Internazionale
17 10 2013
Manifestazioni studentesche a Parigi, giovedì 17 ottobre, dopo l’espulsione dalla Francia di Leonarda, una rom kosovara di 15 anni, e di Khatchik, un ragazzo armeno.
Gli studenti chiedono anche il ritorno di un loro compagno armeno, Khatchik Kachatryan, 19 anni, arrestato a settembre per furto in un grande magazzino ed espulso il 13 ottobre.
Il ragazzo doveva essere espulso il 10 ottobre, ma l’equipaggio dell’aereo diretto in Armenia, avvertito dagli studenti e dall’associazione Réseau éducation sans frontières, si era rifiutato di decollare, racconta Le Figaro.
La storia di Leonarda
“Salendo sul pullman che doveva portarla a Sochaux, mercoledì 9 ottobre, Leonarda non pensava che la gita di classe si sarebbe conclusa sulla pista d’atterraggio di Pristina. La giovane rom kosovara non sapeva ancora che la sua frequanza scolastica, cominciata quattro anni prima a Pontarlier, stava per interrompersi con una semplice telefonata”. Le Monde racconta la storia di Leonarda.
Davanti al liceo Turgot di Parigi, il 17 ottobre 2013.
Sei licei del centro di Parigi sono bloccati dagli studenti che protestano contro l’espulsione di Leonarda, 15 anni, studentessa di etnia rom e nazionalità kosovara prelevata i 9 ottobre dalla polizia durante una gita scolastica, portata all’aeroporto, dove già si trovava la famiglia, e rimpatriata a Mitrovica.
Il ministro dell’interno, Manuel Valls, insiste sulla correttezza della procedura.
Il Fatto Quotidiano
12 06 2013
Sembra teatro di vera guerra: esplosioni, incendi, raffiche, grida, gente che corre portando feriti, una nuvola bianca prodotta dai gas che si allarga verso il Bosforo. Continuano anche nella notte, sempre più violenti, gli scontri in piazza Taksim, cuore della protesta turca. Durante tutta la giornata la zona è stata il teatro di numerosi attacchi tra manifestanti e agenti. La polizia aveva ripreso il controllo dell’area, dopo un’occupazione durata 10 giorni. I manifestanti, però, non si sono arresi e sono tornati a riversarsi nella piazza. Il premier turco Recep Tayyip Erdogan ha allora mostrato il pugno duro, dopo aver ribadito la “tolleranza zero” che verrà usata contro i manifestanti e la piazza è stata nuovamente sgombrata con l’appoggio di mezzi blindati, cannoni ad acqua, lacrimogeni e granate assordanti per disperdere le migliaia di manifestanti.
E il governatore di Istanbul, Huseyin Avni Mutlu, ha fatto sapere che la polizia antisommossa proseguirà “giorno e notte” le operazioni contro i manifestanti finchè Taksir non sarà sgomberata. Il governatore, in un annuncio tv, ha poi invitato i concittadini a stare lontano dalla piazza: “Continueremo incessantemente, giorno e notte”.
Nella notte, intanto ci sono stati di nuovo incidenti ad Ankara, nel quartiere alawita di Gazi a Istanbul e in altre città. E per l’Associazione medici turchi Tbb sono almeno 100 i manifestanti feriti oggi, 5 dei quali sono gravi, quando la polizia ha ripreso il controllo di Piazza Taksim. Molti, ha detto a Hurriyet online il presidente della Tbb Ahmet Ozdemir Akta, sono stati feriti alla testa da candelotti lacrimogeni sparati a altezza d’uomo dalla polizia. Il premier ha poi confermato che quattro persone, tre manifestanti e un poliziotto, sono morte dall’inizio della protesta. Secondo l’associazione medici 5mila manifestanti sono stati feriti. Da tutto il mondo sono arrivate condanne per la feroce repressione della polizia turca.
Atteso un incontro fra il premier e una delegazione della Piattaforma per Gezi Park, che ha organizzato le prime manifestazioni due settimane fa in difesa dei 600 alberi del parco. L’esito della riunione però è incerto. Erdogan infatti ha confermato che l’ultimo spazio verde del cuore di Istanbul sarà distrutto per fare posto a una ricostituzione di una caserma ottomana, liquidando seccamente la questione degli alberi: “Li ripianteremo altrove”. Il premier ha di nuovo accusato le lobby finanziarie e la stampa estera di attaccare il Paese.
Una folla di oppositori si è riunita ogni giorno su piazza Taksim e Gezi Park – trasformato in cittadella libertaria – da quando la polizia si era ritirata il primo giugno. Centinaia di migliaia di persone sono scese in piazza in tutta la Turchia per chiedere le dimissioni di Erdogan. Il leader dell’opposizione turca Kemal Kilicdaroglu ha reagito all’attacco della polizia contro Taksim accusando il premier Erdogan di essere un “dittatore”. I giovani che manifestano nel Paese, ha aggiunto in un discorso davanti ai deputati del suo partito Chp, vogliono “una democrazia di prima classe”.
