Da quando il discorso sulla rete ha abbandonato le proiezioni utopistiche delle origini scottandosi con le fake news e la potenza del capitalismo delle piattaforme digitali, Ippolita resta una guida nella «deriva in un caos estremamente ordinato».
IPPOLITA ci porta al cuore della distopia contemporanea del capitale: merci, beni e servizi che si producono da soli senza il lavoro umano, mentre la forza lavoro non avrà bisogno di essere pagata perché il lavoro è l’accento rosa tra la parola «smart» e il suffisso 4.0. Il lessico è scandito per lemmi (dalla A di Algoritmo alla W di Wikileaks) e per percorsi di lettura interni. Si tratta di un contributo collettivo teso a orientarsi criticamente tra le robinsonate della «quarta rivoluzione industriale»: il processo di digitalizzazione che spinge a credere che ogni «mi piace» su facebook sia un passo verso l’automazione totale.
Tecnologie del dominio è un antidoto contro la propaganda digitale fondata sulle parolette magiche come sharing economy o gig economy e racconta il rovescio di un mondo basato sul lavoro digitale (digital labour): i rider di Foodora o Deliveroo che consegnano in bicicletta una cena giapponese a mezzanotte; l’autista di Uber il cui guadagno dipende dalla reputazione stabilita dalla valutazione del cliente a fine corsa.
Sono alcuni esempi del dispositivo che organizzerà la vita, il lavoro, lo Stato e la politica. Di tutti, non solo del ceto medio impoverito che oggi cerca un reddito affittando l’appartamento o condividendo le spese di un viaggio in macchina.
IPPOLITA INVITA a un sottile esercizio filosofico. L’autodifesa digitale consiste nella pratica di uno «scetticismo metodologico» necessario per comprendere la dissimulazione di una realtà «ben poco smart, per nulla luccicante: una realtà fatta di sfruttamento e servitù volontarie, di sottintesi legali e tranelli concettuali».
L’esito della critica del capitalismo digitale non è solo la denuncia dello sfruttamento – come accade di solito a sinistra – ma la decostruzione di quella che Axel Honneth o Nikolas Rose definiscono «politica del capovolgimento nell’opposto» che porta il soggetto a sottomettersi a un dispositivo che formalmente promette una libertà ma materialmente rafforza l’auto-sfruttamento.
L’«ILLUSIONE» da decostruire con lo «scetticismo metodologico» non è solo un’«ideologia» – la «falsa coscienza» – ma l’effetto di un dispositivo che mette al lavoro la psicologia individuale e collettiva di soggetti traumatizzati, performanti e egolatri.
L’ordine del discorso del capitalismo digitale non è estraneo al soggetto, ma è agito dal soggetto nella «società della prestazione». Sintomatica è la voce filter bubble, la cornice cognitiva all’interno della quale l’utente della piattaforma del Santo Connettore Zuckerberg si sente cittadino del mondo. Questo mondo coincide con la cerchia degli «amici» ed è basato sul rispecchiamento del Sé, non sul riconoscimento dell’Altro. L’obiettivo di un’altra politica passa per un’«antropologia di noi stessi» e dalla valorizzazione delle differenze «senza renderle assolute».
DECISIVO è anche il lemma su disruption/disruzione, un concetto inteso come la capacità dei giganti del digitale di «distruggere» e «innovare» settori tradizionali come il trasporto privato di linea (taxi) o l’ospitalità alberghiera (Airbnb). Da qui nascono le geremiadi sulla facoltà eroica dell’imprenditore tecnologico e sulle virtù salvifiche degli unicorni digitali. Questa teoria è la manifestazione del «libertarianesimo», variante anarco-capitalista del «neoliberismo», il centro dell’«ideologia californiana» che ha colonizzato la lingua della politica: il Movimento Cinque Stelle è un caso di scuola ormai.
LO STILE «HACKER» di Ippolita non è catastrofista o luddista, ma spinge a maturare una forte posizione etica rispetto alle potenzialità che abbiamo a disposizione. In un’economia come quella digitale l’apertura verso il possibile è simulata, come emerge dalle voci come Panottico digitale o Trasparenza radicale. Si afferma un discorso che avvelena le basi dell’emancipazione, intorbida e devia il desiderio, i principali strumenti per creare una differenza nel rapporto di potere.
L’esercizio della critica – o pedagogia hacker – coincide con un tentativo di individuare una prassi e riaprire la finestra del possibile proprio lì dove tutto sembra essere generato dall’automazione.
Nell’algoritmo c’è vita. Questa vita siamo noi.
* «Tecnologie del dominio» di Ippolita sarà presentato a Roma domenica 29 ottobre alle 18 nella nona edizione del Salone dell’editoria sociale da Lelio De Michelis, Giorgio Airaudo, Riccardo Staglianò, Roberto Ciccarelli. Il Salone inizia oggi a Porta Futuro in via Galvani. Il programma è su editoriasociale.info