate oggi in aula suonano come una vendetta, il tentativo di evitare che giornate come quella del 14 dicembre del 2010 torni a turbare i sogni di chi ci governa.
Comunicato stampa: "14 Dicembre 2010 Nella Piazza del Popolo non lasciamo solo nessuno"
Tre anni e otto mesi. A cinque anni dagli eventi, il paradigma repressivo torinese si ripropone anche a Roma, con l’assurda richiesta da parte della Magistratura capitolina, guidata dalla volontà repressiva del Pm Tescaroli, riguardo alle pene per i fatti del 14 dicembre 2010. A tanto ammontano le richieste dei suddetti Pm, un cumulo di decine di anni di carcere per gli organizzatori dell’imponente manifestazione, culmine di un autunno di proteste contro il governo Berlusconi in fase declinante, che vengono oggi colpiti da richieste fuori dalla realtà.
Spalleggiati in questo senso dal Comune di Roma, unica parte civile ancora in causa con gli organizzatori della mobilitazione, che certifica la sostanziale continuità politica tra l’ex sindaco Alemanno e il nuovo sindaco Marino nonostante i tentativi di smarcarsi dalla precedente amministrazione e nonostante la presenza, nella giunta Marino, di esponenti di Sel che quel giorno erano in piazza con gli accusati di oggi.
Gradiremmo una presa di posizione chiara da parte di tutti coloro che oggi si atteggiano a opposizione del paese ma che favoriscono la sete di vendetta di una Magistratura sempre in prima linea nel colpire il dissenso politico nel paese. E auspichiamo anche un esercizio di memoria storica: mentre si svolgeva quella manifestazione, nelle aule parlamentari la compravendita di voti garantiva la prosecuzione del governo Berlusconi, con i voti della Lega Nord che oggi gioca a fare l’opposizione.
Di fronte a tale scempio accertato della democrazia, gli unici a pagare sono coloro che manifestavano nelle strade di Roma. Da parte nostra non possiamo che rilevare come si sia imposto un modello, quello sperimentato a Torino contro i No Tav, che sta facendo scuola e che sta velocemente venendo applicato nei processi politici del resto del paese. Chiarendo, una volta di più, che non è la giustizia lo scopo di tali richieste, ma una vendetta politica che va al di là di ogni principio giudiziario.
Dinamo press
05 03 2015
Il 28 febbraio l'operazione politica di Salvini è stata fatta saltare da chi è sceso in piazza mostrando il vero volto di Roma: solidale, meticcia e antirazzista. Migliaia di persone hanno invaso il centro portando con sè un'altra idea di città, da lì bisogna ripartire.
Roma, negli ultimi mesi, è stata dipinta come una città in preda alla reazione, segnata unicamente dallo scontro orizzontale tra i ceti poveri e impoveriti dalla crisi. Una città - ci è stato detto da più parti - nella quale le periferie sono irreversibilmente cadute nelle mani della destra e dove i cittadini, da Corcolle a Tor Sapienza a Tor Pignattara, si organizzano per dare l’assalto ai migranti, ai rom. Dove l’hostis, il nemico, torna a coincidere con la figura dello straniero. Non aver accettato passivamente questa narrazione mediatica, averne colto il suo uso strumentale e performativo, in altre parole, avere sfidato Matteo Salvini sul terreno della società, questo è il più grande risultato della giornata del 28 febbraio. Dopo la manifestazione di sabato torniamo nei luoghi dove ogni giorno tentiamo faticosamente di organizzare solidarietà e mutualismo, con maggiore forza e determinazione, convinti che il reale non corrisponde in maniera granitica a questa raffigurazione. Che c’è ancora spazio per il possibile.
Già il corteo del 13 dicembre per il diritto alla città, nel pieno dello scandalo di Mafia Capitale, aveva provato, nella sua parzialità, a sollevare due questioni: le periferie romane sono i luoghi centrali dello sfruttamento contemporaneo, e compito dei movimenti, tra le macerie della sinistra, è quello di riportare il conflitto su un piano verticale. Nello stesso tempo, assumere che se è vero che la destra prova a riorganizzarsi proprio in questi luoghi, lo fa non perdendo uno dei suoi tratti peculiari: fare affari sulla pelle dei più deboli, sfruttando una politica fondata sulle emergenze. Politica promossa negli ultimi quindici anni dai vari governi cittadini che si sono alternati, e sostenuta dal sistema delle cooperative “rosse”, così caro al ministro Giuliano Poletti.