La crisi ha messo in difficoltà l’economia turca. C’è stato un movimento di ritiro di capitali investiti dall’estero. La borsa di Istanbul ha perso più del 10% la settimana scorsa, bruciando un miliardo di dollari. La banca centrale è intervenuta per sostenere la lira, caduta ai livelli più bassi rispetto al dollaro dall’ottobre 2011. “Si sta giocando un grande gioco contro l’economia turca – ha detto Erdogan – Qualcuno vuole rallentare la nostra crescita economica. Chiedo ai manifestanti di fare attenzione a come vengono usati, mi rivolgo a loro come primo ministro: questi incidenti vengono sfruttati dalle lobby e dai media. Quelli che protestano in Piazza Taksim vengono usati da quanti cospirano contro l’economia turca”.
Osservatorio Iraq
05 06 2013
L'odore dell'aria di Istanbul è di quelli acri, la vista è appannata da una nebbia fuori stagione e il canto del muezzin non è che un lontano filo di voce, ricordo di un passato all'insegna dell'islamizzazione massiccia della società turca.
LA TURCHIA, OGGI
Stamane piazza Taksim sembra lo spettro di una società alle prese con il proprio futuro, spinta da un sentimento di cittadinanza attiva degno dei migliori dizionari.
Le rivolte che da sei giorni hanno letteralmente incendiato Istanbul, sono la logica conseguenza di dieci anni di una politica incentrata sul progressivo ritorno a un Islam che, incapace di rimanere al passo con i tempi, promuove un modello che si discosta sempre più da quella democrazia dietro alla quale si 'nasconde' il premier turco Recep Tayyip Erdoğan .
IL BOLLETTINO DI GUERRA
Secondo Amnesty International sarebbero cinque le persone in pericolo di vita in seguito agli scontri tra manifestanti antigovernativi e polizia, mentre il bilancio ufficiale rilasciato dal ministro degli Interni Muammer Guler parla di 79 feriti, di cui 53 civili e 26 agenti, oltre a 1700 arresti.
Sale invece a tre il numero delle vittime. Dopo Ethen Sarisuluk ucciso ad Ankara da una pallattolla alla testa, questa notte il cuore di Abdullah Comet ha smesso di battere.
"Il ragazzo – riferisce la TV privata Ntv – era stato gravemente ferito da alcuni colpi sparati da una persona ancora non identificata". L'altra vittima è un giovane barbaramente travolto da un automezzo della polizia lanciato sulla folla.
LA LINEA DEL GOVERNO
La risposta del governo arriva direttamente per mano del premier Erdoğan, che dopo aver chiamato i manifestanti "estremisti" ed aver ventilato l'ipotesi di una collaborazione estera, dal Marocco ha minimizzato sulla gravità degli scontri: "Dal mio punto di vista la situazione si sta calmando e al mio rientro in patria i problemi saranno risolti".
Immediata la replica di chi nelle strade chiede le dimissioni del premier, mentre nel corso della notte sono ripresi i tafferugli a piazza Taksim e il palazzo presidenziale è stato nuovamente preso d'assalto.
Stessa sorte è toccata alla capitale Ankara. Già all'alba di quella che alcuni hanno prontamente ribattezzato "primavera turca", la linea tenuta dai piani alti è stata ambigua.
Inizialmente lo stesso premier ha pronunciato parole dure contro l'operato delle forze dell'ordine, condannando l'utilizzo massivo di lacrimogeni al peperoncino e avviando delle indagini sugli avvenimenti di Geci Park aprendo così l'ipotesi di un dialogo tra le parti.
La smentita è invece arrivata a poche ore di distanza quando, come già accennato in precedenza, è stata ventilata l'ipotesi che dietro alle proteste ci fosse lo zampino di collegamenti esteri alla quale è seguito un giro di vite e l'inasprimento degli scontri.
IL NON-RUOLO DEI MEZZI D'INFORMAZIONE
Con l'avvento della primavera araba e le rivolte che hanno interessato l'area nordafricana e del medioriente, i veri mezzi di comunicazione sono stati i social network.
Facebook e Twitter sono riusciti a diffondere testi e immagini destinati a rimanere nel silenzio di una censura mediatica imposta da quei governi contro i quali era mirata la rivolta stessa.
Oggi in Turchia il copione si ripete. Già da mercoledì, primo vero giorno di scontri, ai mass media è stato imposto un rigoroso silenzio come del resto nessun giornale e nessun canale televisivo era presente a Gezi Park.
Poi la chiusura della copertura telefonica imposta alla Turkcell, la maggiore compagnia di telefonia mobile del paese.
