Così brucia la protesta

Che senso ha incenerire la giusta lotta per il diritto al cibo con una raffica di molotov? Come si possono contrastare la povertà e la fame nel mondo, se si danneggiano negozi, se si incendiario le auto di cittadini incolpevoli, se si mette in campo solo una anarchica voglia di distruzione? Cosa significa manifestare indossando una maschera antigas? Ha ragione il sindaco di Milano, Pisapia, a definire imbecilli questi travestiti di nero che si divertono a fare i cattivi. A volto coperto. Tuttavia non basta qualche aggettivo per catalogare dei comportamenti sconsiderati. Perché chi agisce ricorrendo ad una violenza fine a se stessa, distrugge in primo luogo la politica, il diritto di manifestare pacificamente, mette in un angolo i movimenti che vogliono esprimere - anche in piazza un'altra visione del mondo.
Norma Rangeri, Il Manifesto
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Maria Rita ha otto anni ed è la figlia di uno degli operai dello stabilimento Whirlpool Indesit di Carinaro che l'azienda ha deciso di chiudere, sale su palco. "Il mio papà è cambiato, non gioca più con me e le mie quattro sorelle, non esce più di casa. Non ci porta più alle giostre. Io gli ho chiesto: papà, ma adesso non mangiamo più?". A quel punto quella che era solo una manifestazione sindacale contro l'annunciato licenziamento di oltre ottocento lavoratori della provincia di Caserta si trasforma in qualcos'altro, diventa un'ondata di commozione che travolge tutti quanti.
Antonio Piedimonte, La Stampa ...
Una solitudine già vissuta dai tunisini durante la rivoluzione e soprattutto nei mesi successivi alla vittoria islamista nelle elezioni del 2011. [...] Finalmente sembra che l'Occidente si sia accorto dell'importanza del processo democratico avviato qui dopo la rivoluzione, senza spargimenti di sangue. I tunisini hanno anche saputo reagire al governo islamista premiando un partito laico nel voto dello scorso anno. 
Giuliana Sgrena, Il Manifesto ...

Coltiviamo paesaggio, sradichiamo cemento

  • Lunedì, 30 Marzo 2015 07:59 ,
  • Pubblicato in Flash news

Milano In Movimento
30 03 2015

No tangenziale: una puntata della lunga storia di opposizione popolare al progetto ANAS

Circa 134 miliardi in più di quelli previsti, opere incomplete e incrementi dei costi fino al 917%. Proprio nel giorno in cui fanno notizia i dati sulla spesa e sul mancato completamento delle grandi opere inserite nella legge Obiettivo del 2001 divulgati dalla CGIA – l’associazione degli artigiani di Mestre – a Sud di Milano tra Albairate ed Abbiategrasso oltre un migliaio di persone hanno sfilato per ribadire il proprio “NO” alla superstrada di collegamento Vigevano-Malpensa.

Un no che è prima di tutto una composizione di innumerevoli sì: sì alla difesa della vocazione agricola del territorio, sì allo sviluppo di turismo sostenibile, sì alle piste ciclabili per collegare i centri abitati, sì al potenziamento della linea ferroviaria e del trasporto pubblico, sì alla manutenzione delle strade esistenti. Perché la cosiddetta tangenziale, che nel 2001 è stata individuata dal governo come una priorità degna della Legge Obiettivo, per la popolazione del territorio abbiatense, e non solo, è un’infrastruttura inutile e dannosa: il progetto ANAS, concepito 14 anni fa in un momento in cui Malpensa sembrava dover ricoprire un ruolo chiave nel traffico aereo internazionale, non prevede collegamenti con Milano, taglierebbe in due le aree protette Parco Agricolo Sud e Parco del Ticino e comprometterebbe l’integrità di beni dal grande valore paesaggistico, ambientale e culturale come il Naviglio Grande, i fontanili e le ville storiche di Cassinetta di Lugagnano.