In questo contesto, Matteo Salvini è stato insignito, dai principali media del paese e da settori non irrilevanti del capitalismo italiota, come il perfetto alter ego di Matteo Renzi. Un personaggio costruito ad arte, per impedire che anche in Italia il rifiuto dell’austerity si possa tramutare nella trasformazione radicale dello stato di cose presenti - e poco importa se sia figlio della peggiore cultura politica della storia repubblicana, quella del trasformismo. Salvini viene utilizzato per affermare che l’unica alternativa a Renzi è il nazionalismo, la rottura dell’Unione Europea ricalcata sui confini degli Stati-nazione, l’odio e l’egoismo proprietario. Dunque, che non c’è alternativa.
Solo con queste premesse si può cogliere fino in fondo l’importanza della vittoria di sabato. L’operazione politica di Salvini, volta a coagulare quel malessere e quella rabbia che pervade i quartieri impoveriti della città di Roma, a dargli rappresentanza e rappresentazione in piazza, si è rivelata per il momento un totale fallimento. In Piazza del Popolo non c’erano le cittadine e i cittadini romani, non c’era il Sud Italia che per anni il leader del Carroccio ha insultato, c’era una presenza molto parziale di quel Nord che fino a qualche tempo fa Salvini voleva annettere alla Svizzera, all’Austria o alla Baviera. In altre parole, non c’era quel popolo - entità del tutto astratta - che fino a ieri la Lega voleva far secedere dall’Italia e oggi dall’Europa, in entrambi i casi rinnovando quello strumento di oppressione che la lotta di classe e l’internazionalismo hanno, da sempre, combattuto: lo Stato.
C’erano invece, e si sono distinti per un’aggressione nei pressi della Stazione Termini nei confronti di un giovane manifestante, i fascisti di CasaPound e Fratelli d’Italia, partito che - a proposito di Roma Ladrona - ha giocato un ruolo non marginale nel sistema di Mafia Capitale. In tutto, poche centinaia.
Il percorso che ha costruito la manifestazione di sabato ha dunque avuto la capacità di sfidare l’operazione politica di Salvini sul terreno più adeguato. In tal senso può costituire un punto di partenza, un patrimonio da non dissipare, forse un laboratorio. Ci si è arrivati grazie ad una larga convergenza, ad un’attivazione capillare, faticosamente raggiunta e - perché non dirlo? - a tratti ostacolata dal solito teatrino politico, volto alla delegittimazione delle posizioni altrui e all’attribuzione del cliché del moderatismo a chi invece faticosamente provava ad attivare una partecipazione larga, un percorso dove in molti potessero sentirsi a proprio agio. Non aver accettato quest’ordine del discorso, considerandolo velleitario, pretestuoso, autoreferenziale, non aver guardato al proprio orticello, è un segno di grande maturità politica, consapevoli che il grado di radicalità da esprimere va di volta in volta misurato sui concreti rapporti di forza, più che sulle parole e sui toni più o meno roboanti che si usano in assemblea.
Una sfera pubblica, questa sì radicale, che solo uno sguardo miope può ridurre alla categoria sbiadita della società civile, è stata attivata, attraverso un uso intelligente e spregiudicato dei social media e grazie al contributo di chi si è generosamente messo a disposizione: artisti, studenti, comitati antirazzisti, sindacati di base, associazioni partigiane, reti lgbtqi.
Per quanto ci riguarda, forti del bagaglio politico accumulato in questi mesi con il metodo e la pratica politica del social strike e della coalizione sociale, fin da subito abbiamo chiarito quale doveva essere, a nostro avviso, l’obiettivo della campagna e della giornata: attivare pratiche e linguaggi molteplici e conflittuali, nelle settimane e nei giorni che precedevano il comizio di Piazza del Popolo e mettere in gioco, in quella giornata, la forza dei numeri e la qualità della partecipazione. Consapevoli di abitare in una città piena di contraddizioni, ma ancora in grado di esprimere dignità, gioia e determinazione, di fronte alle sfide che contano. Il nostro auspicio, condiviso con molti altri, era che Roma città aperta avrebbe potuto rispondere in massa al tentativo messo in campo da Salvini e da CasaPound. Così è stato.
