Alice Palombarani, Universitario Roma6 giugno 2017
La Rete e i social network hanno rivoluzionato il mondo della
comunicazione e della trasmissione delle informazioni: il
giornalismo sta cambiando, e con esso la modalità di fruizione delle notizie, la nostra capacità di controllarle e di diffonderle. Come possiamo orientarci? Cosa ci aspetta in
futuro? In esclusiva per
Universitario, abbiamo chiesto questo ed altro al Direttore di Radio 3
Marino Sinibaldi, direttamente nella sede di Radio 3 Rai, in Via Asiago a Roma. Ascoltiamo (anzi, leggiamo) cosa ci ha detto.
Buongiorno Marino Sinibaldi, grazie per aver accettato questa intervista. Secondo lei cosa significa fare giornalismo oggi? Quali sono le sfide che deve affrontare dopo l’avvento della Rete?
Buongiorno a voi. A mio parere, oggi il giornalismo ha due dimensioni: da un lato, deve fare quello che ha sempre fatto: accedere a notizie che sono riservate (in quanto impossibili da conoscere con gli strumenti di un cittadino comune) e diffonderle. Per esempio, la notizia del risultato di una partita di calcio non è oggetto di grandi contese, eppure è una notizia che pochi possono sapere e che poi viene diffusa. Questa attività è tanto più importante per le notizie che riguardano la vita culturale, sociale, politica, scientifica di un Paese.
Il giornalismo lo ha sempre fatto (bene, male, con tanti difetti) e deve continuare a farlo. Dall’altro lato, oggi la capacità di accedere alle notizie (e anche la possibilità di esprimere un’opinione) è enormemente più diffusa, e il giornalismo è costituito non solo da fatti ma anche da opinioni e commenti. Questo è avvenuto grazie alla Rete, ma non solo: anche grazie alla maggiore diffusione della cultura, della capacità di parlare e di scrivere, che è molto aumentata nel corso dei secoli. Oggi il giornalismo si deve confrontare con tale enorme produzione di qualcosa che un tempo avremmo chiamato giornalismo.
E quindi si deve ridefinire. Come? Accogliendo, inglobando, e riconoscendo che tale informazione diffusa è capace di produrre conoscenza e opinioni. Ma, nello stesso tempo, il giornalismo deve trovare per se stesso un’identità diversa: quella della maggiore attendibilità, ampiezza, informazione, competenza. Deve vincere questa sfida attraverso il rilancio della propria qualità.
Il giornalista trova la notizia, descrive i fatti, intervista i protagonisti del mondo politico, economico, culturale e non solo. In tutto ciò, non potrebbe sembrare un semplice spettatore di ciò che accade del mondo?
Il giornalista è una persona che fornisce e interviene nelle notizie. Personalmente, penso che ognuno debba trovare la risposta nel proprio lavoro. Il giornalista non è mai solamente spettatore, non è mai così oggettivo, perché già solo descrivere un fatto significa raccontarlo con il proprio punto di vista. Per esempio, quando un giornalista dà il risultato di una partita di calcio, probabilmente si avverte il suo coinvolgimento, il suo entusiasmo o tristezza! D’altra parte, penso che il giornalista debba stare un passo indietro rispetto all’elemento di protagonismo. Io tendo maggiormente a un giornalismo che stimoli la partecipazione civile di tutti noi: mi aspetto che offra al lettore (o ascoltatore) la possibilità di essere protagonista, che gli dia degli elementi di conoscenza in base ai quali possa formarsi la propria opinione. E decidere in quale modo partecipare.
Nella classifica annuale stilata da Reporters Sans Frontieres sulla libertà di stampa, l’Italia occupa il 52° posto. Lei come legge questo dato? Quali sono i minus del giornalismo italiano?
Il tema della libertà è legato al fatto che in Italia esistono giornalisti minacciati dalla criminalità organizzata. Questo problema è molto grave e sottovalutato: esistono in molte zone d’Italia, e non solo nel Sud, giornalisti che vivono sotto scorta (e questo è un elemento che in altri Paesi è più limitato). In secondo luogo, vi è l’invadenza della politica soprattutto all’interno dei mezzi di comunicazione pubblici, come la Rai, e le frasi di alcuni politici nei confronti dei giornalisti. La terza questione è la proprietà dei mezzi di comunicazione: appartenendo a editori che poi hanno altri interessi, si può riscontrare un’interferenza.
Tuttavia, questo succede perché siamo un Paese libero e abbiamo una stampa libera: possiamo leggere quello che vogliamo, abbiamo testate di tutti i tipi (e anche la Rai, che tante volte è messa sotto accusa, offre dei programmi di tutti i tipi). Personalmente sono interessato all’elemento di contraddizione che la classifica ci mostra: la libertà di stampa è oggetto di conflitto, non è una cosa così scontata visto che siamo in un Paese democratico. Abbiamo delle minacce ed è bene che questa classifica ci renda consapevoli del conflitto che c’è sempre sull’informazione La libertà di stampa è una pianta molto delicata: ha bisogno di molte condizioni ambientali per prosperare.
Adesso guardiamo al futuro. A suo parere, cosa ci aspetta nel giornalismo di domani? E quale consiglio darebbe a un giovane che vuole intraprendere la strada del giornalismo?
Non è semplice dare un consiglio, perché c’è un cambiamento tecnologico e culturale molto profondo, che deriva dal fatto che una volta il giornalista era qualcuno che possedeva il privilegio di accedere a notizie a cui nessuno poteva accedere; oggi dobbiamo (e dovete soprattutto voi, a cui è affidato il giornalismo e la comunicazione del futuro) ragionare in una realtà in cui questo privilegio non esiste più. Quindi occorre soprattutto trovare il proprio punto di vista, e la sfida più difficile è quella della qualità di scrittura e di pensiero: una capacità individuale che nasce dalla conoscenza.
Più siamo invasi dalle notizie, maggiore è il rischio di perdere un elemento di conoscenza del mondo. Il giornalista, e tutti coloro che lavorano nella comunicazione, dev’essere curioso, appassionato del mondo, e deve incorporare competenze che sono una professionalità. Sapere com’è fatto il mondo, sapere chi sono le persone, sapere quali sono le notizie: questa è la bussola che consente in ogni situazione di avere il proprio punto di vista. E fare quel lavoro che chiamiamo comunicazione. La possibilità di avere tutte le informazioni a disposizione, di cui voi non vi accorgete perché vi sembra normale, è una grande trasformazione.
Allo stesso tempo, essa è una possibilità che è anche terreno di sfida: tanto più è diffusa la possibilità di avere notizie, tanto più ognuno di noi deve coltivare il proprio punto di vista. Quindi io dico: massima curiosità, massima conoscenza del mondo, massima capacità di crearsi una propria soggettività e individualità, e non essere conformisti. Oggi il conformismo è un vizio capitale perché annulla la tua qualità, la tua individualità, e quindi anche la tua competitività.