Il rischio, o meglio la certezza, è che – oltre ai 419 milioni di euro per il finanziamento interamente a spese della Regione – la realizzazione della superstrada costerebbe irreversibilmente il sacrificio di una vera e propria mezzaluna fertile, a vantaggio di un’infrastruttura inutile, che avrebbe come unico e immediato risultato la frammentazione di un’area che significativamente contribuisce a fare della Lombardia la prima regione agricola italiana, alla faccia del buon senso e del bene comune.

Si mettano quindi in pace l’anima i fedeli della sindrome di Nimby, un concetto che le scuole internazionali di sociologia dell’ambiente (leggi ad esempio gli studi di M. Wolsink) ritengono abusato e fuorviante, perché con questa storia gli interessi individuali legati “al proprio giardino”, hanno davvero poco, per non dire nulla, a che fare. E ridurre le sempre più diffuse e consapevoli resistenze di comunità a residuali ed egoistiche proteste di sognatori utopici significa scegliere di non tutelare il patrimonio agricolo, di non valorizzare i processi di partecipazione e di rinunciare alla messa a frutto dell’intelligenza sociale dei territori.

E così, schizofrenicamente, mentre all’opinione pubblica sono venduti obiettivi come l’azzeramento del consumo di suolo entro il 2020 e l’incentivazione del turismo locale, le istituzioni (ai vari livelli, dalle regioni all’Europa) perseverano nel dotarsi di strumenti modellati ad arte per inseguire un modello economico e sociale sterile e depauperante, dalla legge Obiettivo allo Sblocca Italia. Un modello basato su grandi infrastrutture destinate, quando completate, a non essere utilizzate (vedi i dati sul traffico della BreBeMi), su grandi poli logistici come il centro commerciale previsto, proprio ad Abbiategrasso, al posto del Parco dell’Annunziata, oppure su grandi eventi internazionali che da un lato tentano di sedurre l’opinione pubblica inneggiando alla sostenibilità e dall’altro poggiano le proprie fondamenta su terreni cementificati a proprio uso e consumo.

Mentre la crisi indebolisce gli individui, i territori che riescono a farsi comunità, come quello di Abbiategrasso, sono sempre più determinati nel rifiutare lo spreco di risorse pubbliche che potrebbero essere utilizzate per il welfare, e sono sempre più preparati nell’individuare tutti gli strumenti per ottenere dei risultati concreti in opposizione alle grandi opere: dai ricorsi al Tar alle petizioni al Parlamento Europeo, alle manifestazioni di piazza. Perché le grandi opere che infestano il territorio sono anche, se non prima di tutto, una questione politica che ha a che fare con la partecipazione delle popolazioni alle scelte di gestione del territorio.

«E’ un modello di sviluppo vecchio, che però continua a sussistere», ci spiega Agnese Guerreschi, del Comitato No Tangenziale, «ma la popolazione è sempre più sensibile a questi temi e la manifestazione di oggi è un successo, anche se c’è ancora molto lavoro da fare». E sottolinea: «Quando l’attenzione su Malpensa è calata, sembrava che l’idea della superstrada fosse stata abbandonata. Ora abbiamo imparato che i progetti possono sempre risbucare e la cosa grave grave è che né i cittadini, né i sindaci hanno accesso alle informazioni sul progetto. E questo significa che il territorio è tenuto in ostaggio perché non si può programmare nulla se c’è un’infrastruttura che lo attraversa».

Queste sono le forme di resistenza che ci piacciono: radicali, consapevoli, propositive, competenti e di comunità. Largo ai trattori, ai comitati, alle associazioni, ai contadini, ai piccoli commercianti e agli abitanti che hanno animato il corteo di ieri e che ben sanno riconoscere il bene comune da perseguire per il proprio territorio.

 

"Non ci sconfiggeranno". Quando si vuol mostrare di non aver paura si portano i bambini alla manifestazione. I tunisini hanno portato i bambini. Il loro cartello prediletto è: "Questa estate io faccio le vacanze in Tunisia". Benché il turismo sia qui una risorsa decisiva, è un'idea poetica. In questi giorni Tunisi si è riempita di pioggia di vento e di cortei del Social Forum.
Adriano Sofri, La Repubblica ...

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