Nell’ultima assemblea tenutasi alla Sapienza, molti interventi avevano individuato l’obiettivo della giornata: essere uno più di loro. Non era un modo per sottostimare le nostre forze ma una valutazione prudente e consapevole della grande esposizione mediatica del personaggio Salvini. Abbiamo più che doppiato, forse triplicato, i numeri di Piazza del Popolo, e in questo caso i numeri contano e non poco. Un corteo cittadino, autorganizzato, in maniera molecolare, senza alcuna rappresentanza, ha sfidato e sconfitto, grazie ad una campagna virale e un lavoro costante nei territori, una piazza promossa in tv da mesi, sostenuta con i fondi di partito e, forse, con una sottoscrizione speciale di Vladimir Putin.
Aver mantenuto ferma la volontà di partire da Piazza Vittorio, rivendicando cioè il diritto a manifestare nel quartiere più meticcio di Roma, è stata una scelta intelligente, che ha messo in forte difficoltà la Questura di Roma e chi si occupava della logistica del comizio di Salvini. La Questura ha risposto blindando via Napoleone III con tanto di grate e di zona rossa, come se fosse una sede istituzionale. I fascisti, che avevano in un primo momento annunciato che avrebbero difeso la loro sede e l’italianità (!) di Piazza Vittorio, si sono accontentati di questo: di essere protetti da un imponente apparato di polizia.
Il comitato #MaiConSalvini ha chiarito, nei giorni precedenti, quali fossero gli obiettivi del corteo, creando così le condizioni affinché la città potesse rispondere in massa. Tutti i passaggi sono stati decisi collettivamente, e pubblicamente dichiarati. I numerosi interventi dal camion hanno rivendicato e difeso tutte le azioni messe in campo nei giorni precedenti, e chiesto la liberazione degli arrestati. Nessuna aspettativa è stata tradita e ogni singolo manifestante è stato tutelato, tornando tutti assieme fino al Colosseo e, poi, a San Lorenzo. Ricordiamo, proprio per rispetto dei percorsi e delle decisioni collettive, che la scelta di tornare a Colosseo, era stata presa collettivamente nell’ultima riunione organizzativa che ha preceduto la manifestazione, per evitare che qualcuno tornasse alla spicciolata in una città militarizzata. Nessuno dei presenti, in quell’occasione, si è opposto a questa decisione. Proprio questo rispetto dei percorsi comuni andrebbe valorizzato da qui in avanti.
Per concludere, ci sentiamo di porre una serie di domande aperte. Il comitato #MaiConSalvini ha salutato la giornata del 28 annunciando che saremo in piazza, nuovamente, nel caso Salvini confermasse la volontà di portare a Roma, in primavera, Marine Le Pen. Ci è sembrato doveroso, fin da subito, segnalare una direzione da percorrere.
Ma, al di là della logica dell’evento, della contro-manifestazione, della campagna volta a bloccare le passerelle e le provocazioni, come tradurre il risultato di sabato in un percorso continuativo di intervento nella città? Il #28F ci consegna l’esistenza di una sfera pubblica radicale e di una forte tensione solidaristica in città. Come far seguire, a questi momenti di concentrazione, l’estensione molecolare della forza accumulata in piazza, attraverso la costruzione di iniziative contro la costituzione mafiosa dell’economia urbana romana? Come proseguire nella costruzione di iniziative in grado di moltiplicare forme autonome di solidarietà e di organizzazione mutualistica nei quartieri? Questo ci sembra un modo per porci all’altezza dell’evento prodotto, della vittoria conseguita, rendendo ancora più attuale e denso di significato il claim diritto alla città.
Il Fatto Quotidiano
02.03.2015
Lo stato davvero deplorevole dell’informazione in Italia, mentre Berlusconi, protetto da Renzi, acquisisce nuovi strumenti, dalle torri televisive a RCS, è ben illustrato dalle reazioni di stampa e televisioni alle manifestazioni svoltesi ieri a Roma.
E’ chiaro a tutti e confermato anche dalle cifre fornite, che il grande corteo , formato prevalentemente da giovani, che ha percorso le vie di Roma in opposizione al comizio di Salvini e Casa Pound in piazza del Popolo, ha abbondantemente surclassato quest’ultimo, non solo, com’era ovvio, in termini di contenuti politici, ma anche di partecipanti. Successo tanto più notevole se si pensa che si trattava di una mobilitazione solo romana a fronte della manifestazione nazionale convocata da Salvini & C. nel tentativo di proporsi come leader della destra disorientata e sconfitta da Renzi che ha fatto propri tutti i contenuti di destra, a cominciare dal sostegno a spada tratta a qualsiasi iniziativa e desiderio imprenditoriale.
