Camilla e Sara, che si presentano oggi a noi nel progetto "Cosa pensano le ragazze" sono due giovani donne di straordinario coraggio.
Sara ha attraversato il calvario del bullismo scolastico - "erano soprattutto ragazze, feroci" - e si è ammalata, giovanissima, di bulimia nervosa. Aveva 14 anni quando hanno cominciato a farle violenza. "Non dicevo niente a nessuno, volevo solo essere come loro: erano magre, eleganti, ammaliatrici. Io le accontentavo". No, non ha mai denunciato nessuno "perché erano figli di famiglie importanti, nel mio paese, e avevo paura".
Camilla ha una bambina, Viola, di cui parla illuminando il suo magnifico volto. Una madre con la quale sta solo adesso recuperando un rapporto molto difficile: solo ora che ha iniziato a curarsi. Anoressia, il suo male. "Non mi accorgevo di essere malata. Non mangiare mi faceva sentire forte, potente. È stato quando non ho più avuto la forza di prendere Viola in braccio che mi sono spaventata: se non posso prendere in collo la mia bambina che mamma sono?".
E poi ride quando dice che sua figlia le controlla il piatto ed è contenta quando la mamma "ha mangiato tutto". È per Viola, poi per se stessa, che vuole guarire.
Le abbiamo incontrate entrambe a Todi - Sofia Sabatino, Francesca Fornario, Paola Natalicchio ed io, quattro delle dieci intervistatrici del progetto - ed abbiamo trascorso con loro una giornata a Palazzo Francisci, il centro della sanità pubblica umbra per i disturbi del comportamento alimentare nato tredici anni fa e guidato da Laura Dalla Ragione, una delle massime autorità italiane in materia.
Laura ci ha raccontato come le giovani ospiti del centro (e i giovani, sempre più numerosi anche i ragazzi) siano ogni anno più piccoli: oramai arrivano bambine e bambini di 8-10 anni. Il corpo, ossessione e metro di ogni cosa: lavagna e manifesto. Come ti vedi, Camilla, fra un anno? "È la domanda più difficile, perché io non mi vedo. Non mi sento e non mi vedo. A volte, per sentirmi, devo farmi male. Allora, solo così, mi sento".
Nella stanza dello specchio - quella nella quale ogni ragazza entra solo alla fine del cammino di cura per aprire le ante del finto armadio e riflettersi, finalmente: vedersi riflesse - abbiamo incontrato Sara. Ci ha raccontato di quando faceva i compiti a tutte le compagne, lei brava a scuola, per essere accettata. Di cosa le dicevano - qualcosa non riesce ancora a pronunciare - e di quanto soffriva in silenzio.
Del ragazzo di cui si è innamorata, anche lui emarginato dal gruppo, e di come si siano aiutati a vicenda. C'è una persona che tieni a modello, adesso, Sara? Un lungo silenzio, e poi: "Me stessa". Ma non si possono raccontare le espressioni del loro volto, il colore della voce: bisogna vederle. "Speriamo che le nostre parole servano a quelle ragazze che non sanno di stare male o non hanno il coraggio di dirlo", ci hanno entrambe. Speriamo, davvero. Grazie ragazze.