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Orge e battaglie: la pornografia è politica "Porn to be free", film contro la censura

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l'Espresso
25 06 2015

«Nudi sì, ma contro la Dc. Nudi sì, ma contro la Dc!». Decine di migliaia di persone in piazza, un caos di corpi e bandiere, proteste, grida e striscioni. In mezzo alla folla ammassata sfilano ragazzi e ragazze completamente svestiti, allo slogan, appunto, di «Nudi sì, ma contro la Dc». È una delle immagini d'archivio forse più straordinarie raccolte dal regista Carmine Amoroso per “Porn to be free”, un documentario sulla controcultura pornografica degli anni '70.

Respinto da tutti i produttori italiani a cui si è rivolto, Amoroso ha deciso di pubblicare online il trailer del lavoro cercando sul Web, fra le persone, i finanziamenti necessari a completare l'opera. «Ci stiamo lavorando da tre anni», racconta a “l'Espresso”: «Non pensavamo di trovarci di fronte un sistema cinematografico così bigotto e pudico. Ci hanno quasi riso in faccia, quando abbiamo proposto il soggetto. Evidentemente la parola “porno” dà ancora fastidio. E non c'è più nemmeno la voglia di scandalizzare che ha permesso tante aperture in passato».

Porno. Orgiastico, radicale, ma soprattutto politico: è la pornografia che vuole raccontare Amoroso, mettendo insieme i pezzi di un immaginario che negli anni '70 ha saldato le battaglie per la liberazione sessuale alla lotta contro la censura. Scene hot e rivendicazioni politiche si intrecciano, nei film hard coi pantaloni a zampa come nei mega raduni pubblici di hippie presi dall'amarsi promiscuamente per spezzare le tradizioni sociali. Cicciolina e Moana diventano le paladine di un sogno collettivo che dà libero spazio all'erotismo e al sesso.

«Il documentario è la testimonianza di una rivoluzione persa», riflette il regista: «Di un mondo scomparso». Da una parte, infatti, la battaglia politica è stata sublimata dalla commercializzazione sfrenata, fino a YouPorn dal cellulare. Dall'altra parte la morale pubblica si è irrigidita, rinchiusa, dando spazio a un nuovo, ben piantato, bigottismo. «In Italia siamo fermi, culturalmente e socialmente», insiste Amoroso: «In Francia i Pacs esistono dagli anni '90: il secolo scorso. Da noi sembrano ancora un miraggio».

Nel lavoro di tre anni sul documentario, il regista ha potuto raccogliere tre “ultime interviste” di personaggi-chiave di quella stagione che sono mancati poco dopo. C'è Lasse Braun, «un mito della rivoluzione sessuale», dice Amoroso: «che fece promulgare nel 1969 la prima legge contro la censura in Danimarca». C'è l'ultima testimonianza di Judith Malina, fondatrice del Living Theatre, «che abbiamo incontrato in una casa di riposo del New Jersey», racconta il regista.

E poi, soprattutto, Riccardo Schicchi, il “re dell'hard italiano”, l'inventore di Cicciolina, Moana Pozzi ed Eva Henger, morto a dicembre del 2012. «Il termine pornostar non esisteva nemmeno prima di lui», racconta Amoroso: «Portò le porno-dive in Tv, lottando contro il costume dell'epoca». Schicchi, l'uomo però anche condannato per sfruttamento della prostituzione. «Non voglio entrare nella vicenda giudiziaria di Schicchi», risponde Amoroso: «Dico solo che lui fu attaccato in ogni modo per la sua attività. E quando ho avuto la possibilità di conoscerlo, per quell'intervista, mi sono trovato davanti un uomo colto e intelligente. Penso che il dialogo che abbiamo portato nel documentario si rivelerà anche per il pubblico molto toccante».

Per la pornografia underground sembra un momento di rinascita, questo, in Italia. Ci sono le Ragazze del porno , che stanno provando a raccontare il sesso hard da un punto di vista femminile . E poi questo documentario che glorifica l'epoca d'oro delle star sexy e delle orgie pubbliche e politiche. «Penso sia importante ricordare adesso quella stagione, perché in questo momento la libertà d'espressione conquistata in Occidente è sotto attacco», conclude Amoroso: «Penso a Charlie Hebdo e alle forze conservatrici che vorrebbero tacere alcuni dei linguaggi della nostra democrazia. Dobbiamo ricordare che la pornografia in molti paesi è ancora un reato. In Cina, per esempio, si rischia la pena di morte».

Ma non è solo la minaccia esterna a rinvigorire la censura anche della pornografia: «C'è anche la debolezza del discorso culturale italiano. Il porno vive ancora in un paradosso per cui è visto da tutti ma ugualmente negato, escluso dalla discussione. Mentre è importante come tante altre espressioni della contemporaneità».

Francesca Sironi

Ultima modifica il Giovedì, 25 Giugno 2015 11:53
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