Eppure la stampa e i media in genere hanno accordato molta più attenzione al becero scimmiottatore di Marine Le Pen che ai suoi antagonisti. Sembra quasi che in questi casi i media rispondano, più che alla realtà dei fatti che dovrebbero registrare, a una sorta di copione scritto in precedenza. Lo stesso copione, per intenderci, che ha fatto di Matteo Salvini (insieme al suo omonimo fiorentino) la star dei salotti televisivi. Una sorta di carta riserva dei poteri forti, una volta che, come appare inevitabile, l’altro Matteo, nel giro di qualche anno, dovesse miseramente fallire il suo tentativo.
Nulla di nuovo in realtà. Il tentativo di dividere il popolo, introducendo nel suo seno i veleni del razzismo e della contrapposizione, fa parte del codice fondativo della Lega. Abbandonato, almeno per il momento, lo sciagurato obiettivo della secessione del Nord, essa tenta di riciclarsi in veicolo delle frustrazioni degli italiani maltrattati dalla crisi e dalle politiche distruttive adottate su scala europea, A tale fine essa indica due obiettivi: l’Europa e i migranti, ma si guarda ovviamente bene dal mettere realmente in discussione l’assetto dei poteri costituiti di cui è fino in fondo servo e strumento.
Quanto all’Europa, è ovviamente giusto prendersela con l’istigatore all’evasione fiscale Juncker, Frau Merkel e il loro codazzo di yesmen fra i quali Renzi. Ma per rilanciare un’unione diversa tra i popoli europei a cominciare da quelli mediterranei, non già per rispolverare il più trito nazionalismo, come fanno per l’appunto Marine Le Pen in Francia e, paradossalmente, Salvini, con i residuati di Fratelli d’Italia e qualche neonazista più o meno bene camuffato.
Quanto ai migranti, occorre, come ho sempre fatto, litigando con razzisti doc e persone dal cervello confuso e inadeguato, affermarne il ruolo fondamentale per la costruzione dell’Italia e dell’Europa di domani. Ruolo che stanno già assolvendo in termini di contributo alla natalità e all’economia e che deve trovare il giusto riconoscimento su tutti i piani, incluso quello della cittadinanza.
E’ la stessa biologia del resto a insegnarci che la riproduzione sessuata, consentendo la mescolanza del patrimonio genetico, contribuisce al miglioramento della razza umana. E coloro che vaneggiano di purezza razziale sono destinati a fare una brutta fine e ad alimentare, come fecero i nazisti, i peggiori orrori del secolo passato.
Una delle principali scommesse che abbiamo di fronte è quella dell’integrazione dei migranti, basata su di una cultura comune che spazzi via ogni fondamentalismo e ogni razzismo (compresi ovviamente quelli dei banditi terroristi dell’Isis e simili come hanno fatto i Kurdi ed altri a Kobane).
Tale cultura comune deve essere basata sul dialogo, l’accoglienza, la lotta contro i veri nemici a cominciare dal potere finanziario, la solidarietà e l’universalità dei diritti a cominciare da quelli sociali. Tutti contenuti affermati nella giornata di ieri dal grande corteo di oltre ventimila giovani su cui purtroppo i media hanno voluto stendere un inammissibile velo di ignoranza, venendo a meno alla loro funzione di garantire una corretta informazione.
Il Manifesto
02.03.2015
Una città aperta. Il successo del corteo contro il flop dei «fascioleghisti» radunati a piazza del Popolo. L’imponente affermazione di una piazza democratica e anti-razzista dimostra l’esistenza di un’altra opposizione alle politiche neoliberiste di Renzi e del Pd. «In piazza oggi c'è la Roma gioiosa che "po esse piuma e po esse fero e che oggi è stata piuma"»
Volevano dimostrare di essere almeno uno in più dei fascioleghisti che manifestavano a piazza del Popolo. Ci sono riusciti e, con ogni probabilità, li hanno anche doppiati. Senza rimborsi elettorali, o un invito in un talk-show serale, ieri a Roma gli organizzatori di una manifestazione cittadina democratica e anti-fascista hanno battuto numericamente il comizio nazionale fascioleghista che ha visto protagonista Matteo Salvini. Almeno 30 mila persone hanno risposto all’appello della campagna «MaiConSalvini» lanciata più di un mese fa da un cartello promosso dai movimenti sociali.