Nella giornata di domenica la società aveva ridotto il servizio ed oggi, nelle zone più calde, parlare al cellulare o inviare messaggi è praticamente impossibile.
Ma il tentativo di isolare i manifestanti e non far trapelare al di fuori dei confini turchi notizie e immagini ha trovato nei social network dei validi avversari. Sono infatti migliaia le foto, i video e gli appelli condivisi su facebook e i tweet che ogni minuto aggiornano il 'popolo della rete' sugli ultimi eventi di Piazza Taksim.
E intanto, al calare del sole, la protesta muta e cambia forma. Niente più pietre, al loro posto spuntano pentole e padelle. Spariscono gli idranti e la città viene invasa dal rumore dei clacson come a ricordare che qui si sta scrivendo una pagina di storia e non sarà certo la notte a spegnere quest'onda democratica nel totale silenzio di un sabotaggio mediatico tipico di una dittatura presidenziale.
NON SOLO ISTANBUL
Oggi il simbolo di queste dimostrazioni è rappresentato dalla "donna in rosso" che inerme resiste al getto d'acqua scagliato da un'autobotte in una piazza Taksim completamente offuscata dal gas dei lacrimogeni.
Sarebbe comunque sbagliato pensare che il dissenso verso l'operato del governo sia una prerogativa della sola Istanbul, come sarebbe un errore incentrare l'attenzione solo sugli avvenimenti di Gezi Park, o sugli scontri di Besiktas o sulle immagini, seppur suggestive e significative, del ponte sul Bosforo.
In poche ore il sentimento di rinnovamento ha investito molte città.
Inizialmente i sit-in e le manifestazioni erano azioni di sostegno agli ambientalisti che, nel momento stesso in cui la polizia ha "aperto il fuoco", si sono trasformati nel 'pretesto' per lo scoppio delle rivolte.
Gli scontri più duri si sono registrati ad Ankara, teatro della prima vittima della sommossa.
Nella giornata di domenica la capitale è stata testimone di una guerriglia urbana in grande stile. Nelle stesse ore ad Izmir, centro turistico sul Mediterraneo, migliaia di persone si sono riversate per le strade intonando "Siamo tutti soldati di Kemal Ataturk".
Suggestiva la foto che ritrae un manifestante intento a regalare rose rosse ai poliziotti in tenuta antisommossa scattata lunedì mattina ad Adana. A discapito di quanto questa potesse essere l'inizio di una trattativa atta a limitare le violenze, la giornata è stata lunga e gli arresti superiori ai 200.
Pacifiche invece sono state le manifestazioni svoltesi a Gaziantep, Adiyaman, Sanliurfa e nel resto dell'Anatolia orientale.
Sono poi numerosi i sit-in e gli appelli lanciati da ogni parte del mondo. Significativo l'appoggio delle comunità turche di Parigi, Bucarest e Berlino che nella giornata di domenica hanno prontamente organizzato manifestazioni a sostegno dei "ribelli di piazza Taksim".
LE TESTIMONIANZE DAL "CAMPO"
"La notizia degli scontri è circolata in brevissimo tempo", dichiara A. che racconta: "Camminavo verso Piazza Taksim e dopo ogni passo c'era una persona in più. Già a qualche centinaia di metri respirare è diventata un'impresa e i negozianti hanno cominciato a regalare acqua. Alla paura iniziale si è sostituito un senti mento di unità che è quello che ogni minuto spinge altri a scendere in strada".
"Da tre giorni vivo tra Taksim e Besiktas e oggi ci siamo ritiati da Taksim, ma la guerra continua a Besiktas. Sono tutti agitatissimi e non so come andrà a finire e non avevo mai visto così tanta gente e respirato così tanto gas. I media sono nel silenzio totale", conclude.
"Ad ankara le manifestazioni sono enormi", prosegue A. che all'azione ha preferito l'osservazione: "Non abbiamo visto molto ma l'odore di gas è ovunque e anche chi non ha partecipato ha sofferto".
"Abbiamo camminato per otto chilometri e intorno a me c'era gente di tutte le età", aggiumge P., che continua: "A gaziantep i manifestanti hanno optato per mantenere un assetto pacifico e i pochi cori contro la polizia sono stati subito zittiti mentre a riecheggiare era il coro 'Ogni posto è come Taksim'".
"Ad essere sincero non so quali saranno gli sviluppi dei prossimi giorni ma sicuramente qualcosa di grosso sta succedendo".
DI SEGUITO IL LINK DELLA PETIZIONE PER LE DIMISSIONI DI ERDOĞAN: HTTP://WWW.AVAAZ.ORG/EN/PETITION/ERDOGAN_END_THE_CRACKDOWN_NOW/?AFVBMEB
Foto by Bryce Edwards (Flickr) [CC-BY-2.0 (http://creativecommons.org/licenses/by/2.0)], via Wikimedia Commons