Tra piazza Vittorio e Campo de’ Fiori la vittoria politica schiacciante di un corteo auto-organizzato, senza l’appoggio di cartelli politico-sindacale ma con l’evidente partecipazione della sinistra diffusa e di molti giovani e studenti, è stata confermata da una decisione inedita, almeno per la storia recente dei cortei nella Capitale.
Arrivati in Corso Vittorio Emanuele poco dopo le cinque del pomeriggio, uno degli speaker della manifestazione ha annunciato un’inversione a «U» dal camion che precedeva il gigantesco striscione di apertura disegnato dal fumettista Zerocalcare. Campo de’Fiori e, via de’Baullari, destinazione ufficiale del corteo non avrebbero potuto contenere una manifestazione così ampia. «La coda del corteo diventa testa — è stato detto — e viceversa». Il corteo è tornato sui suoi passi in direzione Fori imperiali per sciogliersi al Colosseo, tra le luci ocra dell’isola pedonale. In una sola mossa, e senza sforzi, è stata battuta la surreale campagna di criminalizzazione condotta dai giornali della destra cittadina (si sta ancora cercando l’«uomo bomba» che avrebbe dovuto farsi esplodere in piazza del Popolo) ed è stata impartita una severa lezione alle velleità politiche nazionali di Salvini.
«A Roma non puoi scendere in piazza con Casa Pound e con qualche rottame politico della destra ex berlusconiana. Questa risposta è oltre ogni aspettativa. Per Roma è una giornata storica, da anni non si vedeva una partecipazione così compatta» è stato il ragionamento fatto al microfono alla testa del corteo. Una scelta infelice, quella di Salvini, confermata dai video e dalle foto pubblicate sui social network già nel pomeriggio. Una delle battute più beffarde e popolari che ieri venivano rilanciate è stata quella dell’attore Mario Brega. Riportarla è utile per dare un’idea del clima che si respirava nel corteo: «In piazza oggi c’è la Roma gioiosa che “può esse piuma e può esse fero e che oggi è stata piuma”».
Lo sbarco del movimento «Noi con Salvini» nella Capitale dovrà essere ripensato. Per il momento è un flop. Il corteo romano ha dimostrato che lo schema mediatico che contrappone il razzismo neo-sovranista della Lega alle politiche neoliberiste di Renzi è inadeguato. Esiste un’altra opposizione, ben più ampia e vigile sugli effetti dell’austerità, che lo eccede. «Questo successo consegna una grande responsabilità a coloro che hanno organizzato il corteo – ci racconta un attivista dei centri sociali romani — La presenza dei neofascisti nelle periferie e nella città non viene cancellata oggi, bisogna continuare a essere presenti sul territorio e impegnarsi in una battaglia di lunga durata».
La giornata di protesta che ha unito centri sociali e movimenti per la casa, studenti, Cobas, Anpi, No Tav, il Roma Pride, Rifondazione e Sel, l’Altra Europa con Tsipras era iniziata con un’iniziativa inaudita. Via Napoleone III, la strada dove ha sede Casa Pound, era stata chiusa da una grata lunga venti metri e alta quasi dieci di colore blu. Una scena da G8 di Genova. Cpi era inoltre protetta da un camion-idrante e una camionetta di grandi dimensioni della polizia. Il dispositivo securitario disposto lungo il corteo si confermava di immense e temibili proporzioni. Solo il corteo anti-razzista era preceduto da sette camionette, tre defender e un centinaio di uomini in tenuta antisommossa.
Lungo il tragitto iniziale centinaia di finanzieri in tenuta aggressiva mostravano scudi e manganelli ai manifestanti. Un esercito di carabinieri presidiava piazza Santa Maria Maggiore e piazza Venezia. Clima di paura e desolazione indotta. Molti commercianti hanno abbassato le serrande al passaggio del corteo. Un’attivista dei movimenti della casa è stata fermata nel corteo e identificata dalla Digos perché avrebbe partecipato all’occupazione di venerdì della Basilica di Santa Maria del Popolo, poi sgomberata. Sono infine quattro gli attivisti arrestati e tradotti a Regina Coeli dopo le cariche del pomeriggio in piazzale Flaminio.